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Sport e storia: Gino Bartali, il Tour che ha salvato l’Italia, il pugno nero di Smith-Carlos, Owens e Hitler. La soluzione del tema di maturità

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Oggi oltre 500mila studenti stanno affrontando la prima prova dell’esame di maturità: il tema di italiano. Tra le tracce ce n’è una riguardante il rapporto tra sport e storia. La proposta C2 parte da un articolo di Cristiano Gatti pubblicato su Il Giornale che parla di Gino Bartali. La traccia recita testualmente: “Il giornalista Cristiano Gatti racconta di Gino Bartali, grande campione di ciclismo, la cui storia personale e sportiva si è incrociata, almeno due volte, con eventi storici importanti e drammatici. Il campione ha ottenuto il titolo di “Giusto tra le Nazioni”, grazie al coraggio che consentì, nel 1943, di salvare moltissimi ebrei con la collaborazione del cardinale di Firenze. Inoltre una sua “mitica” vittoria al Tour de France del 1948 fu considerata da molti come uno dei fattori che contribuì a “calmare gli animi” dopo l’attentato a Togliatti. Quest’ultima affermazione è probabilmente non del tutto fondata, ma testimonia come lo sport abbia coinvolto in modo forte e profondo il popolo italiano, così come tutti i popoli del mondo. A conferma di ciò, molti regimi autoritari hanno spesso cercato di strumentalizzare le epiche imprese dei campioni per stimolare non solo il senso della patria, ma anche i nazionalismi. A partire dal contenuto dell’articolo di Gatti e traendo spunto dalle tue conoscenze, letture ed esperienze, rifletti sul rapporto tra sport, storia e società. Puoi arricchire la tua riflessione con riferimenti a episodi significativi e personaggi di oggi e/o del passato“. Di seguito vi proponiamo una possibile risoluzione e svolgimento del tema.

 

14 luglio 1948, l’Italia è sull’orlo della guerra civile. Alle ore 11.30 Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, viene colpito da tre colpi di pistola mentre usciva da Montecitorio: un attentato vero e proprio operato da Antonio Pallante, giovane anticomunista che con la sua calibro 38 colpì il leader politico alla nuca e alla schiena. Il pomeriggio è burrascoso nel nostro Paese con incidenti, rivolte e manifestazioni in diverse località. Togliatti è in ospedale in condizioni critiche, il clima politico è rovente in una Nazione che ancora ha in mente gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e che soltanto un paio di mesi prima aveva avuto le prime elezioni politiche della storia repubblicana.

Il 14 luglio 1948 è giorno di riposo al Tour de France, la corsa a tappe più prestigiosa e importante al mondo. Si festeggia la Presa della Bastiglia, l’evento principe della Rivoluzione Francese: la carovana è ferma e l’Italia si sta leccando le ferite perché la situazione sportiva è tutt’altro che idilliaca. Gino Bartali accusa 21 minuti di ritardo dal francese Louison Bobet e la caccia alla maglia gialla sembra ormai un miraggio, il fuoriclasse toscano sembra essere oggettivamente fuori dai giochi e solo un miracolo agonistico potrebbe rimetterlo in corsa per il trionfo finale. Quel pomeriggio è impossibile chiamare in Italia, le linee telefoniche sono saltate proprio per il caos generato dopo l’attentato a Togliatti. Ginettaccio, questo il soprannome amorevole con cui era conosciuto al grande pubblico, cercava di mettersi in contatto con la moglie: era naturalmente preoccupato che fosse successo qualcosa alla sua famiglia.

Solo dopo cena il ciclista riuscirà a scambiare alcune parole con i suoi cari e verso le nove di sera riceverà anche la telefonata da parte di Alcide De Gasperi, il Presidente del Consiglio. Il leader della Democrazia Cristiana, molto amico di Bartali che fin da giovane faceva parte dell’Azione Cattolica, fa squillare il telefono dell’albergo di Cannes in cui gli atleti si stanno riposando: gli chiede una magia, vincere la tappa del giorno dopo per placare gli animi in Italia. Un successo parziale visto che la classifica generale sembra compromesso, un modo per distrarre il popolo che come da tradizione si sarebbe raccolto davanti alla radio per seguire la frazione (i televisori non esistevano, i social erano un miraggio, la carta stampata sarebbe arrivata solo il giorno successivo).

Il quasi 34enne si inventa un’impresa antologica: nella durissima Cannes-Briançon attacca da lontano, domina le montagne previste lungo la 13esima tappa, divora le salite con la sua classe perentoria e recupera terreno su uno stremato Louison Bobet. Si tratta di una delle imprese più alte della storia del ciclismo, una pagina tramandata di generazione in generazione come la Cuneo-Pinerolo del Giro d’Italia di quell’anno che vide protagonista Fausto Coppi. Bobet va alla deriva e clamorosamente si riaprono tutti i discorsi per la vittoria di quel Tour de France. E il 16 luglio Gino Bartali capisce che può fare saltare il banco: si impone nella Briançon-Aix-les-Bains e veste il simbolo del primato che conserverà fino a Parigi dove festeggerà il suo secondo sigillo personale sui Campi Elisi. Dopo aver vinto la corsa nel 1938, prima della guerra, si replicò dieci anni dopo (nessun’altro è riuscito a rivincere dopo così tanto tempo).

