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Boxe, chi è Roy Jones? Campione del mondo in tutte le categorie dai medi ai massimi. Il record di vittorie e sconfitte
Personaggio del pugilato mondiale a tutti i livelli, Roy Jones Jr. ha segnato inevitabilmente un pezzo di storia del suo sport. Un percorso, il suo, lungo più di vent’anni, e che lo ha visto protagonista non in una sola categoria di peso, ma in ben quattro: medi, supermedi, mediomassimi, e massimi. Questo, almeno, a livello professionistico. Perché a livello dilettantistico la storia, suo malgrado, l’ha fatta tra i superwelter.
Nato a Pensacola, in Florida, il 16 gennaio 1969, Roy Levesta Jones Jr. è figlio dell’omonimo padre che, tra le altre cose, combatté in Vietnam ed era anch’egli peso medio di buon livello: nell’undercard del combattimento tra Sugar Ray Leonard e Vinnie Barros, Jones padre si batté contro Marvin Hagler. Era il 10 giugno 1977.
La carriera da dilettante fu luminosissima, con vittorie ai National Golden Gloves nel 1986 e 1987, anno in cui fu secondo ai Goodwill Games. Ma di quel percorso viene ricordato soprattutto un torneo, anzi un combattimento: quello olimpico di Seul 1988 nei citati superwelter. L’uomo che, nel tempo, avrebbe assunto i soprannomi di Junior, Superman, RJ e Captain Hook, subì quello che Rino Tommasi, in diretta su Koper Capodistria, definì senza mezzi termini “la più grossa rapina mai perpetrata su un ring di pugilato“. La mise in opera Park Si-Hun, che fu aiutato fino all’inverosimile lungo tutto il percorso (come anche Vincenzo Nardiello ricorda bene). Quella finale cambiò tutto. Due giudici, dei tre che avevano dato (non senza convenienza e cene in salsa sudcoreana) la preferenza a Park, furono banditi a vita dalla boxe. Lo stesso pugile dichiarato vincitore si scusò con il suo avversario, e fu talmente travolto dallo scandalo che non passò mai professionista. L’arbitro, l’italiano Aldo Leoni, disse direttamente a Jones: “Non posso credere a quello che ti stanno facendo“. Attorno al ring, in termini di assegnazione dei punteggi, sarebbe cambiato tutto.
Passato professionista, non ebbe difficoltà, negli anni dal 1989 al 1992, a mandare al tappeto qualunque figura umana gli arrivasse davanti agli occhi, dal primo avversario, Ricky Randall, nella sua Pensacola, fino all’ugandese Art Serwano. Ci volle l’argentino Jorge Castro (anche lui futuro Campione del Mondo), il 30 giugno 1992, perché qualcuno riuscisse a finire in piedi il combattimento. Divenne campione americano dei supermedi il 5 dicembre dello stesso anno, sconfiggendo per KOT dopo quattro riprese Percy Harris, e poi, nel 1993, gli giunse davanti la prima, grande occasione. Il 22 maggio, a Washington, battendo Bernard Hopkins per decisione unanime dei giudici divenne Campione del Mondo IBF dei medi: i cartellini recitavano tutti 116-112, e quanto a pugni andati a segno la statistica fu impietosa: 35%-23%.
Dopo una difesa, contro Thomas Tate, venne il momento del tentativo tra i supermedi. Per la prima volta, contro James Toney, che di 46 incontri non ne aveva perso neanche uno, fu sfavorito. E quel 18 novembre 1994 segnò qualcosa di storico nel pugilato, per come Jones riuscì a danzare, letteralmente, sul ring demolendo pezzo dopo pezzo il suo avversario. Una prova talmente impressionante che The Ring la definì la più grande nei combattimenti degli ultimi vent’anni. Nelle varie difese, ce ne fu una che segnò un ulteriore capitolo: il 24 giugno 1995, contro Vinny Pazienza, riuscì a non farsi mai colpire neanche una volta dal suo avversario nel quarto round. Non era mai successo dall’introduzione di CompuBox. Nel 1996, il 15 giugno, a Jacksonville, si concesse il lusso di battere il canadese Eric Lucas dopo aver partecipato, la mattina stessa, a una partita di pallacanestro, per i Jacksonville Barracudas nella United States Basketball League. Giocò da guardia, realizzando 5 punti in 14 minuti. Differenze economiche: 1.700.000 dollari per la boxe, 300 per la palla a spicchi. Finì l’anno vincendo, per il titolo WBC dei mediomassimi, contro il giamaicano Mike McCallum.
La svolta si ebbe il 21 marzo 1997: dopo 34 vittorie, arrivò la prima sconfitta, per squalifica: contro Montell Griffin esagerò, colpendolo non una, ma due volte, quando non avrebbe dovuto, con Griffin al tappeto, alla nona ripresa, quando era oltretutto avanti per tutti e tre i cartellini. Si rifece senza lasciare neanche finire i primi tre minuti nella rivincita, per poi aggiungere anche la corona WBA contro Lou Del Valle. In sequenza rapidissima, tra una difesa e l’altra, nel 1999 contro Reggie Johnson si portò a casa anche la cintura IBF e, nel 2000, quella IBO contro Eric Harding. Non contento, il 2 febbraio 2002, con un KO al settimo round a spese dell’australiano Glen Kelly, divenne anche campione The Ring, dopo essersi preso, pochi mesi prima, anche il titolo IBA contro il messicano Julio César Gonzalez.
A quel punto, non c’era praticamente più nulla che Roy Jones potesse ancora fare tra i mediomassimi. C’era solo una via d’uscita: pesi massimi. Data chiave: 1° marzo 2003. Nome chiave: John Ruiz. Luogo: Paradise, Nevada. Un nome, una garanzia. Perché quello diventa anche il paradiso di Jones, sotto forma di titolo WBA per decisione unanime dei giudici. Tornato tra i mediomassimi, incontrò l’uomo che si sarebbe trasformato in nemesi, Antonio Tarver: lo sconfisse una prima volta l’8 novembre 2003, ma l’anno successivo non riuscì più a batterlo, incappando, oltre che in questi due combattimenti persi, anche nel KO contro il giamaicano Glen Johnson. Ne andò di un po’ tutto quello che aveva conquistato in termini di titoli.
Diminuita la frequenza dei combattimenti, riuscì comunque ad essere ancora competitivo: riprese in mano il titolo IBC, batté Felix Trinidad nel 2008, ma perse per il titolo The Ring col britannico Joe Calzaghe. L’età, in generale, gli impedì di tornare a essere quello che era ai più alti livelli; ci provò anche nei massimi leggeri, ma l’australiano Danny Green non gli fece passare che due minuti sul ring nel fallito tentativo di vincere il titolo IBO in quella categoria. Col tempo si è dedicato anche ad altro, sviluppando anche una carriera nella musica e un’altra, ancora parallela, da attore, in qualche caso nei propri stessi panni (celebri “Southpaw” e “Creed II“). Dopo l’ultimo combattimento del 2018 contro Scott Sigmon il suo record recita 66 vittorie, di cui 47 per KO e 19 per decisione, e 9 sconfitte (5 e 3 più la squalifica con Griffin). Piccolo dettaglio proprio sulla sfida con Sigmon: Jones aveva un bicipite menomato. Per rendere l’idea di come, a quasi cinquant’anni, le forze forse possano diminuire, ma la forza, in fondo, neanche tanto. In fin dei conti, questo lo sa bene anche Mike Tyson.
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federico.rossini@oasport.it
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Foto: LaPresse / Olycom