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F1, Ferrari e un peso politico ritrovato. Il lavoro di Binotto e Camilleri inizia a portare frutti

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Si è fermi in attesa di un cambiamento, in attesa di discontinuità. Il Coronavirus è salito in cattedra e a noi tutti, chiusi nelle nostre case, non resta che attendere qualcosa di diverso. Il Circus della F1 si è dovuto adeguare al momento di difficoltà. In Australia, forse, la gravità della situazione non era ben chiara, ma il Covid-19 contratto da uno dei meccanici McLaren ha fatto aprire gli occhi.

Di fatto, contando l’annullamento di ieri del GP di Azerbaijan (7 giugno), sono 8 i round saltati per aria e sull’inizio di questo campionato ci sono tanti punti interrogativi. Si inizierà davvero in Canada il 14 giugno, oppure anche in questo caso assisteremo a un rinvio? Che stagione potrà essere? A queste domande difficile rispondere. Quello che si può dire con certezza è che la Ferrari, dal punto di vista politico, dei passi in avanti ne ha fatti.

La scomparsa nel 2018 di Sergio Marchionne aveva aperto una voragine sotto questo profilo e i timori di una Rossa priva di polso nella stanza dei bottoni non erano pochi. La gestione di Mattia Binotto, specie all’inizio, è stata la rappresentazione de “L’uomo solo al comando“, ma il tecnico italo-svizzero non era Fausto Coppi che poteva fronteggiare il Tourmalet e il Galibier con facilità, staccando tutti.

Per questo la sensazione è stata di una Ferrari arrivata dopo, quando invece in Mercedes i conti quadravano anche grazie a un’azione assai efficace. Negli ultimi mesi, però, una controtendenza si è notata ed è coincisa con la vicenda della power-unit 2019. Il motore della SF90 è finito al centro della scena e le accuse dei rivali non sono mancate sulla sua regolarità. Basta chiedere a “Sir” Max Verstappen. Tuttavia l’accordo tra il team di Maranello e la Fia, con la possibilità che il Cavallino Rampante possa fungere da collaboratore con la Federazione nello studio dei propulsori, ha scatenato il paddock, prima che il Coronavirus buttasse un po’ d’acqua sul fuoco.

Una mossa strategica quella della Rossa, simile a quella che anni prima fecero le Frecce d’Argento sul tema “motore ibridi”. Sappiamo tutti poi come è andata a finire e cosa sia accaduto nel 2014. A questo episodio ne vanno associati anche altri: la scelta di rimandare la “rivoluzione tecnica” nel 2022 e l’annullamento del fine settimana australiano. Ferrari, infatti, sulle nuove norme, avrebbe potuto avere un vantaggio in caso di cambio di “spartito” l’anno venturo. Tuttavia, le difficoltà nella gestione progettuale tra due modelli così diversi, in un range temporale limitato, ha portato a cambiare la rotta e il parere del Cavallino è stato determinante.

Un discorso simile riguarda anche il grande caos a Melbourne. Nella famosa riunione dei Team Principal le opinioni, per quello che si è detto e scritto, non erano convergenti sul da farsi: Ferrari non voleva correre e Mercedes invece era di un’altra idea. Ecco che ci ha pensato il n.1 del gruppo Daimler Ola Källenius a scavalcare Toto Wolff e a dir di fare come la scuderia di Maranello. Un’indicazione chiara, frutto di un rapporto di rispetto reciproco tra Källenius e John Elkann (presidente della Ferrari). Il riferimento è a una telefonata di qualche giorno prima per far sì che gli attriti non vi fossero più tra i due top team.

Per tutta serie di ragioni, sul fronte politico, la Rossa è tornata a contare un po’ di più e questo anche per quanto si vedrà in pista (si spera al più presto) male non farà.

 

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giandomenico.tiseo@oasport.it

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Foto: LaPresse

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