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Scacchi: Sergio Mariotti, l’uomo che sfiorò il Torneo dei Candidati. La storia dell’Interzonale di Manila 1976

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Nessun italiano ha mai giocato il Torneo dei Candidati. Non ci è riuscito neppure Fabiano Caruana, che ha dovuto aspettare il 2016 per arrivarci e il 2018 per vincerlo; tuttavia, in quei due anni il tricolore accanto al suo nome non è comparso, perché dal 2015 è tornato a rappresentare gli Stati Uniti. Prima di Caruana, però, un altro giocatore del nostro Paese è andato vicinissimo a giocare quel torneo, arrivando a un solo step di distanza. Quell’uomo è Sergio Mariotti.

Soprannominato “The Italian Fury” oltre i nostri confini, Mariotti, nato a Firenze il 10 agosto 1946, è stato capostipite della scuola scacchistica italiana in particolare negli Anni ’70, i suoi più belli davanti alla scacchiera. Il suo nome è inciso nella storia degli scacchi italiani anche per un altro motivo: è stato il primo giocatore azzurro a essere insignito del titolo di Grande Maestro. Accadde nel 1974, quando conquistò il bronzo in prima scacchiera alle Olimpiadi scacchistiche di Nizza. Ha ottenuto inoltre risultati di grande prestigio contro tanti campioni, mondiali e non: patte con Anatoly Karpov, Tigran Petrosian, Boris Spassky, tre uomini arrivati sul tetto del globo, vittorie con Viktor Korchnoi, Lev Polugaevsky e altri ancora. Tutto questo lo fece con una caratteristica particolare: non è mai diventato un giocatore professionista. Mariotti, infatti, è sempre stato uno dei pochissimi GM dilettanti, poiché nella vita di tutti i giorni lavorava al Banco di Roma, dovendo perciò chiedere dei permessi per andare a giocare nei tornei nazionali e internazionali.

E fu proprio in una situazione simile che andò a giocare il Torneo Interzonale di Manila, uno dei due che all’epoca davano accesso alla ristretta schiera dei Candidati. Mariotti ci arrivò vincendo il torneo Zonale di Caorle, uno dei dodici che furono istituiti per l’accesso ai due Interzonali. Arrivò primo a pari merito con il (forte) Maestro Internazionale portoghese Joaquim Durão, con il punteggio di 11.5/15; si classificò sesto un altro esponente di spicco degli scacchi italiani dell’epoca, Bela Toth, nato in Ungheria, trasferitosi nel nostro Paese negli Anni ’70, naturalizzato e anche lui in grado di raggiungere risultati di primo livello in molte competizioni. Tra Mariotti e Durão fu necessaria la disputa di uno spareggio, che l’italiano vinse per 3-0.

Il Torneo Interzonale di Manila si giocò tra il 13 giugno e il 10 luglio 1976. Venti giocatori vi parteciparono: tra essi quattro dei primi dieci del mondo di allora, i sovietici Polugaevsky e Spassky, lo jugoslavo Ljubomir Ljubojevic e il brasiliano Henrique Mecking. Di quest’ultimo si è spesso parlato poco, in maniera ingiusta, perché dopo l’improvvisa scomparsa dalla scena scacchistica di Bobby Fischer e il declino del danese Bent Larsen è stato per molti anni il più forte giocatore fuori dalla sfera d’influenza sovietica o comunque all’interno dell’Europa dell’Est o dei Balcani. C’erano anche valenti esponenti di ben differenti scuole: l’argentino Oscar Panno, il filippino Eugenio Torre (ancora oggi in giro per tornei e Olimpiadi scacchistiche), il tedesco dell’Est perenne studioso della Difesa Francese Wolfgang Uhlmann, l’ungherese Zoltan Ribli, il tedesco dell’Ovest Ludek Pachman.

Come Mariotti stesso ha raccontato in numerose occasioni, i sovietici arrivarono nelle Filippine una decina di giorni prima, riuscendo così ad acclimatarsi correttamente. Per lui, invece, che aveva avuto bisogno di un permesso dal Banco di Roma per poter andare a giocare il torneo, la sequenza fu questa: partenza dall’Italia dopo un lunedì di lavoro, arrivo (per sua stessa ammissione) con un caldo infernale all’ombra il martedì, inizio del torneo il mercoledì. Eppure le cose non cominciarono male: rapida patta con Mecking dopo 18 mosse.

