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Sci alpino, infortuni a catena e Italia decimata. E’ uno sport pericoloso? Le statistiche dicono che…

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Dominik Paris, Sofia Goggia, Manfred Moelgg, Simon Maurberger, giusto per citare gli ultimi illustri infortunati in casa Italia. Ma non sono gli azzurri a essere più sfortunati degli altri, basti pensare all’Austria femminile decimata negli ultimi anni da guai a ginocchia o gambe occorsi in serie a Fenninger-Veith, Brem, Brunner, Bernadette Schild, Kappaurer, Huetter, le prime due travolte all’apice della carriera e mai più tornate a precedenti livelli.

Gli appassionati si interrogano ormai da molti anni, ma non esiste una risposta al pur lecito quesito: dove sta andando lo sci alpino a livello agonistico? E’ troppo pericoloso? In realtà no. E’ uno sport meraviglioso, all’aria aperta, con panorami unici, che a questi livelli di agonismo comporta una dose di rischio messa pur sempre in conto dagli atleti. Ovviamente, la pericolosità attuale è legata all’evoluzione dei materiali.

Nemmeno un lustro fa realizzai un’inchiesta su questo stesso argomento, ascoltando diversi atleti proprio al momento del cambio di raggio di curva in gigante maschile, che influì notevolmente sui dolori alla schiena degli sciatori (la FIS per fortuna ci ha poi ripensato, mentre nulla è cambiato a livello femminile). Le osservazioni più interessanti le fece però l’ex responsabile delle commissione medica della FIS e presidente onorario di quella F.I.S.I., un luminare in materia, il professor Herbert Schoenhuber, che lo scorso anno festeggiò 40 anni dal… suo ingresso nella Federazione Italiana Sport Invernali. Le sue parole furono illuminanti, intanto sui due momenti chiave che hanno completamente trasformato lo sport dello sci: l’introduzione dello scarpone in plastica nei primi anni ’70 (gli anni delle fratture), e quella dello sci “sciancrato” sul finire dei ’90, il decennio dei primi ‘crociati’. Una statistica ha calcolato che le due stagioni successive a queste innovazioni hanno fatto registrare il numero più alto di infortuni in Coppa del Mondo (o durante gli allenamenti) ed è tuttora così, nel senso che non si è più registrato un numero così elevato di atleti ‘feriti’. In più, con i materiali nuovi occorre molta più forza che in passato. Gli atleti moderni riescono sì a imboccare curve impossibili a velocità elevata, ma per farlo devono aumentare la forza e questo spesso comporta dei carichi di lavoro al limite della sopportazione. Difficile pensare ci possa essere un rimedio a questa situazione, l’evoluzione anzi continua.

E’ ovviamente aumentato, anche solo rispetto agli anni ’70 e ’80, il numero delle gare previste nel circuito, a volte anche oltre 40 tra fine ottobre e metà marzo. Siamo arrivati al limite, da questo punto di vista. “La media – raccontava Schoenhuber ad Avvenre nel 2019è di almeno quattro infortuni a stagione per gli atleti della prima squadra azzurra, con tibie e crociati da operare sistematicamente. E il 70% dei nostri atleti sono passati dal mio bisturi”. Ecco un altro passaggio significativo: “Il 30% della traumatologia distorsiva è il triste primato che lo sci condivide con il calcio. In quanto consulente delle giovanili del Milan, sono testimone di un “allarme infortuni” che riguarda almeno 7-8 ragazzini, tra i 12-13 anni, che, a ogni stagione, dobbiamo sottoporre a intervento chirurgico per la rottura dei crociati. E se a quell’età fratturi il crociato anteriore, la percentuale di recidiva è altissima e operarli di nuovo, senza compromettere la formazione delle cartilagini, diventa sempre più difficoltoso… Il vero problema da risolvere è alzare l’età dello sport di vertice a 16-17 anni, ma le pressioni di genitori e procuratori lavorano nella direzione opposta e tendono ad abbassarla ancora, anche sotto ai 12 anni».

Nello sci i nuovi materiali sottopongono le ginocchia a delle pressioni fortissime, al minimo movimento non previsto, il ginocchio rischia di ‘saltare’. Esiste un rimedio a tutto ciò, a parte la preparazione fisica curata nei minimi dettagli? Probabilmente no, anche se c’è chi è riuscito ad avere una carriera da fenomeno nello sci alpino senza mai farsi male alle ginocchia, la slovena Tina Maze per esempio. Fortuna, o merito della sua capacità di lavorare atleticamente al meglio e spingersi, come ha sempre sostenuto lei, al 95%, ma mai al 110%, delle sue capacità e dei suoi limiti? Impossibile rispondere.

In realtà, analizzando i dati statistici, si scopre che lo sci è probabilmente lo sport di velocità meno rischioso in assoluto ed è addirittura più sicuro di altre discipline come la corsa o il calcio. Secondo un modello matematico realizzato dall’Università di Salisburgo, che misura l’indice di rischio dei vari sport, in una scala da 0 a 100 il calcio si posiziona al primo posto con un indice di rischiosità pari a 41. Secondo posto per l’equitazione, a seguire il ciclismo. Con indice di rischiosità 12 si posizionano al quarto posto i giochi con il pallone, la mountain bike e lo snowboard. Con indice 9, al settimo posto c’è lo sci, seguito con indice 8 da sport come l’aerobica e l’attrezzistica.

Certo, poi si vedono atleti che effettuano una normale scivolata apparentemente senza conseguenze (come Fenninger) o che nemmeno cadono e si ritrovano con un infortunio grave al ginocchio dal quale non riescono più a riprendersi.

E’ l’evoluzione della specie. O semplicemente dei materiali. Ed è difficile pensare di fermarla.

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gianmario.bonzi@gmail.com

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Foto: Pentaphoto

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