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Ilaria Panzera, basket femminile: “Quest’anno mi aspettavo di più da me stessa. Nelle Nazionali giovanili gruppo unito fattore fondamentale”

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In maglia azzurra ha già vinto due Europei giovanili, oltre ad aver vissuto l’esperienza dei Mondiali Under 17 2018 in cui si è trovata di fronte sia gli USA che l’Australia. Ilaria Panzera è una delle giocatrici sulle quali la pallacanestro italiana punta di più per il prossimo futuro. Eppure, con ancora 18 anni da compiere, la stagione che si è conclusa anticipatamente non la soddisfa: sente che avrebbe potuto dare di più. La sua amarezza per questa ragione la esprime tutta in quest’intervista che ci ha concesso per via telefonica, in cui racconta, però, anche dell’orgoglio di essere al Geas Sesto San Giovanni e dell’ottimo rapporto con la coach Cinzia Zanotti. Tanto lo spazio, naturalmente, anche per le avventure azzurre.

Questo poteva essere il periodo del finale di stagione, e invece non lo è stato con la squadra maggiore e nemmeno con le giovanili.

“Esattamente. Sarebbe stato il periodo dei playoff. C’è del rammarico perché stavamo facendo bene su entrambi i fronti. In Serie A1 eravamo quinte a un passo, due punti, dalle quarte, e quello era l’obiettivo, poi purtroppo si è fermata la nostra corsa. E’ capitato quest’anno, che ci possiamo fare? Eravamo tutte lì, a parte le tre big, che sono un po’ irraggiungibili, ma dopo c’era lotta”.

In classifica irraggiungibili, però nell’ultima (irreale) partita a porte chiuse, ci è voluta Harmon per battervi.

“Abbiamo perso proprio all’ultimo secondo, ci ha un po’ fregati, però alla fine quel che conta, lo dico adesso che è tutto fermo, è che abbiamo dimostrato di essere una delle squadre all’altezza delle grandi. C’è anche questa parte positiva”.

Non era un mistero che foste in crescita, e con i playoff vicini avreste potuto dare problemi.

“Esatto. Eravamo una spina nel fianco di tutte le grandi squadre. Anche Ragusa e Venezia sono cadute sul nostro campo, quindi c’era da ben sperare. Peccato, perché eravamo riuscite anche a entrare ben in ritmo tra di noi”.

Ma anche l’anno scorso avevate creato diversi grattacapi, con quella finale di Coppa Italia non a sorpresa, di più.

“Abbiamo festeggiato perlomeno per i tre mesi successivi! Fu veramente inaspettata. Molte giocatrici non avevano neanche portato il cambio, nessuno se l’aspettava!”

Detta così sembrava un accampamento nelle foreste…

“No! (ride) Però sono anche cose inaspettate che ti gratificano la stagione”.

Per te è stata un’annata in cui hai avuto più responsabilità rispetto alla scorsa, e sempre con una certa costanza di rendimento.

Quest’anno mi aspettavo in realtà un po’ di più da me stessa, però di certo Cinzia (Zanotti, N.d.R.) mi ha dato più fiducia e minuti rispetto all’anno scorso e sono riuscita a ritagliarmi un mio piccolo spazio, che poi non è piccolo, però ho giocato di più. E infatti secondo me non è da tutti avere un allenatore che ti butta in campo quando hai 17 anni in Serie A1. Molte volte non me ne rendo conto, però devo dirle anche grazie“.

E non solo: ti ha anche messa in campo a 14 anni in A2, e quando hai giocato la finale promozione del 2017 con Bologna non avevi la minima paura quando sei entrata.

“Ma perché lì è la testa. Giochi senza neanche darci tanto peso, non t’importa della gente e ti senti spensierata. La responsabilità non la senti, è come se entrassi senza pensieri. Questa cosa mi ha aiutato a 14 anni così come mi aiuta adesso”.

Tu avevi mai giocato a porte chiuse?

“No. Grazie a Dio no. Non dico che gioco per il pubblico, però averlo che ti conforta, ti applaude è una cosa stupenda e anche molto sottovalutata. Giocare a porte chiuse ha anche fatto un bell’effetto, perché dici ‘cavolo, in che mondo stiamo vivendo?'”

C’erano solo le squadre e lo stretto necessario.

“Esatto! Gli addetti alla stampa, alla tv, i fotografi e fine”.

Poi il punto era il perché, legato a un problema sanitario.

“Un nemico invisibile”.

Fin da quando ci sei entrata, che ambiente hai respirato al Geas?

