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F1, la storia dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola. Il sogno del Drake di vedere la Formula Uno in Romagna diventato realtà

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Subito dopo il Gran Premio del Portogallo, la Formula Uno si appresta a riscoprire un altro contesto dimenticato. Stavolta non si tratta di una nazione, bensì di una pista. Infatti l’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola farà il suo ritorno nel Circus dopo 14 anni di assenza. La necessità di riformulare da capo a piedi il calendario, generata dall’emergenza sanitaria legata dalla pandemia di Covid-19, ha permesso al circuito sulle rive del Santerno di rientrare nel giro della Formula Uno per la prima volta dal 2006. Così, domenica 1° novembre ospiterà l’inedito Gran Premio di Emilia Romagna.

Le origini dell’autodromo di Imola risalgono all’immediato dopoguerra, quando in Italia esisteva un solo tracciato permanente, ovvero quello di Monza. Pertanto, la volontà del comune romagnolo di edificare una pista venne accolta favorevolmente da tutte le autorità. Il circuito fu progettato nel 1949, venendo fisicamente realizzato tra il 1950 e il 1952. Tuttavia, a causa di lungaggini burocratiche relative a opere di supporto e conflitti con privati locali, non si riuscì a renderlo permanente come pianificato: alcune delle strade che dovevano essere utilizzate esclusivamente per la pista rimasero, invece, per lungo tempo aperte anche al traffico.

Inizialmente l’autodromo di Imola, chiamato “del Santerno” in onore del fiume che scorre nelle sue vicinanze, venne utilizzato soprattutto dal motociclismo, ma Enzo Ferrari desiderava fortemente che potesse diventare teatro anche di appuntamenti di Formula Uno, una volontà peraltro rafforzata nel momento in cui, nel 1970, l’impianto fu intitolato al figlio Dino, morto di distrofia muscolare nel 1956 a soli 24 anni. Il sogno del Drake poté diventare realtà alla fine degli anni ’70, quando tutte le opere architettoniche di supporto e i conflitti con i privati vennero definitivamente risolti.

Così, la struttura divenne finalmente un tracciato permanente a tutti gli effetti. I lavori di ammodernamento nell’autodromo di Monza diedero l’occasione per inserire la pista romagnola nel calendario iridato 1980, quando ospitò una tantum il Gran Premio d’Italia. Dopodiché, dal 1981 venne istituito il Gran Premio di San Marino, allo scopo di permettere a Imola di affiancarsi all’appuntamento brianzolo. Il disegno della pista sulle rive del Santerno, inizialmente veloce e critica sia per consumi che per la meccanica delle monoposto, rimase pressoché inalterato per tre lustri. Nel frattempo, dopo la scomparsa di Enzo Ferrari, assunse l’attuale denominazione di “Autodromo Enzo e Dino Ferrari”.

Dopo la drammatica edizione del 1994, durante la quale nel giro di poco più di 24 ore persero la vita sia Roland Ratzenberger che Ayrton Senna, il tracciato venne profondamente modificato, soprattutto nella parte iniziale dello stesso. Infatti il Tamburello, da curva da percorrere in pieno, fu tramutato in una variante; inoltre venne creata una nuova chicane, denominata “Villeneuve”, poco prima della Tosa. Vennero infine effettuati interventi alle Acque Minerali, alla Rivazza e alla Variante Bassa, allo scopo di migliorare la sicurezza.

Con questa nuova configurazione Imola rimase in calendario per un altro decennio abbondante, sino al 2006, quando gli standard sempre più elevati del Circus resero obsoleto l’autodromo. Dopo un periodo di “esilio” che appariva definitivo, l’impianto ha fiutato l’opportunità di rientrare in gioco in questo 2020. D’altronde, in Cina si usa lo stesso termine per definire “crisi” e “opportunità”. Il tracciato romagnolo ha dimostrato come questo concetto possa essere veritiero.

Attenzione però, perché il GP di Emilia Romagna di disputerà su un tracciato inedito. Difatti i lavori svoltisi tra il 2008 e il 2009 per ammodernare il paddock hanno cambiato il disegno della pista. Allo scopo di ampliare i box e allungare il rettilineo di partenza, è stata sacrificata la Variante Bassa, che non esiste più ed è stata sostituita da una leggera piega verso destra. Dunque dalla Rivazza non si frenerà più sino al Tamburello, che diventerà una staccata più impegnativa di quanto non lo sia mai stato.

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Foto: Valerio Origo

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