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Pattinaggio artistico, Skate America 2020: tra punteggi gonfiati e valutazioni assurde. Ma così che senso ha?

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Esiste un aggettivo per descrivere Skate America 2020, la prima tappa del Grand Prix 2020-2021 di pattinaggio artistico, quest’anno fortemente mutuato a causa della pandemia dalla sua forma originale per lasciare spazio a quattro gare singole prettamente nazionali: surreale. Surreale come la conformazione di emergenza dell’intera rassegna, con ogni singolo evento valutato esclusivamente da giudici locali, motivo che ha, come prevedibile, macchiato la gara inaugurale con dei punteggi che non sono solo lontani anni luce da quanto espresso sul ghiaccio dell’Orleans Arena di Las Vegas, ma anche inefficaci e, in alcuni casi, pericolosi.

Si temeva una certa impennata verso l’alto, fattore normale in tutte competizioni interne, ma la realtà come spesso capita da quelle parti ha superato qualsiasi previsione: chiamate sulle rotazioni lasciate più o meno al caso, flip spacciati per lutz passati senza remore, componenti del programma gonfiate al massimo possibile. Skate America è stato l’esempio perfetto su come non si deve giudicare un evento che, lo ripetiamo, rientra malgrado tutto in quelli di prima fascia ISU . Un modus operandi che non fa bene a nessuno: non fa bene ai pattinatori, che hanno ricevuto dei feedback poco veritieri, non fa bene agli addetti ai lavori e, soprattutto, manca di rispetto al pubblico di tutto il mondo.

Esempio lampante è stato, ed ovviamente non è l’unico, il caso della vincitrice nel singolo femminile Mariah Bell, costellato da GOE altissimi malgrado esecuzioni mediocri, chiamate mancanti (nel lutz) e grande fantasia e generosità nel secondo punteggio. Speculare il discorso, con le dovute differenze del caso, per Nathan Chen, atleta dalla capacità tecnica con pochi eguali e indiscutibile, così come quella da intrattenitore: ma il copione del Campione Mondiale è sempre lo stesso: sfrutta le falle del sistema eseguendo performance poco incisive da un punto di vista delle componenti del programma, carenza che però non trova quasi mai sistematicamente riscontro nei protocolli internazionali, figuriamoci in circostanze come queste, dove i 10.0 (che dovrebbero rappresentare la perfezione) sono fioccati a iosa.

Spiraglio di luce nelle coppie, altra gara dai punteggi fuori controllo, dove Alexa Scimeca Knierim e Brandon Frazier pur non proponendo nulla di trascendentale hanno dimostrato comunque solidità anche con pochi mesi di esperienza alle spalle in una specialità con pochissime eccellenze in Patria, facendosi trovare pronti all’appello, cosa che non hanno fatto gli attesi della vigilia, Ashley Cain Gribble-Timothy Leduc e Tarah Kayne-Danny O’Shea, rispettivamente quinti e sesti.

Nulla di nuovo nella danza, se non la solita carta al rialzo per le coppie di punta come Madison Hubbell-Zachary Donohue, che hanno trionfato agilmente cambiando entrambi i programmi proponendo un primo segmento certamente più moderno ed efficace dello scorso anno e un libero di grande valenza espressiva, molto “americano” nella costruzione, ma che pagherà in termini di punti nei Campionati più blasonati.

Sulla carta è stata una tappa di Coppa del Mondo, lo ripetiamo, di prima fascia. Nella realtà altro non è stato che un Campionato Nazionale in miniatura. E non ne sentivamo il bisogno.

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Foto: Valerio Origo

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