“E’ una società, che però ci tiene molto anche all’aspetto al di fuori del campo, nel senso che tutti si conoscono, sono amici, vanno d’accordo. Davvero cura ogni aspetto. Ha curato anche me, la società, ma pure le giocatrici mi hanno presa sotto l’ala. Mi sono trovata a mio agio fin da subito, perché a 14 anni entrare in una squadra senior, senza conoscere nessuno, magari ti fa sentire un po’ a disagio. Invece loro sono stati bravissimi a mettermi in condizione di dare il meglio di me fin da subito. Infatti era una cosa veramente positiva, che apprezzo tanto di questa società”.

Ci tengono molto anche perché parliamo di una società con una grande storia.

“Infatti è vero che me lo sarei aspettato, ma non così tanto”.

Prima del Geas, però, avevi iniziato nella tua Melzo e poi a Cernusco.

“A Melzo ho giocato quand’ero piccola, nel mio paesino. Invece a Cernusco ho iniziato a masticare un po’ di vero basket, nel senso che il livello della competizione si era alzato, facevamo le finali regionali con l’Olimpia Milano, con Cantù, squadre importanti. Ho iniziato anche ad alzare il mio di livello, sia fisicamente che mentalmente, perché a 14 anni inizi un po’ a capire cosa significa vincere o la voglia di vincere. E con Cernusco ho fatto la mia maggior crescita”.

E giocavi con i maschi, un fattore che hai già più volte detto esser stato per te importante.

“Secondo me è stato fondamentale, perché loro vanno a una velocità davvero elevata, e quindi questo mi ha portato a pensare più in fretta, cosa che adesso, con le femmine, che sono un po’ più lente, più tecniche, manca un po’. Questa mia capacità di leggere le cose più in fretta mi ha aiutato nel mio percorso nel femminile”.

A volte si sente dire di alcune giocatrici che hanno dei movimenti ‘da maschi’, per definire quelli non comuni.

“In realtà il gioco è sempre quello, solo che è molto diverso tra maschile e femminile. Tra gli uomini giocano molto di fisico, noi femmine giochiamo in modo più schematico, più tecnico. Molti aspetti non vengono così considerati come nei maschi, anche se poi fanno parte del gioco”.

Sempre parlando di movimenti, qualcuno ha detto che ne hai qualcuno che accomuna alcuni dei tuoi a Cecilia Zandalasini, però tra di voi ci sono tante differenze, per mille ragioni, prima fra tutte il modo di giocare.

“Questo paragone è in giro da non so quanto, forse per quel che sto raggiungendo, ma il mio gioco è diverso dal suo. Essere paragonati a una giocatrice così ti rende felice, orgogliosa del percorso che stai facendo, perché non è con una qualunque, ma con una che è stata inserita nel miglior quintetto di Eurolega. Io continuo per la mia strada senza copiare Cecilia”.

In comune più che altro avete il fatto che siete passate tutte e due dal Geas.

“Infatti può essere che sia questo che alimenta di più le voci. Una cosa che forse abbiamo in comune è la leadership”.

Che però è differente. Cecilia ha una sua tendenza ad azzannare nella partita importante (senza ovviamente tralasciare le altre), tu hai quella costanza di cui si parlava.

“Io cerco in un modo o nell’altro di giocare le partite come se fossero le ultime, ma anche Ceci lo fa. Cerco di essere più costante possibile, poi è chiaro che cerco di riconoscere le partite più importanti e spiccare in quelle”.

Com’è, in una situazione normale (non questa), gestire il rapporto pallacanestro-scuola?

“Secondo me bisogna organizzarsi. Se si ha un’organizzazione molto solida le cose si fanno. Anche nel mio caso i professori mi stanno aiutando tanto, perché sanno le cose e ne sono consapevoli. Per dire, il lunedì non m’interrogano o spostano le verifiche della classe anche in base ai miei impegni. Mi aiutano sotto questo punto di vista, però bisogna sempre sapersi organizzare per approfittarne”.

Si spera che le tue compagne non abbiano creato problemi per questi “privilegi”.

“In realtà non c’è mai stato nulla di problematico, perché rispettano il fatto che io abbia più ore di allenamento, più impegni, quindi capiscono. E’ palese”.

Adesso la situazione è chiaramente diversa.

“Ora sto messa come tutti gli altri! Sono una comune mortale adesso. Però bisogna fare così, interrogazioni a distanza, verifiche online, si fa quel che si può. Adesso sta anche ai professori come organizzarsi per valutarti”.

Tu nel prossimo futuro vuoi rimanere in Italia o tentare la via NCAA?

Il college io l’ho scartato da un bel pezzo. Preferisco giocare con al mio fianco le trentenni che mi danno una mano, mi aiutano, mi scrollano le responsabilità della squadra, rispetto ad andare in un college oltreoceano, con le mie coetanee. Per ora è una cosa che escludo, però una cosa che sognano tutte le ragazzine è la WNBA. Lì se dicessi di no sarei incoerente”.

