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L’Italia è grande: Dorando Pietri, quando vincere non è la cosa più importante

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L’Italia e la Maratona, un amore che viene da lontano, da tanto lontano: 112 anni fa, esattamente il 24 luglio 1908 quando un atleta di piccola statura, nato a Correggio ma proveniente da Carpi in Emilia, è destinato ad entrare nella leggenda dello sport come il più celebrato ed osannato “perdente” della storia di tutte le discipline italiane: Dorando Pietri.

La distanza da percorrere sono i 42 chilometri e 195 metri che vanno dalla residenza reale di Windsor allo lo Stadio Olimpico di White City a Londra, 55 gli atleti al via alle 14.30 nei 26 gradi della capitale britannica. Pietri non è tra i favoriti anche se qualche gara importante, prima della maratona londinese, l’ha vinta ed ha rischiato di aggiudicarsi anche la Maratona dei Giochi Intermedi di Atene 1906, abbandonando a pochi chilometri dal traguardo per problemi intestinali quando era in testa. Gli avversari più temuti: il canadese Longboat, il sudafricano Hefferon, l’americano Morrissey, lo svedese Svanberg.

Poco dopo il via il britannico Thomas Jack, si porta al comando ma dopo un passaggio alle 5 miglia in 27’01”, abbandona la gara. Si ritrovano in testa altri tre inglesi, Price, Lord e Duncan, Hefferon e Dorando Pietri che staziona costantemente tra i primi. Price passa a metà corsa in 1h15’13”, Hefferon lo insegue e Dorando è quarto, ad oltre un minuto. Price perde brillantezza e lascia la testa, Hefferon prende il largo, Pietri si ritrova secondo a tre minuti dal sudafricano, più indietro il canadese Longboat.

Longboat, infatti, va in crisi e si ritira, Lord esce di scena e Dorando Pietri, sospinto dall’incitamento del mezzofondista Emilio Longhi non se lo fa certo ripetere e si getta all’inseguimento di Hefferon ma da dietro risale anche un terzetto di americani, Hayes, Forshaw e Welton. Pietri deve recuperare 4 minuti di ritardo ma la sua è un’azione efficace, quasi travolgente, e a due chilometri dal traguardo l’azzurro scavalca un Hefferon praticamente sfinito.

Sembra fatta per Pietri, ma qui la storia stacca per una volta la spina e si accende la luce della leggenda: il maratoneta emiliano sfinito dal caldo e dalla fatica, quando ormai sta per intravedere il traguardo, va in difficoltà. In chiaro stato confusionale per l’abuso di stricnina entra nel White City Stadium per gli ultimi 352 metri, barcolla, sbaglia strada svoltando a destra anziché a sinistra, cade, si rialza, cade ancora in rettilineo e solo l’intervento del dottor Bulger e del responsabile di gara Jack Andrews, il famoso uomo con il megafono, permettono a Pietri di tagliare il traguardo per primo nel tripudio dei 75 mila che affollano l’impianto londinese.

Il suo tempo finale è di 2h54’46″4 su 42,195 km, ma solo per percorrere gli ultimi 500 metri impiega quasi dieci minuti. Oltre il traguardo sviene ed è portato fuori dalla pista su una barella. L’americano Hayes è secondo dopo 32″, Hefferon è terzo con un distacco di 1’20”. Per via di quel finale rocambolesco arriva, puntuale, il reclamo degli statunitensi e Pietri, che fatica a riprendersi dallo sforzo, viene squalificato per “assistenza non appropriata“.

Il giorno dopo, anche grazie all’intervento di Arthur Conan Doyle, lo scrittore che ha raccontato le storie di “Sherlock Homles”, la regina Alessandra, affascinata da questa storia destinata a restare scolpita nella pietra della storia dello sport mondiale, regala a Pietri di una coppa d’oro identica a quella del vincitore, l’americano Johnny Hayes che nella storia non si ritaglia nemmeno un angolino. Sul trofeo, custodito oggi dalla «Società Ginnastica La Patria 1879» in una cassetta di sicurezza della filiale UniCredit di Carpi, è incisa questa dedica: «A Pietri Dorando – In ricordo della maratona da Windsor allo stadio – 24 luglio 1908. Dalla regina Alessandra».

Successivamente Conan Doyle suggerì al Daily Mail di conferire anche un premio in denaro a Pietri, sotto forma di sottoscrizione per permettergli l’apertura di una panetteria, una volta rientrato in Italia. La proposta ebbe successo e vennero raccolte trecento sterline. Lo stesso Doyle avviò la raccolta donando cinque sterline. Sull’onda della fama ottenuta per la squalifica Pietri ricevette presto un lauto ingaggio per una serie di gare-esibizione negli Stati Uniti.

Il 25 novembre 1908, al Madison Square Garden di New York, andò in scena la rivincita tra Pietri e Hayes. Il richiamo era enorme: ventimila spettatori (tra cui molti italo-americani), ma altre diecimila persone erano rimaste fuori perché non c’erano più biglietti. I due atleti si sfidarono in pista sulla distanza della maratona (262 giri), e dopo aver corso testa a testa per quasi tutta la gara, alla fine Pietri riuscì a vincere staccando Hayes negli ultimi 500 metri, per l’immensa gioia degli immigrati di origine italiana presenti. Con questa gara Pietri passa ufficialmente al professionismo, in un clima che distingue fortemente l’atleta amatoriale da quello retribuito, separando gare e risultati delle due categorie. Una seconda sfida disputata il 15 marzo 1909 venne anch’essa vinta dall’italiano. Durante la trasferta negli Stati Uniti Pietri partecipò a 22 gare, con distanze variabili dalle 10 miglia alla maratona, e ne vinse 17.

La gara d’addio, in Italia, si svolse il 3 settembre 1911 a Parma: una 15 km, vinta agevolmente. L’ultima gara all’estero avvenne invece il 15 ottobre dello stesso anno, a Göteborg in Svezia, e si concluse con l’ennesima vittoria di Pietri. Pietri morì nel 1942, all’età di 56 anni, in seguito ad un attacco cardiaco.

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1 Commento

1 Commento

  1. OLIMPIONICO

    5 Maggio 2020 at 23:46

    Grande articolo su un grande ITALIANO.

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