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Boxe, il palmares ed i record di Mike Tyson. Uno dei pugili più grandi e controversi della storia

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La carta d’identità dice che Mike Tyson è nato a Brownsville, Brooklyn, New York, il 30 giugno 1966. E che, dunque, di anni ne ha 54. Quello che non racconta è l’infinita serie di successi e vicissitudini di Iron Mike: una carriera che non si può riassumere solo entro le corde del ring, ma che attraversa campi sui quali a volte difficilmente ci si avventura. Oggi di Tyson resta un ruolo a metà tra pugile che ha fatto la storia e uomo che ha incontrato un’enorme quantità di difficoltà umane.

Il suo percorso verso il pugilato iniziò dai piccioni. Non è uno scherzo: Iron Mike, da piccolo, era realmente attratto da questi uccelli, tant’è che li allevava. Un ragazzo tentò di rubargli un piccione e lo uccise, causando la reazione di Mike, che lo riempì di pugni. Di lì, il passo per il carcere minorile fu breve: all’età di 13 anni era già stato dietro le sbarre per 39 volte. E fu proprio in riformatorio che vide per la prima volta Muhammad Alì, l’icona stessa della boxe; conobbe in quel periodo Bobby Stewart, che lo allenò per alcuni mesi prima di lasciarlo alle mani di Cus D’Amato, l’uomo che ha avuto la più grande influenza in tutti i sensi su Tyson. Oltre a portarlo ai massimi livelli, ne fu anche una sorta di padre, dal 1982 anche legalmente poiché la madre Lorna, già provata da una vita non semplice (con l’abbandono delle due figure che dovevano essere quelle paterne dei suoi figli, “Purcell” Tyson prima e Jimmy Kirkpatrick poi), morì di tumore.

Già da dilettante le sue qualità si facevano vedere, ed erano notevoli, come dimostrarono le vittorie in una manifestazione che si chiama AAU Junior Olympic Games (1981 e 1982), ma che con le Olimpiadi non ha fondamentalmente nulla a che fare, essendo promossa dall’Amateur Athletic Union. I Giochi, quelli veri, lui non li ha disputati. Perse due volte contro Henry Tillman, nome che tornerà nella sua carriera, e tanto bastò per non consentirgli di combattere a Los Angeles.

L’inizio della sua carriera professionistica, nel 1985 e 1986, fu devastante. 19 incontri, 19 vittorie, 19 KO (normali o tecnici), 12 entro la fine della prima ripresa. Non si trattava di un pugile, ma di un uragano, di qualcosa di mai visto, di quello che sarebbe poi stato eletto da The Ring come il più grande picchiatore della storia. A novembre 1985, però, D’Amato morì, lasciando forse il segno più grande nell’anima di Tyson. Il quale, comunque, proseguì nel suo percorso, pur se il 9 maggio 1986 James Tillis fu il primo uomo a rimanere in piedi per tutto il tempo. Il 22 novembre 1986, dopo il successo numero 27, combatté per il primo titolo mondiale (WBC) della sua carriera. Trevor Berbick non riuscì a reggere che poco meno di due riprese: a 20 anni, 4 mesi e 22 giorni Mike Tyson divenne il più giovane campione del mondo della storia dei pesi massimi. E lo è ancora oggi.

Il resto venne di rapida conseguenza: il 7 marzo 1987, di nuovo al Las Vegas Hilton di Winchester, James Smith rimase in piedi fino al dodicesimo round, ma perse per decisione unanime per il titolo WBA. Il 1° agosto dello stesso anno toccò a Tony Tucker la stessa sorte, con cui Tyson si portò a casa anche la cintura IBF che lo rese il primo a detenere i titoli mondiali delle tre sigle contemporaneamente. Più tardi sconfisse anche l’oro di Los Angeles ’84, Tyrell Biggs (KO al settimo round), mentre il 1988 fu segnato in particolare dai 91 secondi che ci mise a mandare al tappeto Michael Spinks (a tal proposito, anche qui c’erano titoli in palio: The Ring e lineare). Furono però le questioni fuori dal ring a lasciare un segno. Anzi, fu un nome: Don King.