Nel tuo caso, puoi avere al tuo fianco Giulia Arturi, al Geas da sempre e capitana, e giocare contro Chicca Macchi.

“Ora come ora, per i minuti che mi sta dando il Geas, non vedo perché dovrei andare al college o da qualche altra parte”.

Capitolo Nazionali: qualche soddisfazione diciamo che te la sei tolta.

“Qualcuna sì! (ride) Diciamo anche che sono stata molto fortunata, anche per essere nata in un anno, il 2002, dove ci sono molte giocatrici talentuose. Posso citare Giulia Natali, Caterina Gilli, Alessandra Orsili, ce ne sono un sacco. Questo gruppo così numeroso ci ha aiutato anche a essere il più possibile compatte e avere tutta l’unione che si può in una squadra, cosa che magari in altre annate non è capitato. Questo è stato un fattore fondamentale, e anche un po’ casuale, che ci ha portato a vincere tante medaglie, perché tutte hanno un ottimo livello e grande talento”.

Si vede anche dall’esterno che è un gruppo unito. Per dirne una tra le tante, c’è la simpatia contagiosa di Orsili.

“Sì, per dire: Ale è super estroversa, io sono l’opposto, Nata ancora un’altra cosa. Siamo un gruppo di persone ben distinte, ma che assieme collabora molto bene. Questa è la nostra peculiarità, che non è da sottovalutare”.

Siete anche passate attraverso dei momenti diversi nelle due annate d’oro: con l’Under 16 2018 tante partite sofferte, ma vinte, con l’Under 18 invece dominate praticamente tutte.

“Sono comunque due competizioni molto diverse. All’Europeo Under 16 tutti o quasi si aspettavano che lo vincessimo. Avevano detto ‘ok, tutte 2002, talentuose, lo vincono’. E c’era quindi questa sorta di responsabilità di dover vincere per forza. Invece con l’Under 18 siamo state fortunate, perché la Francia aveva un po’ di giocatrici fuori per infortuni e siamo andate a ‘carpe diem’, senza neanche pensarci, e alla fine ci siamo ritrovate a giocare una finale tutto d’un tratto e anche a vincerla”.

La tempesta perfetta con 20 punti di media a partita di divario.

“Lì serve anche un po’ di fortuna nei gironi, noi l’avevamo un po’ più facile rispetto ad altri. Poi abbiamo incontrato la Spagna ai quarti, quindi quel che non abbiamo incontrato prima l’abbiamo incrociato dopo, ma prima o poi le più forti devi incontrarle”.

In mezzo c’è stata anche la sfortuna dei Mondiali Under 17, perché è stato un quinto posto, ma poteva essere ancora migliore senza aver preso l’Australia nei quarti.

“L’Australia era veramente forte, giocava veramente bene. La fortuna è un fattore che viene molto sottovalutato, ma fa tanto soprattutto in queste competizioni che durano al massimo 10 giorni. Devi averne anche abbastanza”.

Partì con un parziale negativo di 0-12.

“Poi riuscimmo a riprenderla, solo che è difficile con squadre di quel calibro. Fra l’altro eravamo anche molto sotto età, come anche agli Europei. A livello continentale non paghi magari tanto, ma a livello mondiale se trovi gli Stati Uniti è dura”.

La conferma del fatto che un anno, a 17-18, non è poco.

“No, infatti siamo anche state brave a Sarajevo”.

Quest’anno, con il virus, hanno cancellato tutte le manifestazioni continentali e lasciato una chance solo per i Mondiali Under 17 in agosto. Non dev’essere stata una bella sensazione.

“No, purtroppo no, però in qualche modo ci siamo qualificate per i Mondiali Under 19 dell’anno prossimo per via del ranking FIBA. Anche lì siamo state fortunate perché fino a un anno fa non eravamo così alte, invece con questi ultimi Europei ci siamo alzate di livello e la fortuna vuole che siamo riuscite a qualificarci almeno per il 2021. Nella sfortuna abbiamo trovato un briciolo di fortuna”.

In pratica l’anno prossimo hai già prenotato il doppio impegno con l’Under 19 e con l’Under 20.

“La vacanza che facciamo quest’anno non la facciamo l’anno prossimo. Poi vacanza, un parolone!” (ride).

Hai avuto pure qualche chiamata dalla Nazionale maggiore a vario titolo, con Crespi prima e Capobianco poi.

Infatti devo dire grazie a questi allenatori, che puntano sulle giovani. Non è da tutti, soprattutto a livello nazionale senior. Fa sempre piacere essere nel mirino di grandi allenatori, soprattutto si sente che è anche costante, perché è avvenuto sia l’anno prima che l’anno dopo, il che vuol dire che sto lavorando e il mio sacrificio non è vano”.

