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Ciclismo

Jacopo Mosca, una vita da attaccante: “La crisi penalizza i corridori italiani. Non mollo: voglio tornare nel ciclismo che conta”

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Il ciclismo non è fatto solo ed esclusivamente di vittorie e imprese clamorose, la bellezza di questo sport risiede anche nella generosità e nella caparbietà di giovani italiani che sfruttano ogni occasione buona per inseguire il risultato di livello. Spesso e volentieri questo purtroppo non accade, ma ci vuole tanta grinta e tanta costanza per affrontare ogni gara a muso duro cercando il momento giusto per buttarsi all’attacco e sperare nella fortuna. Uno di questi corridori è senza ombra di dubbio Jacopo Mosca. Piemontese di venticinque anni, quest’anno è approdato alla formazione Continental della D’Amico-UM Tools, dopo due anni tra le fila della Wilier Triestina-Selle Italia. Un cambiamento arrivato a fine gennaio, dopo tre mesi di attesa infinita e la speranza di poter tornare a correre dopo due stagioni vissute sempre all’attacco, tra fughe, la vittoria al Tour of Hainan nel 2017, di una tappa al Tour of China del 2018, ma soprattutto della maglia a punti nella Tirreno-Adriatico dello scorso anno. Jacopo è di sicuro uno dei giovani italiani più combattivi, con la perenne voglia di farsi vedere davanti a tutti, di manifestare la sua determinazione senza fine, speranzoso di poter tornare prima o poi in una grande squadra disposta a dare fiducia ad un ragazzo maturo come lui, che vuol ben figurare nella maniera più dimostrativa di tutte, ossia quella di attaccare, sempre.

Tracciamo un bilancio di questa prima parte di stagione.

“Diciamo che l’inizio di questa stagione è stato complicato per quello che è successo con la squadra. Alla fine ho esordito al Trofeo Laigueglia ed è andato bene; adesso sto raccogliendo qualcosa e spero di poter continuare in questo modo per cercare di ottenere dei risultati più sostanziosi. Per ora con le gare che abbiamo fatto e quello che ho raggiunto, non posso lamentarmi”.

Quali sono le tue ambizioni stagionali e le gare su cui vorresti puntare?

“Il brutto di essere in una squadra Continental è che non si fa mai un programmazione eccessiva, quindi dobbiamo ben figurare in tutte le gare che facciamo. Sicuramente quelle più importanti sono le corse italiane. Il mese di giugno sarà fondamentale, ma anche la prossima domenica che correremo il Giro dell’Appennino, visto che non sto male e vedremo un po’ di tirar fuori qualcosa”.

Hai pagato un po’ il cambio di casacca passando da una squadra Professional a una Continental?

“Più che altro sono rimasto spiazzato dal fatto di essermi ritrovato fuori dal ciclismo che conta quando avevo dimostrato di poterci stare. Però non mi sono abbattuto più di tanto per esser finito in una formazione Continental, perchè devo ammettere che finora, probabilmente, sono caduto in piedi, perchè la squadra mi ha sempre trattato benissimo e il calendario di gare per il momento è andato bene sia con loro che con l’Italia; diciamo che mi sono salvato alla grande. E ci tengo proprio a ringraziare la Nazionale che permette a corridori come me di poter correre e avere la possibilità di mettersi in mostra”.

Come hai vissuto l’attesa di trovare un’altra squadra? Ti saresti mai aspettato di rimanere a piedi da un momento all’altro?

“Non è stato un buon inverno, però alla fine sai, volevo continuare, e ho proseguito con gli allenamenti. La squadra è arrivata all’ultimo momento perchè ho trovato l’accordo a fine gennaio, e diciamo che mi son fatto trovare pronto. Sono stato bravo perchè ho fatto tre mesi senza sapere niente, ma ho proseguito comunque con gli allenamenti facendo il corridore al 100%. È stata dura ma alla fine ce l’ho fatta”.

Quanto è stato importante il supporto da parte della famiglia e degli amici per non farti mollare?

“Alla fine la mia famiglia e la mia ragazza mi hanno salvato. Sono in un certo senso “scappato” al mare, visto che dove abito io fa più freddo, e mi sono un po’ isolato per allenarmi. Loro mi sono sempre stati vicini supportandomi. Non è stato fondamentale, di più!”.

Al giorno d’oggi cosa serve per rimanere nel mondo del professionismo?

“È un problema generale, perchè comunque la mancanza di squadre sicuramente non è a nostro favore. Si patisce la crisi del ciclismo italiano”.

Si può dire che nella maggior parte dei casi oramai, pensando al passaggio tra i professionisti, per un dilettante conta prima di tutto la vittoria e poi tutto il resto?

“Purtroppo sì. Secondo me, oltre che alla vittoria, c’è anche un po’ di esasperazione; perchè ci sono tanti buoni corridori che però vincono poco: o hanno la fortuna di venir fuori subito, oppure rischiano di smettere di correre quando si poteva fare qualcosa di buono. Sicuramente chi ha veramente il motore per fare il campione prima o poi viene fuori. Però c’è qualcuno che è stato “perso” da questa esasperazione”.

Tu sei il tipico uomo attaccante che rischia sempre cercando di farti vedere in questo modo. È una tattica che vuoi continuare a usare o sei alla ricerca di un’altra dimensione per ottenere qualcosa in più?

“Purtroppo sono consapevole del fatto che non eccello da nessuna parte, perchè in salita mi staccano, in volata mi battono e sul passo sicuramente c’è qualcuno di più forte. Però appunto, andando all’attacco c’è sempre quella situazione in cui può capitarti l’occasione buona. Quest’anno dovrò un po’ mettermi a punto perchè se voglio tornare “nel ciclismo che conta” dovrò fare dei risultati. Mi sto accorgendo che è molto difficile, perchè comunque sia, per arrivare davanti, devi avere grandi numeri e non è facile “trasformarsi” in pochi mesi. Ho visto che la mia dimensione è quella di attaccante e di uomo squadra; e sicuramente farei comodo in una formazione più grande”.

I tuoi appuntamenti più imminenti.

“Come ho detto in precedenza il Giro dell’Appennino di domenica 28 e poi a maggio volerò in Polonia per disputare delle gare a tappe”.

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Foto: Lapresse

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