Gino Bartali ha salvato l’Italia. Questa è la vulgata nota a tutti, quel Tour de France sembrò sistemare molte cose all’interno dei nostri confini, un successo sportivo che ebbe un’importante ripercussione sulla politica e sulla società. L’atleta non si prese mai nessun merito ma i racconti dell’epoca parlano di urla in Parlamento “Bartali è in maglia gialla”, di tifosi che festeggiavano e naturalmente di Togliatti che recuperava le proprie forze in ospedale: nella sua peggiore ora del dopoguerra, l’Italia trovava un idolo da festeggiare. Questo è solo uno dei tanti esempi di come lo sport abbia influito sulla politica, sulla società e sulla storia nel corso di tutta l’umanità. Lo sport è stato sempre uno dei mezzi più potenti per mostrare la forza di una Nazione, è stato impiegato dai regimi nel corso dell’ultimo secolo, è un incredibile catalizzatore di attenzioni ed emozioni: è coinvolgente, appassionante, immediato, semplice, distraente, ammaliante, travolgente, capaci di suscitare emozioni, di unire e di dividere, di fare discutere. Insomma ha tutti gli ingredienti necessari per fare leva sul popolo.

Proprio in questi giorni si stanno svolgendo i Mondiali di calcio femminile in Francia, l’Italia partecipa alla rassegna iridata dopo 20 anni di assenza e sta facendo una bellissima figura: ha vinto le prime due partite contro Australia e Giamaica, ieri sera ha perso di misura contro il Brasile riuscendo comunque a conquistare il primo posto nel girone e la qualificazione agli ottavi di finale. Citiamo questo episodio perché è segnante: in un mondo fatto di stereotipi e di discriminazioni, in una società in cui le donne spesso sono pagate meno rispetto ai colleghi uomini a parità di mansioni lavorative e in cui le disparità di genere sono all’ordine del giorno, le ragazze di Milena Bertolini stanno cercando a loro modo di cambiare la storia. Le azzurre non sono professioniste perché la legge non prevede questo trattamento a differenza degli uomini, stanno giocando in terra transalpina non solo per se stesse e per l’onore ma anche per cambiare il futuro e il modo di pensare di un Paese intero che pian piano sta capendo che il calcio non è solo uno sport maschile ma che esiste un pallone tutto rosa altrettanto bello e magico.

I valori dello sport sono universali e permangono nel corso dei tempi, sono ancestrali ed esistono da sempre. Ed è proprio per questo motivo che ogni disciplina riesce a essere segnante: Primo Carnera era il gigante buono della boxe (peso massimo, la categoria regina), la Montagna che Cammina che tanto piaceva al regime fascista; la Germania e l’Unione Sovietica hanno avuto degli idoli per decenni; lo stesso è accaduto in Cina e in Corea. Vogliamo citare due episodi cruciali del secolo scorso, due fatti che esplicano chiaramente come lo sport possa fare la storia e cambiare la società: Olimpiadi di Berlino 1934, siamo nel pieno del regime nazista, nella capitale tedesca vanno in scena i Giochi voluti a tutti i costi da Adolf Hitler per mettere in mostra la superiorità della razza ariana. Jesse Owens, un ragazzo di colore di appena 20 anni, fece masticare dei bocconi amari al Führer: lo statunitense vinse quattro medaglie d’oro nell’atletica leggera (100 metri, 200 metri, salto in lungo, 4×100 metri) riuscendo a raccogliere l’attenzione di media e pubblico, mettendo in crisi il leader politico.

16 ottobre 1968, Olimpiadi di Città del Messico. Gli statunitensi di colore Tommie Smith e John Carlos arrivarono primo e terzo nella finale dei 200 metri: Smith siglò addirittura il nuovo record del mondo (19.83), Carlos si ferma a 20.10, in mezzo a loro l’australiano bianco Peter Norman. Una volta saliti sul podio, dopo aver ricevuto le rispettive medaglie e mentre suonava l’inno americano, i due atleti abbassarono la testa e alzarono un pugno chiuso indossando dei guanti neri: John Dominis scattò in quel momento una delle foto più famose del Novecento, la lotta per i diritti civili delle persone di colore finì in prima pagina sui giornali di tutto il mondo e segnò un’epoca. E non dimentichiamoci di quanto accadde in piena Guerra Fredda: gli USA boicottarono i Giochi di Mosca 1980, l’URSS ricambiò il favore in occasione di Los Angeles 1984.

La magia e la forza dello sport sono così forti da richiamare l’attenzione di intere masse e da generare volumi d’affare davvero importanti, una fetta importante delle economie di diversi Paesi del mondo ruota attorno a questa sfera (sponsor e diritti televisivi insegnano). Ci piace concludere ricordando ancora Gino Bartali. Dichiarato Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem che dal 1953 si occupa di tenere viva la memoria dell’Olocausto. Il ciclista si dovette fermare durante la Seconda Guerra Mondiale e la sua carriera ne risentì visto che perse gli anni migliori ma il ciclista si prodigò durante il conflitto bellico per trasportare documenti falsi in modo da salvare la vita di alcuni ebrei evitando la deportazione nei lager nazisti. Come racconta Cristiano Gatti in un articolo pubblicato su Il Giornale, nell’autunno del 1943 il fuoriclasse raccolse l’invito del vescovo fiorentino Elia Dalla Costa per cercare di strappare a morte certa degli innocenti. Percorse i 175 km che separano Firenze da Assisi in solitaria, più volte, in modo da inserire nel tubolare della sua bicicletta i documenti falsi fuggendo a qualsiasi controllo (anche se Mario Carità, fondatore del reparto speciale della Repubblica di Salò, lo fece tremare nel 1944). Quanti ebrei ha salvato? Cinquecento, seicento, mille: il numero è imprecisato ma il cuore grande di Gino Bartali è ricordato con affetto, non solo ha fatto la storia ma ha tenuto in vita molte persone e questo vale più di tutto.

 

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Foto: Lapresse

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