Ciclismo
Ciclismo, la NextGen italiana: Andrea Bagioli. Lo sbarco alla Deceuninck-Quick-Step per sognare un futuro da protagonista nelle Classiche
Forte su salite di ogni tipo, buon fondista e discretamente veloce, Andrea Bagioli rappresenta una delle maggiori speranze azzure per gli anni a venire sia per quanto concerne le gare in linea vallonate, sia per quel che riguarda le corse a tappe. Dopo due anni particolarmente brillanti in Colpack, tra gli U23, Andrea passerà professionista con la Deceuninck-Quick-Step, la squadra più forte al mondo, e potrà avere come maestro nientemeno che un certo Julian Alaphilippe.
Bagioli è un corridore di assoluto talento, da sempre tra i più promettenti della sua generazione. Andava forte già da junior, quando fu 3° alla Corsa della Pace 2017 e 5° al Giro della Lunigiana dello stesso anno. Non due gare a caso, bensì, le due corse a tappe più dure di categoria. Tra gli u23, però, ha dato l’impressione di essere migliorato ulteriormente e si è dimostrato un prospetto interessantissimo anche per le classiche. Anzi, probabilmente è proprio questa tipologia di competizione quella che più di tutte rappresenta il terreno d’elezione del lombardo.
L’esordio nella categoria fu da stropicciarsi gli occhi. Pronti, via, e fa subito 3° in una classica internazionale tra le più prestigiose del panorama ciclistico italiano u23, vale a dire il Palio del Recioto. Davanti a lui Stefan De Bod, oggi al Team NTT, e un certo Tadej Pogacar. Il resto della stagione prosegue alla grande, Andrea è 2°alla Liegi U23, battuto dal portoghese Joao Almeida, e al Piccolo Giro di Lombardia, dove perde allo sprint da colui che nel 2018 è stato il deus ex machina delle gare in linea più dure riservate agli ex dilettanti, vale a dire Robert Stannard, ora membro del roster della Mitchelton-Scott (sentirete parlare anche di lui).
Per quanto concerne le corse a tappe, Bagioli, nel 2018, vince il Toscana Terra di Ciclismo Eroica, gara di tre giorni che comprendeva anche l’arrivo in salita al Monte Amiata, ove Andrea è 2° dietro al futuro vincitore del Giro U23 Aleksander Vlasov, e una frazione ricca di sterrati, in cui il lombardo attacca col valdostano Michel Piccot e fa tappa e maglia. Al Tour de l’Avenir, invece, crolla al decimo giorno, quando si trovava in 12esima posizione, e conclude 20°.
Il 2019 ha confermato che Bagioli è un prospetto cinque stelle per quanto riguarda le classiche, ma ha gettato qualche ombra sul suo potenziale come uomo da corse a tappe. Ma andiamo per ordine. Nelle gare in linea Andrea è stato dominante, tanto che ha ottenuto anche due successi internazionali. Il primo al Trofeo Città di San Vendemiano, la corsa che si snoda lungo un circuito in cui è presente il durissimo Muro di Cà del Poggio, nel quale ha trionfato in solitaria rifilando 1’45” ai primi inseguitori. Il secondo, invece, è arrivato in quel Piccolo Giro di Lombardia che gli era sfuggito per poco l’anno prima. In quest’occasione il lombardo ha superato allo sprint il promettente francese Clément Champoussin.
E, ora, veniamo alla nota dolente, ovvero le corse a tappe. Bagioli, in questo settore, aveva iniziato benissimo vincendo la classifica generale e le due tappe più dure della Ronde de l’Isard, gara internazionale francese di quattro giorni. Successivamente, però, è stato costretto presto al ritiro al Giro U23 a causa di un malanno fisico, mentre al Tour de l’Avenir, dopo che nelle primissime frazioni la situazione sembrava essergli particolarmente favorevole, è crollato ancor prima dell’arrivo delle grandi montagne, in una tappa mossa tempestata dal maltempo, e non si è più ripreso. Al Giro della Valle d’Aosta, invece, non ha nemmeno provato a giocarsi un posto in top-10 dopo che, nella prima tappa in linea, aveva perso, insieme al resto del plotone principale, a causa di una segnalazione errata che ha fatto prendere loro una strada sbagliata, 16 minuti dai corridori in fuga. Ad ogni modo, in quest’occasione si è parzialmente rifatto vincendo sulla salita di Cervinia, nell’ultimo giorno di gara.
Al momento, dunque, data l’esplosività, il buono spunto veloce e la capacità di cavarsela alla grande su salite di 3/4 km, Bagioli sembra avere già tutto per poter far bene nelle classiche che presentano percorsi duri. Oltre a ciò, comunque, è un corridore che verosimilmente da professionista saprà dire la sua anche nelle corse a tappe di una settimana. Per quanto riguarda quelle più lunghe, invece, ed in particolar modo i grandi giri, ad oggi è un’incognita totale, dato che tra gli u23 non è riuscito a eccellere nelle gare di dieci giorni.
Due anni fa il salto dagli junior agli U23 non lo ha minimamente sofferto, anzi, tutt’altro. Quello che farà nel 2020 dagli ex dilettanti ai professionisti, però, è un’altra cosa. Ci sono stati ragazzi, negli ultimi anni, che sono esplosi già alla prima stagione nella massima categoria, pensiamo, ad esempio, al già citato Pogacar, ma parliamo di corridori che già in precedenza, quando facevano qualche esperienza al piano di sopra, erano capaci di piazzarsi a ridosso dei primi (Tadej ai tempi della Rog Lubiana/Lubiana Xarum Gusto arrivò due volte in top-5 al Giro di Slovenia, tanto per gradire). Lo stesso non si può dire di Bagioli, il quale, al di fuori di un 12° posto al Giro dell’Appennino, non ha altre top-20. Per cui bisogna dargli un po’ di tempo per crescere senza aspettarsi subito prestazioni fuori dal comune, nel 2020 potrà fare qualche buon risultato in gare di secondo piano e andrà bene così. Se arriva qualcosa di maggior pregio è tutto di guadagnato.
Anche perché, al di là del fatto che lui possa essere pronto o no a ottenere già buoni risultati, la concorrenza, in Quick-Step, tra Alaphilippe, il baby fenomeno Remco Evenepoel, talento debordante che sta in una dimensione a sé, e Bob Jungels, difficilmente gli permetterà di ritagliarsi un suo spazio. D’altro canto, per un agonista come Bagioli, crescere in un ambiente così competitivo potrebbe essere uno stimolo per migliorarsi ulteriormente.
luca.saugo@oasport.it
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Foto: Facebook