Sci di fondo
L’Italia è grande: l’immortale staffetta azzurra che fece piangere i Vichinghi e il Re di Norvegia a Lillehammer 1994
Il silenzio più assordante della storia dei Giochi Olimpici Invernali, un silenzio moltiplicato per 200mila spettatori festanti e pronti a gridare. Tanti sono i presenti a Lillehammer, il 22 febbraio 1994, ognuno pronto a sventolare la bandiera norvegese, per assistere all’evento che, ad ogni edizione olimpica, blocca la nazione intera, la staffetta 4×10 chilometri di fondo maschile. Stavolta la Norvegia, dove il fondo è lo sport nazionale, gioca in casa e non può sbagliare. Il quartetto è uno dei più forti mai schierati nella storia di questa disciplina: Sture Sivertsen e Vegard Ulvang in tecnica classica, Thomas Alsgaard e il campionissimo Bjoern Daehlie, che al collo di medaglie d’oro olimpiche, tra Albertville e Lillehammer, ne aveva già cinque, in tecnica libera.
I norvegesi, fino a quel momento, hanno dominato le gare individuali di sci di fondo e l’idea di tutti, spettatori e forse anche avversari, è che nella staffetta si gareggi per il secondo posto. Tutti tranne quattro, Maurilio De Zolt, Marco Albarello, Giorgio Vanzetta e Silvio Fauner, i componenti della staffetta italiana. L’Italia del fondo, a Lillehammer, è dominante al femminile con Mauela Di Centa sempre sul podio e Stefania Belmondo che porta a casa qualche medaglia, nonostante una condizione precaria. L’Italia al maschile, nelle gare individuali che precedono la staffetta, conquista due prestigiosi bronzi con Marco Albarello e Silvio Fauner, ma in casa azzurra si prepara la 4×10 come la gara della vita.
Alla partenza ci sono 14 squadre, la giornata è soleggiata e per gli skimen il lavoro è tutto sommato di routine. Ad impressionare è la marea rossa che, nonostante il freddo, fin dalle prime ore del mattino, si assiepa attorno al circuito di 5 km che sarà teatro da lì a poco a quella che tutti, tranne i norvegesi, chiameranno da lì in poi “The Great Race”. Sandro Vanoi, tecnico azzurro, azzarda e in prima frazione schiera il Grillo, Maurilio De Zolt, un cagnaccio di 43 anni che al collo ha due medaglie d’argento nella 50 chilometri a Calgary e ad Albertville. De Zolt è, come tutti gli azzurri tranne Albarello, specialista della tecnica libera, ma stavolta se la dovrà vedere con i mostri sacri della tecnica classica, il norvegese Sivertsen e il finlandese Myka Myllylae, ed ha un compito: completare la sua frazione con meno di 30” di distacco dai primi.
De Zolt sembra non sentire il peso degli anni e resta lì con il gruppo di testa, rispondendo agli attacchi dei due rivali che sanno di dover spingere a fondo per staccare l’Italia. Il Grillo perde contatto da Finlandia e Norvegia solo nell’ultima discesa che porta allo stadio e passa il testimone ad Albarello con soli 9 secondi e 8 decimi di distacco. Il capolavoro è quasi compiuto e a completare l’opera ci pensa l’oro di Oberstdorf 1987, che si riporta abbastanza velocemente sotto al duo di testa composto dal veterano finlandese Harri Kirvesniemi e da Vegard Ulvang, altro fuoriclasse, amatissimo dal pubblico norvegese, che però arriva a Lillehammer non al meglio della condizione per i tanti allenamenti persi dopo cinque mesi di ricerche inutili del fratello Kjetil, disperso in circostanze misteriose in ottobre nel profondo Nord della Norvegia.
Albarello va addirittura a condurre il terzetto, quasi un gesto di sfida che fa demordere gli avversari dai tentativi di attacco. L’Italia non solo limita i danni in classica ma addirittura cambia prima con Vanzetta, a cui non sembra vero di non dover effettuare la solita rimonta nei confronti di un’altra leggenda del fondo norvegese, Thomas Alsgard, e di Jari Rasanen. E’ proprio quest’ultimo a fare l’andatura per lunghi tratti della terza frazione, mentre da dietro tutti sono staccatissimi e nessuno può rientrare. Il trio resta unito fino all’ultimo cambio: per l’Italia c’è Silvio Fauner, per la Finlandia Jari Isometsae, per la Norvegia Bjorn Daehlie, il campione su cui sono riposte tutte le speranze del Paese che pulsa per il fondo. Sono 10 chilometri di adrenalina pura. Daehlie, ad ogni salita, prova ad attaccare, ma Fauner gli si incolla sulle code degli sci, mentre Isometsae, nell’ultima salita prima del giro finale di 5 km, molla la presa e si stacca.
Per i successivi 4 chilometri Daehlie e Fauner viaggiano all’unisono e in tutta la Norvegia sale la paura perché l’uomo di Sappada in volata è letale. Daehlie produce l’ultimo sforzo sovrumano nella salita che conduce allo stadio, ma Fauner non lo molla di un centimetro e quando il norvegese, a fine salita, gli chiede di passare, il sogno diventa realtà. Fauner attende, quasi si ferma, fa innervosire ancora un po’ il campionissimo e in discesa lo supera perché vuole impostare la volata in testa. Ai 300 metri l’andatura dei due è lenta, mentre lo stadio ribolle di passione e i 200mila gridano, quasi a invocare gli dei del grande freddo. Fauner entra nel rettilineo finale in testa e imbocca la corsia interna, Daehlie ai 100 metri tenta di uscire per piazzare il sorpasso ma le tre spinte successive di Fauner non lasciano scampo al norvegese, che riprova negli ultimi 20 metri a rientrare.
Non c’è nulla da fare, Fauner supera la linea del traguardo con un saltello e le uniche grida che squarciano il silenzio di Lillehammer, da lì in poi, sono quelle dei quattro azzurri, dello staff tecnico e del centinaio di tifosi italiani che non stanno nella pelle dalla gioia. Una delusione immensa per il pubblico, pari forse nella storia dello sport solo a quella sofferta 44 anni prima dai brasiliani presenti al Maracanà, quando l’uruguagio Ghiggia li privò del Mondiale di calcio che sembrava già vinto. Addirittura Re Harald abbandona sconsolato lo stadio del fondo, senza assistere alla premiazione. Vincere un oro olimpico è sempre un’emozione straordinaria, vincerlo in questo modo, in casa dei maestri, è impresa storica. Nelle due successive edizioni dei Giochi Olimpici l’oro della staffetta andrà sempre alla Norvegia in volata sull’Italia, ma i norvegesi avrebbero barattato volentieri anche dieci vittorie in altre parti del mondo con quella che gli fu negata dai quattro favolosi moschettieri d’Italia, dominatori nella terra dei re nordici.
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