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Masters1000 Montecarlo 2019: Italia in finale dopo 42 anni. Fabio Fognini accarezza la storia

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Giovanni Balbi di Rebecco, Uberto De Morpurgo, Giorgio De Stefani, Giovanni Palmieri, Gianni Cucelli, Nicola Pietrangeli, Corrado Barazzutti. Solo loro, prima di Fabio Fognini, avevano portato l’Italia in finale a Montecarlo, con alterne fortune (Balbi di Robecco e Palmieri vinsero una volta, Pietrangeli tre). Ma c’è di più: se i sette sopracitati sono approdati all’ultimo atto in un arco di tempo compreso tra il 1923 e il 1977, con undici finali in questi 54 anni, per fare il salto da Barazzutti a Fognini di rivoluzioni della Terra intorno al Sole ce ne sono volute 42.

Cosa sia successo in questo lungo periodo di tempo nel tennis italiano è noto: la discesa di Barazzutti e di Adriano Panatta, l’anno di Francesco Cancellotti che poi non riuscì a emergere davvero, le imprese di Paolo Canè soprattutto in Coppa Davis (ma rischiò anche di battere Ivan Lendl a Wimbledon nel 1987), l’infortunio di Omar Camporese quando stava per esplodere davvero, la semifinale, sempre a Montecarlo (1995), di Andrea Gaudenzi nel ’95, le speranze incompiute della generazione degli Anni 2000 con Filippo Volandri che proprio nel Principato esplose con i quarti del 2003, ripetuti nel 2005 (assieme ad Andreas Seppi).

Poi è arrivato Fognini, che ha segnato molti momenti importanti della propria carriera nel terzo Masters 1000 dell’anno. Il ligure si espresse bene per la prima volta nel 2009, quando batté in fila due dalla futura grande carriera: Tomas Berdych e Marin Cilic. Dopo il ceco e il croato, arrivò Andy Murray, in una giornata funestata dalla pioggia. Fognini andò sul 5-0, ma lo scozzese mai gli concesse vere opportunità di chiudere lì: quello, semmai, si verificò nel tie-break. Alla fine vinse Murray 7-6 (11) 6-4, ma una delle prime conferme della forza dell’uomo di Arma di Taggia fu questa.

L’impresa maggiore, prima di quella appena compiuta, il ligure la riuscì a compiere nel 2013: dopo aver battuto Andreas Seppi nel derby di primo turno e lo spagnolo Albert Ramos-Vinolas nel secondo, dispose con facilità disarmante di Berdych negli ottavi, per poi eliminare il francese Richard Gasquet nei quarti. Fu Novak Djokovic a sbarrargli la strada in una semifinale che, di fatto, non cominciò mai, visto il 6-2 6-1 in cinquanta minuti a favore del serbo.

Quest’anno sembrava il meno indicato per andare avanti nel torneo. Un inizio di stagione difficilissimo, scarsi risultati, fatica nel trovare la fiducia. Poi è successo qualcosa. In particolare, è capitata la possibilità di ribaltare un match, quello di primo turno contro il russo Andrey Rublev, la cui classifica mente in rapporto al talento, per la semplice ragione che viene da un’annata complicata. Da quella vittoria, sudata e sofferta, il nostro giocatore ha ripreso vigore. Vittime (Gilles Simon a parte, visto il forfait del francese): Alexander Zverev, crollato dopo il tie-break del primo set per meriti del ligure, Borna Coric, uscito devastato dall’innalzamento del livello di gioco di Fognini, e infine Rafael Nadal, messo in ginocchio da uno tra i pochi avversari che, se potesse, preferirebbe tenersi sempre dall’altra parte del tabellone da quando ci ha perso per tre volte nel 2015.

Fognini, a 31 anni, giocherà la diciannovesima finale della sua carriera, la più importante, contro qualcuno che, secondo pronostico, era ancora meno accreditato di possibilità circa l’approdo all’ultimo atto nel Principato. Dusan Lajovic è alla sua prima finale non solo di un Masters 1000, ma anche di un qualsiasi torneo del circuito maggiore. La vittoria di un serbo in un 1000, però, non sarebbe una novità, visti i numerosissimi successi di Novak Djokovic: sarebbe invece del tutto nuova la visione della bandiera italiana più in alto di tutte nella categoria immediatamente inferiore agli Slam. Se prendiamo in considerazione i nove tornei inferiori solo ad Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open, infatti, scopriamo che da quando sono stati istituiti (al netto di variazioni di location e calendario) nel 1990, sotto le varie denominazioni di Championship Series, Super 9 e Masters Series prima di Masters 1000, mai un azzurro ha trionfato o ha raggiunto la finale. Tra i vincitori si trovano giocatori di Spagna, Serbia, Svizzera, Stati Uniti, Gran Bretagna, Austria, Germania, Brasile, Russia, Cile, Ucraina, Svezia, Argentina, Australia, Olanda, Sudafrica, Croazia, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Cecoslovacchia (Karel Novacek vinse ad Amburgo nel 1991, prima della separazione del 1993) e Unione Sovietica (Andrei Chesnokov vi apparteneva prima della dissoluzione del 1991, dopo la quale è divenuto russo). Sarebbe l’ora di un trionfo italiano, che al nostro tennis maschile, a queste altezze, manca da troppo tempo, dal mirabile 1976 di Adriano Panatta. Per Fognini, in particolare, sarebbe un’altra bella rivincita per mille ragioni, dopo aver dovuto anche cedere temporaneamente il numero 1 d’Italia a Marco Cecchinato, in un duello a distanza che ricorda da vicino la spinta continua e vicendevole tra Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Sara Errani e Roberta Vinci al femminile tra il 2009 e il 2015, quando hanno segnato un’epoca d’oro per l’Italia delle racchette.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: LaPresse

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