A proposito di giovani: tolte per certi versi Schio, Venezia e Ragusa che hanno degli obiettivi diversi, si sta cercando di sviluppare, tra le squadre di A1, un ampio discorso giovanile. Costa Masnaga ha quasi tre quarti di squadra che è under, a Lucca sta andando una buona fetta del meglio delle ultime annate giovanili, anche al Geas il discorso viene seguito bene. Appare un progetto piacevole, per poter dare modo a queste ragazze di confrontarsi con i piani alti.

“Sono d’accordo, però devo anche dire che facendo giocare così tanto le giovani il livello si è un po’ più abbassato rispetto agli anni precedenti, in cui potevi incontrare tante giocatrici big europee, cosa che adesso, per via dei soldi che sono di meno, non accade. E’ un po’ una doppia faccia della medaglia. Va bene far giocare le giovani, però secondo me preferiscono anche un po’ pochi soldi. Una volta in Italia c’era gente non da poco”.

E chissà come si sarà messi una volta che si tornerà a giocare: chi li avrà i soldi?

“Molte squadre stanno rischiando di fallire, Vigarano per esempio è agli sgoccioli per l’A1. Spero di no, però il numero di squadre si abbasserà, e il rischio è anche che accada lo stesso per il livello. Spero anche che riescano a salire un po’ di squadre dall’A2”.

Che però abbiano una solidità alle spalle.

“Sì, per esempio gente che riesca a portare un buon livello al massimo campionato”.

Poi bisognerebbe allargare il problema anche al seguito del basket femminile: ci sono squadre di A2 che sono costrette a giocare nelle tensostrutture.

“Mi ricordo una trasferta a Cagliari, giocammo davvero in una sorta di tendone e gli spogliatoi erano osceni, ma perché i soldi scarseggiano”.

Il fattore palasport anche in A1 è diverso da parte a parte. Per esempio c’è il Taliercio, a Venezia, che con le donne si riempie poco, Schio che bene o male i suoi numeri li fa sempre, Ragusa che si trova in mezzo e poi i posti più piccoli (come il PalaCarzaniga) in cui l’ambiente si sente. Anche Torino è andata a giocare al PalaRuffini, che fa i suoi numeri, ma ha un problema di dispersione con il femminile.

“Purtroppo è così. Passi da campi da Eurolega a palazzetti piccolissimi dove ci stanno a malapena i tifosi. Su questo però non possiamo farci niente, noi dobbiamo giocare. Però è un peccato per i tifosi, che magari non si godono appieno l’occasione di stare in un grande palazzetto”.

Hai intenzione di proseguire con l’università e quindi di continuare a coniugare sport e studio?

“L’anno prossimo ho la maturità, quindi ho ancora un anno per pensarci. Però se la faccio, penso di farla online, che comunque mi aiuti anche negli spostamenti, se dovessi cambiare un giorno squadra. Almeno mi tutela un po’ di più sotto questo punto di vista. Non so ancora quale indirizzo scegliere, vedremo. C’è ancora tempo”.

Che tipo di rapporto si è creato con Cinzia Zanotti?

“Ci conosciamo da una vita! E’ venuta a scoutizzarmi lei. Mi aveva visto giocare con Cernusco e ha fatto: ‘Ma chi è quella ragazzina lì? Chiamiamola al Geas’. Da lì ho fatto un allenamento a Sesto e si è innamorata a prima vista. Questo è il mio sesto anno, quindi è davvero tanto. Ci sono state arrabbiature varie, ma è normale, abbiamo sempre un rapporto improntato al massimo rispetto”.

Due caratteri forti, ma comunque tutto regolare. Sarebbe pure strano se non ci fossero mai stati contrasti in sei anni.

“Soprattutto quest’anno. Però lei sa che la rispetto e so che lei rispetta me. Abbiamo piena fiducia”.

Ci sono delle giocatrici o dei giocatori da cui hai preso maggiore ispirazione?

“In realtà no, perché cerco di prendere un po’ da tutti. Guardo i grandi e dico “ok, voglio essere come lui fuori dal campo”. Oppure voglio avere qualcosa di quest’altro. Faccio un po’ un mix e cerco di prendere un po’ da tutti. Però non ce l’ho mai avuto il vero e proprio idolo”.

Quale senti che sia stata per questa stagione la tua miglior partita?

“Penso proprio quella dell’Opening Day, contro Palermo. Mi sono davvero divertita. Poi però non ho disputato un buon campionato, pensavo di far meglio”.

Da quel che dici emerge il fatto che sei uscita mediamente insoddisfatta dall’annata perché senti di non esser riuscita a dare tutto quello che potevi.

“Esatto, poi magari anche il fattore stanchezza per i vari Europei può entrarci. Non so cosa non abbia funzionato, ma può andar meglio”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: fiba.basketball Eurobasket Women Under 18 2019

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