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Rugby, Franco Smith da traghettatore a possibile capitano dell’Italia. E se fosse il ct giusto?

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Quale sarà il futuro del rugby italiano? Almeno di quello colorato d’azzurro? La domanda dopo l’ultima Coppa del Mondo è lecita e una risposta oggi la Federazione non sa darla. L’addio di Conor O’Shea era scritto, forse non così repentino e, soprattutto, non con Rob Howley ct in pectore che si fa pizzicare a scommettere su migliaia di partite di rugby. Squalifica sacrosanta e opzione per il futuro cestinata.

Così, ecco che in vista del Sei Nazioni che partirà a febbraio, Alfredo Gavazzi ha scelto la soluzione più facile. Franco Smith, tecnico messo sotto contratto come assistente, promosso a ct della nazionale per il torneo continentale. Poi si vedrà. Uno staff tecnico rimasto quasi identico al passato (oltre a O’Shea ha salutato anche Mike Catt) per affrontare i primi mesi del 2020 e poi si trarranno le conclusioni. Si segue sempre la pista neozelandese – leggesi Vern Cotter – ma nelle ultime settimane il presidente Gavazzi ha fatto capire che Franco Smith potrebbe restare ct anche per il futuro. Ma sarebbe un bene o un male per il rugby azzurro?

Partiamo dai risvolti meno convincenti. Smith non ha esperienza internazionale, dopo aver allenato la Benetton Treviso è passato ai Cheetahs, anche se negli ultimi anni ha spesso collaborato attivamente con gli Springboks sudafricani. Lo staff attuale va rivisto completamente e l’arrivo di Alessandro Troncon non è certo la soluzione per i problemi del rugby azzurro, anzi. Franco Smith, insomma, dovesse rimanere dovrebbe avere le mani libere per mettere su una squadra di tecnici di sua fiducia e convincenti.

Ma Franco Smith – a differenza dei suoi predecessori – conosce bene l’Italia e il rugby italiano. Arrivato nel 2001 a Bologna, un anno dopo è passato a giocare con la Benetton Treviso fino al 2005. Tornato in Patria per farsi le ossa in panchina nei Cheetahs come assistente, nel 2007 è tornato a Monigo per guidare proprio la Benetton. Con Treviso ha vinto due scudetti e, soprattutto, ha guidato la transizione nell’allora Celtic League. Tornato in Sudafrica, dal 2016 è stato allenatore dei Cheetahs.

Insomma, Smith conosce i giocatori italiani, conosce l’ambiente e – soprattutto – conosce quelle dinamiche anche politiche che ruotano attorno al rugby italiano e alla nazionale. Sa la nostra lingua, ha uno stile di gioco che da sempre si è ben adattato agli azzurri – vedi i suoi anni a Treviso – e sicuramente è un uomo che ha fame di vittorie. Dal carattere spigoloso non è uomo che si fa manovrare facilmente, non ama il palcoscenico, ma preferisce i fatti alle parole. Insomma, un uomo che potrebbe essere anche quello giusto nel posto giusto.

 

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Foto: Ettore Griffoni – LPS

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