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Ciclismo
Ciclismo, la sicurezza dei corridori sulle strade italiane. Una piaga che non trova fine
Domenico Pozzovivo è solo l’ultimo dei casi in cui siamo stati costretti a raccontare di corridori rimasti coinvolti in incidenti stradali durante gli allenamenti quotidiani e non solo. Oramai è diventato un qualcosa a cui niente e nessuno riesce a porre rimedio laddove la sicurezza di coloro che ogni giorni viaggiano in bici, ciclisti professionisti e non, giovani, anziani, uomini, donne di tutte le età, non esiste.
Eravamo partiti a fine 2018 con l’incidente che aveva coinvolto il giovane Samuele Manfredi, campione europeo su pista centrato da un’auto nel savonese e rimasto in coma per un mese. È stata poi la volta di Sacha Modolo, speronato sulle strade di casa da un’automobilista che si era pure azzardato a deriderlo per poi andarsene senza prestare soccorso al velocista della EF Education First. Nel mentre è toccato anche a Manuel Senni; il romagnolo della Bardiani ha riportato una frattura scomposta dello scafoide e il guidatore? Fuggito anche in questo caso. Le strade italiane hanno portato non poca sfortuna anche a Sean De Bie della Roompot mentre era in ritiro con la squadra sul Lago di Garda; investito e fratture multiple per lui. Pochi giorni dopo ecco che nel bresciano Benjamin Thomas, della Groupama-FDJ, viene centrato da un’auto e si salva per miracolo.
Questi sono solamente pochi dei tanti casi di incidenti a cui abbiamo assistito in questo 2019. A nulla è valsa finora tutta la sensibilizzazione che hanno fatto ACCPI, se non la Fondazione Michele Scarponi, per fare due semplici nomi delle associazioni che stanno smuovendo mari e monti per trovare rimedio ad un problema non da poco dove il rispetto da parte degli automobilisti è pressoché assente. Eppure questa battaglia che va avanti da ormai due anni, insomma, dalla tragica morte di Michele Scarponi, è arrivata fino al Parlamento Italiano. «All’articolo 149, comma 1, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: Durante la marcia i veicoli […]. Fuori dai centri urbani, purché occorrano le condizioni di sicurezza e le condizioni della circolazione lo consentano, il sorpasso dei velocipedi deve essere svolto lasciando una distanza laterale di almeno 1,5 metri».
Con questa frase inserita nel nuovo testo base del codice della strada la Commissione Trasporti ha definito una distanza di sicurezza per il sorpasso dei ciclisti. Ma la verità è che alla base di tutto manca una cosa che pochi riescono a mettersi in testa: il rispetto. Il rispetto verso il prossimo, quell’individuo in bicicletta che può essere un ciclista professionista, un amatore, un anziano, una donna o un uomo che si stanno recando al lavoro, un ragazzino. Tutti padri, madri, figli, nonni, zii, amici di tutti noi. Nessuno riesce ancora a rendersi conto del fatto che ci troviamo sempre e comunque davanti ad un essere umano tremendamente indifeso in sella alla sua bici, nettamente svantaggiato rispetto ad un automobilista. Non si tiene ancora conto del fatto che basta un secondo in più per uccidere una persona, e al contempo un secondo in meno per salvare una vita.
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Foto: Valerio Origo