Il pegno del viaggio, però, Mariotti lo pagò per una buona fetta della prima parte del torneo: contro il ceco Vlastimil Hort perse in 41 tratti con la qualità in meno nel centro di partita, poi pattò con l’americano Walter Browne, si ritrovò in posizione persa dopo 22 mosse (e abbandonò) con Uhlmann. Vinse, però, in un finale di Donna e Torre contro il canadese Peter Biyiasas, che a un certo punto non fece nulla per evitare uno scacco che gli causò la perdita della propria Donna e la sconfitta. Subito dopo, però, arrivò una sconfitta che a Mariotti ha continuato a bruciare per anni, contro Ljubojevic. Dopo sei turni la classifica lo vedeva con un punto e mezzo, lontano dalle parti alte.

Dalla settima partita in poi le cose, per il nativo di Firenze, migliorarono: riuscì a pattare con il sovietico Yuri Balashov e, soprattutto, con Spassky, che solo sette anni prima era stato Campione del Mondo e che sarebbe rimasto tra i migliori ancora per tanto tempo. Al nono turno arrivò un’altra sconfitta con Ribli, seguita da una patta contro Torre. All’11° turno Mariotti riuscì a battere il sovietico Vitaly Cheskovsky (che nella traslitterazione anglofona è Tseshkovsky), ed è uno dei punti persi per strada che impedirono a quest’ultimo di sopravanzare Mecking, Polugaevsky e Hort, i tre che si sarebbero poi qualificati. Subito dopo, però, giunse un’inattesa (e infelice) sconfitta con uno dei due giocatori meno quotati presenti a Manila, l’iraniano Khosro Harandi, che è stato il primo Maestro Internazionale del suo Paese. Bisogna in questo caso fare un’annotazione: quando si parla di “meno quotati”, si tratta pur sempre di uomini davvero molto forti. Mariotti, per rendere l’idea, aveva allora un rating ELO di 2470 e Harandi di 2380. Karpov, allora leader della lista FIDE, era a quota 2695.

Questa sconfitta, per il nostro Grande Maestro, fu l’ultima della manifestazione. Di qui in avanti, infatti, ingranò un’altra marcia, tardiva per le posizioni di testa, ma comunque testimonianza della sua ritrovata vena. Al 13° turno pattò con Panno, al 14° batté, con una brillante intuizione in mediogioco, Lubomir Kavalek, ex cecoslovacco diventato americano da qualche tempo e poi riconosciuto allenatore di tanti Grandi Maestri di notevole forza. Subito dopo fu Pachman a cadere sotto i colpi di una Nimzo-Indiana da cui l’italiano uscì meglio e riusci, con il Nero, a sfruttare lo spazio concessogli dal Bianco.

Venne poi una patta di grandissimo valore, perché ottenuta contro Polugaevsky, per quasi trent’anni, fino ai primi ’90, tra i più forti del mondo, cui seguirono due vittorie con Tan Lian Ann, di Singapore, e l’argentino Miguel Quinteros, che curiosamente ricorda Manila per un altro motivo: lì incontro una modella che divenne poi sua moglie. L’ultima partita fu anch’essa conclusa con l’equa divisione del punto, con il rumeno Florin Gheorghiu.

Sergio Mariotti concluse quel Torneo Interzonale al 10°-13° posto, con 10 punti, due e mezzo in meno del terzo posto che sarebbe stato necessario per andare tra i Candidati. Avrebbe poi continuato a giocare ancora per molti anni, sebbene con minor frequenza a causa degli impegni lavorativi con la banca. Il suo livello di gioco è comunque rimasto molto alto: ancora negli Anni 2000 non disdegnava i tornei a cadenza veloce, vincendone anche di forti (come quello di Rocca di Papa, che per una decina d’anni ha richiamato grandi stelle, tra cui Korchnoi, un giovanissimo Caruana e l’ucraino Vassily Ivanchuk). Dal 1994 al 1996 è stato Presidente della Federazione Scacchistica Italiana, e attualmente ama ancora parlare e scrivere di scacchi. Non ha mai amato le conclusioni a cadenza veloce dei match per il titolo mondiale, che ritiene una forzatura di qualcosa che, dopotutto, a cadenza classica è e tale dovrebbe rimanere.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: zef art / Shutterstock.com

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