Editoriali
Federica Brignone, la visionaria che ha cambiato lo sci italiano. Nessuna come lei

C’era una volta Federica Brignone…Una ragazzina tutto pepe, che già a 17 anni faceva il suo debutto in Coppa del Mondo. Che avesse stoffa e talento era lampante, tanto che al quarto gigante della carriera, partendo con il pettorale n.34, colse un incredibile terzo posto: era il lontano 28 novembre 2011. Quella giovane promessa aveva un caratterino spiccato e le idee già molto chiare. Ricorderemo per sempre le sue parole in una intervista di tanti anni fa: “Sogno di diventare polivalente”. Oggi sembrano parole piuttosto ordinarie, in realtà all’epoca venivano pronunciate dalla bocca di un’autentica visionaria. A quei tempi la specializzazione regnava sovrana nel panorama dello sci alpino italiano: o eri un velocista dedito alla discesa e al superG, oppure il tuo raggio d’azione era quello di gigante e slalom, senza dimenticare che molti atleti praticavano addirittura una sola disciplina! La polivalenza non era contemplata. Qualche anno prima ci aveva pensato lo slalomista Giorgio Rocca, abbandonando tuttavia precocemente ogni velleità di proiettarsi anche in contesti differenti dai pali stretti.
Federica ci ha sempre creduto, ma la strada è stata piena di ostacoli e, soprattutto, sconfitte. Era un talento innato, eppure non è stata precoce in termini di risultati. Se escludiamo l’argento in gigante ai Mondiali 2011 (ormai tre lustri fa…), la prima affermazione nel circuito maggiore arrivò solo a 25 anni compiuti, nel gigante di Soelden 2015. All’inizio del suo percorso l’azzurra ha dovuto fare i conti con autentiche fuoriclasse in gigante come la francese Tessa Worley e la tedesca Viktoria Rebensburg, senza dimenticare polivalenti del calibro della slovena Tina Maze. Inoltre qualche scelta non sempre felice ne ha rallentato la crescita, come quella di investire in maniera decisa sullo slalom, ovvero la specialità che rese grande la mamma Ninna Quario, ma che non è mai stata veramente nelle sue corde.
Insomma, le vittorie a ripetizione di oggi nascono dalle sconfitte, talvolta cocenti, di oltre un decennio fa. Quelle stagioni hanno temprato Federica Brignone: con umiltà non si è mai arresa, traendo insegnamenti dagli errori e cercando sempre il giusto correttivo per progredire passo dopo passo. La svolta arrivò nel febbraio 2016, quando per la prima volta vinse in superG ad Andorra: lì comprese di aver imboccato finalmente la strada giusta, nonché quella che aveva sempre sognato: quella della polivalenza.
Gradualmente ha iniziato sempre più a proiettarsi verso la discesa, riducendo l’impegno in slalom. Con fatica e sudore si è costruita uno status di campionessa internazionale: questo ha fatto sì che potesse fregiarsi di una sorta di team privato all’interno della Nazionale italiana (come accade d’altronde anche per Sofia Goggia), potendo in particolare beneficiare della presenza del fratello Davide, figura carismatica che ha contribuito forse più di ogni altra all’ascesa definitiva del fenomeno Brignone.
Federica è sempre stata una grande lavoratrice, nonché una testarda irriducibile: quando si mette in testa un obiettivo, è disposta a sostenere immani sacrifici pur di concretizzarlo. Emblematico quanto accadeva in discesa, dove sovente pagava dazio a causa del suo atavico tallone d’Achille: la scorrevolezza. Non si è mai pianta addosso, anzi ha cercato una soluzione lavorando sulla posizione aerodinamica, sui materiali e anche sull’esplosività muscolare. Risultato: a 34 anni non solo ha vinto per la prima volta in discesa, ma si è addirittura aggiudicata la Coppa del Mondo di specialità. E forse nulla più di questo chiude il cerchio di quella ragazzina che sognava di diventare polivalente e che oggi, numeri alla mano, non ha eguali nella storia dello sci alpino femminile italiano.