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Scuola e sport, un problema italiano
Tutti le ricordiamo, le due ore di educazione fisica a scuola, quel gentile supplemento alla ricreazione che due giorni a settimana ci veniva offerto, dalle elementari alle superiori. Dello sport giusto l’ombra. Qualcuno giocava a calcetto, altri se ne andavano a fumare, altri ancora, i più secchioni, le usavano per ripassare per l’interrogazione dell’ora successiva, i più sfortunati avevano un docente convinto di essere un istruttore dei Marines, che li sottoponeva a esercizi noiosi, faticosi e, sotto il profilo sportivo agonistico, sostanzialmente inutili.
Ci sono Paesi in cui i campioni escono fuori dalle scuole, l’Italia non è tra questi. Il sistema americano è un mito (nel senso classico del termine), una chimera irraggiungibile, un modello che non possiamo seguire. In Italia si fa fatica a trovare aule e banchi per studiare la grammatica, figurarsi campi da calcio o palestre attrezzate. Ma esistono altre forme di integrazione, sperimentate in Paesi anche più piccoli del nostro, capaci di dare risultati eccellenti.
Programmi di reclutamento delle varie federazioni, gestiti dalle società sul territorio, ma con un impegno centrale preciso. Servono progettazione e fondi per realizzarli, ma ne vale la pena. Senza arrivare agli eccessi della Cina, dove fare sport è quasi peggio che arruolarsi nell’esercito, la Gran Bretagna ha saputo creare campioni dal nulla in preparazione alle Olimpiadi di Londra. Lizzie Armitstead, nel 2004, era solo una 16enne che frequentava la Prince Hanry’s Grammar School quando fu scoperta dalla federciclismo del suo Paese. Quattro anni dopo primeggiava nelle gare internazionali di ciclismo su pista, nel 2012 ha vinto una medaglia d’argento olimpica nella prova in linea su strada. Una ragazzina messa sui blocchi per testare la potenza delle sue gambe, era diventata una campionessa.
In Italia non succede quasi mai. I tornei scolastici sono di livello bassissimo, teoricamente riservati soprattutto ai chi non è affiliato a questa o quella federazione (anche se spesso il limite dei tesserati viene disatteso), non ci si allena, si gioca e basta, non c’è educazione né formazione. Le iniziative delle varie società sono sporadiche e quasi sempre spontanee, non progettate dall’alto. Non c’è un lavoro di scouting vero e proprio, si cerca di far numero così come capita, e, qualche rara volta, magari si trova il campioncino.
Il ministro dello Sport Gnudi ha promesso interventi nel settore, con investimenti diretti soprattutto alle scuole. I soldi, quei pochi che ci sono, andranno quasi tutti lì. Ma è soprattutto il tempo a mancare. Il governo Monti lascia nella primavera del 2013, e al momento sembra avere altre priorità. Per ora tante chiacchiere, buone intenzioni, e zero fatti. Poi chissà.
gabriele.lippi@olimpiazzurra.com
Twitter: GabrieleLippi1
Foto tratta da: pubblicaistruzione.it
Federico Militello
11 Ottobre 2012 at 16:41
Da troppi anni si parla di riformare la sinergia tra sport e scuola, ma alla fine non se ne fa mai (quasi) nulla. L’impressione è che per prima cosa debba cambiare la cultura italiana.
franky
11 Ottobre 2012 at 15:04
prima di vedere sport (fatto bene) nelle nostre scuole ne passerà però almeno per elementari e medie si potrebbe tornare a dei giochi della gioventù soprattutto come mezzo di promozione dello sport (in particolare dell’atletica ma non solo) il fatto che partecipino i tesserati chiude le gare già prima che inizino quasi quindi magari si fa una competizione su due livelli, uno in cui partecipano i non tesserati e che funga da mezzo di promozione, un altro dove possono partecipare anche i tesserati e dove ci possa essere anche un discreto livello; ci vorrebbe in ogni caso coordinamento dall’alto
purtroppo lo sport italiano ha gravi problemi al suo interno, vi invito a leggere l’intervista a mennea e un’inchiesta fatta da una giornalista ,entrambe su repubblica, dove si mettono in luce gli aspetti negativi del nostro sistema tra cui la trasparenza dei bilanci (a proposito la federazione pallavolo ne ha pubblicato uno molto articolato e buono) la gerentocrazia (stesse persone negli stessi posti da decenni) o i favoritismi (articolo interessante su quuenatletica.it di una ragazza che ha partecipato a un bando fidal) non dico che tutte queste accuse siano vere però anche leggendo, per esempio, ciò che viene scritto nei molti blog/siti di rugby viene da rabbrividire pensando alle vecchie/attuali gestioni delle federazioni; nonostante tutto ciò siamo spesso competitivi, pensate come saremmo con del buon sport nelle scuole e una migliore gestione delle federazioni