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L’Italia è grande: Fabio Casartelli, l’oro di Barcellona 1992 e il dramma di una vita spezzata troppo presto

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Il connubio titolo olimpico e fortuna in carriera nel ciclismo su strada, almeno fino a quando le gare a cinque cerchi erano proibite ai professionisti, ha funzionato in pochissimi casi, a tal punto da creare la leggenda nell’ambiente che quell’oro (così come il titolo mondiale dilettanti, conquistato l’anno prima di passare professionisti) portasse proprio sfortuna. In un caso, però, la sfortuna superò ogni limite: quando ad aggiudicarsi l’oro olimpico della prova su strada di Barcellona 1992 fu il comasco Fabio Casartelli, nativo di Albese con Cassano che già nel 1932 festeggiò un altro successo olimpico di un suo cittadino, Paolo Pedretti, oro nell’inseguimento a squadre a Los Angeles.

Nato in una famiglia dove il ciclismo aveva sempre trovato spazio, dal nonno al padre Sergio, corridore dilettante di buon livello, Casartelli a 9 anni indossa già la sua prima divisa, quella della GS Alzatese Mobili Zappa, importante società sportiva del comasco. Nel 1991 diventa dilettante e, sotto la direzione di un guru come Olivano Locatelli, vince due edizioni consecutive della Montecarlo-Alassio e altre gare importanti come il GP Diano Marina e la Coppa Casale. Il commissario tecnico della nazionale dilettanti Giosuè Zenoni osserva con attenzione le prestazioni del ciclista lombardo, decidendo di convocarlo per i Giochi di Barcellona, dove il ciclismo sarebbe stato per l’ultima volta riservato ai non professionisti.

Zenoni seleziona il trio per la prova in linea, composto da Mirco Gualdi, già Campione del Mondo tra i dilettanti nel 1990 in Giappone, Davide Rebellin, emerso sin da giovane come un vero “uomo squadra” e appunto Fabio Casartelli.

Per trovare successi azzurri alle Olimpiadi bisogna andare indietro nel tempo: Attilio Pavesi si impose nella 100 km individuale, che all’epoca faceva le veci della prova in linea, a Los Angeles 1932. Ercole Baldini, soprannominato Il Treno di Forlì, era diventato campione olimpico nella prova in linea a Melbourne 1956, il sorprendente Mario Zanin vinse a Tokyo nel 1964, seguito dal bresciano Pierfranco Vianelli vincitore nel 1968 a Città del Messico. Poi più nulla, con qualche cocente delusione, come il secondo posto di Giuseppe Martinelli all’Olimpiade di Montreal 1976.

Sulla squadra azzurra a Barcellona gravano dunque forti attese, vista la classe degli atleti selezionati. Il clima di Barcellona è, come di consuetudine nell’estate catalana, rovente, con temperature abbondantemente sopra i 30°. Ma la squadra italiana non si lascia certo intimorire dalla canicola e si allena con determinazione sulle strade della città e del Montjuïc, la collina sulla quale sorge lo Stadio Olimpico. Il grande giorno è domenica 2 agosto 1992: gli avversari sono tanti e ben organizzati. Tra questi Lance Armstrong, futuro capitano di Casartelli e vincitore (poi squalificato) di sette Tour de France, ma anche ciclisti destinati a carriere folgoranti fra i professionisti come Weseman, Pascal Herve, Zabel, Dekker, Piasecki, Totschnig.

Tutti temono gli azzurri, in particolare Gualdi e Rebellin. In realtà, sin dai primi chilometri si capisce come sia il bergamasco che il veneto intendano coprire Casartelli, ritenuto il più in forma e il più adatto a brillare sul circuito catalano. La tattica degli italiani ha la meglio. Ad un giro dal termine parte la fuga decisiva e dentro c’è proprio Casartelli, assieme all’olandese Dekker e al lettone Ozols. Il vantaggio si dilata velocemente e si capisce che da dietro nessuno, neppure Lance Armstrong, potrà andare a riprendere il terzetto, destinato a giocarsi le medaglie.

Il comasco, brillante passista-veloce, si ritrova dunque a lottare per il successo con i due compagni di fuga ma allo sprint non ce n’è per nessuno, tant’è che Casartelli vince addirittura per distacco a braccia alzate, con 1” sull’olandese Erik Dekker, destinato ad una grande carriera tra i professionisti, e 3” sul lettone Danis Ozols. Quarto, ma ad oltre 30”, il tedesco Erik Zabel, futuro Signor Sanremo. Lance Armstrong chiude al dodicesimo posto. Sul podio è festa grande, Casartelli si rende conto di essere entrato nella storia del ciclismo italiano ma resta con i piedi per terra, a tal punto da tornare a casa in pullman con i tifosi, i genitori e la fidanzata Annalisa che poi sarebbe diventata sua moglie.

Poco meno di tre anni dopo a Pau, il 10 luglio 1995, le braccia alzate al cielo sarebbero state proprio quelle di Lance Armostrong, capitano della Motorola. Alzate al cielo all’arrivo di una tappa trasformata in lento trasferimento dal gruppo del Tour nel ricordo, fra le lacrime, proprio dell’amico e compagno Fabio Casartelli, deceduto il giorno prima in una terribile caduta nella discesa del Col du Portet d’Aspet, attorno a mezzogiorno durante la quindicesima tappa del Tour de France. L’immagine di Casartelli riverso sull’asfalto dopo aver colpito in scivolata con la testa il muretto sul bordo della strada fa il giro del mondo, mentre Richard Virenque, che si giustificherà dicendo di non essere stato a conoscenza dell’accaduto, taglia trionfante il traguardo di Cauterets. Nelle 24 ore successive, però, i notiziari ripropongono soprattutto la volata di Barcellona di Fabio Casartelli e quel volto raggiante e gioioso con l’oro al collo che ha smesso troppo in fretta di sorridere e l’arrivo a braccia alzate con le dita rivolte al cielo del texano Armstrong in ricordo dell’amico italiano resta una delle immagini più intense e struggenti della storia del ciclismo.

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