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L’Italia è grande: Cova, Cova, Cova!

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Ha vinto tutto quello che c’era da vincere, Alberto Cova: campione europeo 1982, campione olimpico nel 1984 ma soprattutto campione del mondo alla prima edizione della rassegna iridata a Helsinki nel 1983. Una gara che accende ancora oggi la fantasia degli appassionati di atletica per la spettacolare rimonta nel rettilineo conclusivo inscenata dall’atleta nato a Inverigo l’1 dicembre 1958 e, da spettatori televisivi, per la telecronaca di Paolo Rosi, di una semplicità e allo stesso tempo di una intensità unica, grazie anche al cognome del protagonista, breve e cacofonico, che si prestava alla ripetizione forzata senza troppi inghippi.

Alberto Cova si rivela al mondo dell’atletica a modo suo, con una volata impetuosa, agli Europei di Atene del 1982. Magro, tutt’altro che longilineo, allenato da Alberto Rondelli arriva da ousider agli Europei di Atene e, nel rettilineo finale dei 10.000 riesce a sopravanzare il gigante finlandese Vainio e il tedesco orientale Schildhauer con uno scatto impetuoso. Un successo sorprendente che consegna al mezzofondista lombardo la consapevolezza di poter davvero fare la differenza sul terreno preferito, lo spunto finale, in ambiti assoluti come saranno un anno dopo i Mondiali di Helsinki e come dovrebbero essere due anni dopo i Giochi Olimpici di Los Angeles.

Nello stesso anno Cova si aggiudica anche l’argento ai campionati europei indoor nei 3000 e mette in mostra anche ottime doti di corridore “fuoripista”, chiudendo settimo i Mondiali di corsa campestre vinti dall’etiope Mohamed Kedir.

A Helsinki si disputano i primi Mondiali della storia. L’Italia gioisce con un Mennea agli ultimi vagiti della carriera ma capace ancora una volta di essere grande protagonista e catalizzatore di attenzioni ma si accorgerà del suo campione del mezzofondo solo nell’ultimo giro dei 10 mila metri. E’ il 6 settembre 1983, l’invasione africana nelle corse più lunghe in pista e fuori deve ancora compiersi anche se qualche atleta di colore nella finale della gara più lunga c’è ma i rivali più temuti per l’azzurro sono i tedeschi orientali Hansjörg Kunze e Werner Schildhauer, il finlandese idolo di casa Martti Vainio e il veterano portoghese Carlos Lopes: una sorta di rivincita dell’Europeo di un anno prima.

Gli africani provano qualche azione nella parte centrale di una gara lenta, come piace a Cova, ma vengono subito rintuzzati e perdono ben presto brillantezza e contatto dai primi. A tre quarti di gara ci prova l’idolo di casa Martti Vainio, lo stadio si infiamma. Le lunghe leve del finnico sembrano scavare un solco ad ogni falcata nei confronti degli avversari ma Vainio in realtà spende più energie del terreno che riesce a guadagnare. A un giro dalla fine lo strappo decisivo. Cova è ottavo, fatica ma non molla e al suono della campana si trova quinto di un gruppetto sgranato. 

L’azione che sembra poter spaccare la gara in due all’ultimo giro è del tedesco Kunze ma all’inseguimento si piazza il tedesco Schildhauer, unico africano rimasto nel gruppetto di testa e del quale fanno parte anche Vainio, Shahanga e Cova, apparentemente al gancio. Soffre ma non molla l’azzurro che, ai 150 metri, sembra fuori dai giochi per l’oro. Sembra, perchè sul rettilineo finale si rimescolano incredibilmente le carte. Kunze si imballa, Vainio sembra avere la forza per superarlo e andare a vincere ma anche lui perde brillantezza, Schildhauer in una sfida “fratricida” tutta tedesca supera il compagno a 30 metri dal traguardo ma non fa i conti con il finale di Cova che si allarga addirittura in quarta corsia e innesta la marcia superiore. La patente per la leggenda all’atleta lombardo la consegna direttamente Paolo Rosi dai microfoni Rai. Sembra quasi spingere l’atleta azzurro nella sua incredibile, immortale rimonta: Cova, Cova, Cova, Cova, Cova, Covaaaaa, Covaaaaaa” sette volte, quasi a scandire il mulinare delle gambe del mezzofondista italiano che mette in fila Schildhauer, Kunze, Vainio e Shahanga. “Magnifico! 28’01″04 ma che ci importa del tempo!” Anche un gentleman del microfono come Paolo Rosi perde ogni freno inibitorio e si lascia andare alla gioia che pervade ogni tifoso italiano, testimone di una delle più grandi imprese della storia dell’atletica tricolore.

Un anno dopo Cova vincerà l’oro olimpico vincendo il duello con il “solito” Vainio per cui lo scattante azzurro sarà un vero e proprio incubo in una carriera che, senza il lombardo “fra i piedi” sarebbe potuta essere molto più sfavillante. Nel 1986 Cova sarà protagonista, agli Europei di Stoccarda, di un’altra gara indimenticabile per il mezzofondo italiano ma stavolta a prevalere in volata fu un altro azzurro, Stefano Mei che sopravanzò il campione olimpico e l’astro nascente Totò Antibo. E’ l’inizio del crepuscolo di una carriera straordinaria: nel 1987, ai campionati mondiali di atletica di Roma, Cova finisce fuori dalla finale, così come l’anno dopo, alle Olimpiadi di Seul, in Corea del Sud. All’indomani della gara a Cinque Cerchi Alberto Cova darà l’addio alle gare ma il suo rettilineo di Helsinki resterà scolpito per sempre nella leggenda dello sport italico.

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