Ciclismo
Fabio Aru: “Ho vinto poco per il potenziale che avevo. Con la Academy valorizzo i corridori sardi”
Inizia il tuo quarto anno da ex-corridore. Come procede la tua attività lavorativa?
“Devo dire bene, sono felice, sono sempre nell’ambiente del ciclismo, anche se non in una squadra. Quando ho smesso non avevo intenzione di stare all’interno di un team, anche perché voleva dire stare ancora tanto tempo lontano da casa. Ora viaggio sempre, ma ho molto più tempo per dedicare anche alla mia famiglia. Però mai dire mai, chissà cosa riserva il futuro, ma sicuramente non mi vedo come un direttore sportivo, nonostante io abbia una grande ammirazione per quello che fanno; il ruolo del ds, che sta diventato sempre più complesso, richiede un grande impegno”.
Ti ha mai sfiorato il pensiero del ‘grande ritorno’?
“No, assolutamente no. Quando guardo le gare in televisione ci sono delle situazioni in cui mi piacerebbe essere ancora lì, ma non ho mai pensato ad un rientro. E’ stata una decisione presa con grande attenzione e sicurezza”.
A distanza di anni, ti sei dato una spiegazione di cosa non funzionò nel passaggio da Astana a UAE Emirates?
“Sicuramente il problema fisico che ho avuto all’arteria è stato sottovalutato e mi ha debilitato parecchio. Ne ho sempre parlato poco, ma avrebbe meritato un’analisi più dettagliata. Inoltre la UAE di anni fa non era quella di oggi dove, grazie al grande lavoro, è riuscita a diventare la squadra più forte al mondo; direi quindi che al momento sbagliato ci sono stati degli imprevisti che mi hanno fatto perdere un po’ di anni. Nel complesso comunque non credo di aver fatto dei risultati così negativi, ma è chiaro che eravamo in un momento in cui c’erano risultati importanti per l’Italia e quindi un 13esimo posto al Tour non era visto come un grande risultato. Non avevo intenzione di smettere a 40 anni, però qualche anno sarei potuto andare ancora avanti, ma ho preferito smettere quando mi sono accordo che la voglia è iniziata a mancare, perché è un mestiere che va fatto al 100%, e sono sempre dell’idea che, se faccio una cosa, la voglio fare al massimo delle mie potenzialità, altrimenti faccio altro e lo faccio bene”.
Per il potenziale che avevi, ti saresti aspettato di vincere di più nella tua carriera o sei soddisfatto e non hai rimpianti?
“Sicuramente, per il potenziale che avevo, ho vinto poco, il podio alle Olimpiadi di Rio 2016 era alla mia portata, così come il podio al Tour del 2017, ma nel complesso è stata una buona carriera”.
Qualcosa comincia a muoversi nel ciclismo italiano: che idea ti sei fatto di Tiberi e Pellizzari?
“Pellizzari mi piace come corridore, ne ho sentito parlare bene in termini di valori. Anche Tiberi è un buon corridore, è andato forte al Giro e anche lui, come Giulio, ha tanti margini per poter crescere e migliorare ancora. Servirà il giusto tempo e quindi penso ancora un paio di anni, ma Pellizzari mi piace parecchio”.
Da dietro arriva anche Lorenzo Finn: pensi sia l’uomo giusto per rilanciare il movimento?
“Finn è molto giovane ed è in una squadra che lo farà crescere bene. Ci vorrà del tempo, dovrà maturare e quest’anno si metterà alla prova, per il primo anno, tra gli Under23. Finn ha anche lui dei buoni numeri e può essere un giovane che fa ben sperare la nostra Italia”.
Nella tua carriera c’è stato spazio anche per il ciclocross. Quanto è stata importante per te la multidisciplina?
“I ragazzi della Fabio Aru Academy fanno la multidisciplina e quindi, oltre all’attività su strada, fanno anche mountain bile e ciclocross, e penso che questo sia fondamentale soprattutto per migliorare la tecnica. Sono felice che si sia usciti dall’idea della specializzazione e quindi di fare solo e soltanto una disciplina come anni fa”.
Quando correvi tu c’era più specializzazione: cosa è cambiato oggi?
“Ci sono molti più dati a disposizione e gli atleti oggi sono seguiti a 360 gradi rispetto ad una decina di anni fa in cui c’era più approssimazione; si era sempre professionisti, ma parecchie cose venivano lasciate in secondo piano come ad esempio l’aspetto della nutrizione che è fondamentale nella carriera di un atleta. Oggi gli atleti sanno esattamente quando e cosa fare, prima ci si basava un po’ più sulle sensazioni”.
Dopo di te, la Sardegna non ha più prodotto ciclisti di alto livello. Il tuo sogno è quello di riportare un ragazzo sardo nel grande ciclismo. Cosa fare per migliorare la situazione?
“Per una società sarda ci sono dei costi molto più alti rispetto ad una basata ad esempio in Lombardia, senza dimenticare una gestione e organizzazione più complicata. Il supporto economico da parte degli sponsor è fondamentale per avere la possibilità di confrontarsi in gare nazionali sulla penisola, oltre ad un maggior supporto da parte delle istituzioni che sarebbe di grande aiuto. In due anni, con la Fabio Aru Academy, penso di aver fatto, tanto ma sicuramente c’è ancora tanto lavoro da fare per crescere e cercare di riportare un corridore sardo nel grande ciclismo, che poi è un mio grande sogno”.