Nel frattempo, la cronaca iniziò a interessarsi di Tyson: il matrimonio con Robin Givens era andato in frantumi, con lei ad accusarlo di averla picchiata. Si narra che si allenò di meno per l’ennesima difesa contro James Douglas, per tutti Buster. Ci fu un incrocio di realtà: il periodo difficile di Tyson e il momento non meno semplice di Douglas, che aveva perso la madre per infarto tre settimane prima. Fu uno shock, quella prima incredibile sconfitta al decimo round a Tokyo, per Mike Tyson, e fu invece la notte della vita per Buster Douglas. Con lui il rematch non ci fu mai, perché da una parte Douglas combatté (e perse) con Evander Holyfield, dall’altra Iron Mike sfidò quell’Henry Tillman che gli aveva sottratto il posto olimpico. Neanche una ripresa ed il combattimento era già finito. Tyson andò sul ring fino al 1991 (doppia sfida con Donovan Ruddock), arrivando a 41 vittorie su 42 incontri, ma accadde poi qualcos’altro.

Desiree Washington, Miss Black Rhode Island, l’accusò di averla stuprata in una stanza d’hotel di Indianapolis. Finì sotto processo e fu condannato alla pena detentiva di 10 anni, 4 dei quali con pena sospesa. Quel tempo gli servì per diventare Malik Abdul Aziz nella sua conversione all’Islam, per riflettere, scusarsi con la modella e poi essere rilasciato nel 1995 per buona condotta. Tornò sul ring contro Peter McNeeley, che tanto per cambiare, in condizioni già disperate, fu squalificato per l’ingresso del manager Vinnie Vecchione sul ring. Ritornò grande contro Frank Bruno e poi Bruce Seldon, ma la sconfitta con Evander Holyfield del 9 novembre 1996, in un combattimento storico, ne marcò l’inizio della fine. Che, per la verità, cominciò dal momento più celebre tra quelli contestati della boxe: il morso del 28 giugno 1997, che gli costò sia la licenza del Nevada che tre milioni di dollari.

Riottenuta la licenza e liberatosi di Don King, tornò combattendo con avversari di levatura quantomeno discutibile, prima di quella che, nel 2002, fu forse l’ultima grande notte della sua vita, anche questa piuttosto agitata per alcuni fatti della vigilia. Sfidò Lennox Lewis per i titoli WBC, IBF, IBO e The Ring. Dal 6 aprile all’8 giugno passarono un rinvio, una scazzottata con lo staff di The Lion e un uomo in ospedale, ma non fu mai superiore nel combattimento in cui perse all’ottava ripresa. Di lì, l’ultima vittoria con Clifford Etienne, il KO subito da Danny Williams e l’ultima sfida con Kevin McBride prima del ritiro definitivo con un record di 50 vittorie, 6 sconfitte e 2 no contest.

Da allora, un mare di problemi: a livello finanziario, tant’è vero che si inventò un tour con gli sparring partner per risollevare il proprio lato economico, e poi fu arrestato per guida sotto l’effetto di cocaina e possesso della stessa; in quel momento, e più tardi nella sua biografia, si comprese l’importanza di questa droga nella vita del pugile. Nel 2009 perse la figlia Exodus, per soffocamento a seguito di un incidente casalingo. “Undisputed Truth” fu particolarmente apprezzato dalla critica, e a questo fece seguito un secondo libro autobiografico, “Iron Ambition“. E ora, dopo una quantità di vicissitudini infinita, di nuovo sul ring per una notte, là dove quel fuoco per lui non ha mai smesso di esistere, nonostante tutto. E con lui c’è Roy Jones Jr. che, quanto a nome leggendario, non è da meno.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: LaPresse / Olycom

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