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Formula 1
F1, perché Sebastian Vettel ha fallito con la Ferrari? Veloce ma non carismatico in un team con mentalità perdente
“Svuotato o sollevato in questo momento? Entrambe le cose. Oggi preferisco non parlare della gara. Gli ultimi 6 anni sono stati speciali per me. L’inizio è stato un sogno, mentre la fine un po’ triste. Sono contento di andare in Aston Martin, ma non voglio pensarci ora. Mi mancheranno tutti in Ferrari. Adesso non vedo l’ora di tornare a casa dalla mia famiglia. Passerò il Natale insieme a loro, poi arriverà il 2021: spero che il prossimo anno sia migliore, senza questo c***o di Covid. Oggi ho sentimenti contrastanti: sono sia contento e sia triste. Adesso voglio andare nei box per l’ultima volta, poi andrò a casa e da gennaio tornerò a lavorare“.
Così Sebastian Vettel ha concluso la propria avventura in Ferrari. Un 14° posto che non gli rende di certo giustizia ad Abu Dhabi per sei anni nei quali ha raccolto 14 vittorie – terzo nella storia dopo Michael Schumacher (72) e Niki Lauda (15) –, 55 podi, 12 pole position, 14 giri più veloci e 1400 punti. La domanda è: perché il quattro volte iridato ha fallito?
Non è semplice rispondere a questa domanda e gli aspetti da analizzare sono molteplici. In primis, la macchina: Seb non ha mai avuto una monoposto per continuità di rendimento e prestazione all’altezza della Mercedes e spesso si è trovato a combattere in condizioni non ideali.
In secondo luogo il matrimonio con la Rossa aveva una base di incompatibilità, rispetto a un ambiente decisamente pretenzioso. In altre parole, un sodalizio natalizio nato non sotto i migliori auspici. E’ noto che lo spagnolo Fernando Alonso avesse con la Ferrari un contratto anche per il 2015, ma con una clausola di uscita nel caso in cui i risultati non fossero all’altezza della situazione. Ecco che l’opzione “Vettel” è stata una specie di “ripiego” piuttosto che un qualcosa in cui credere.
Nei fatti il teutonico, nonostante il peso dei suoi Mondiali vinti (4), non ispirava quella fiducia come era accaduto con Michael Schumacher e anche con lo stesso Alonso. Perché? Le vittorie di Seb erano associate allo strapotere tecnico di Red Bull più che alle capacità del pilota e quindi in lui mancava il carisma del leader in pista. Tradotto: pilota veloce ma non forte mentalmente. Non a caso, l’ex presidente Sergio Marchionne parlava del teutonico come di un pilota un po’ “meridionale (italiano)”, riferendosi al suo essere fin troppo emotivo e passionale nelle manifestazioni in pista. Un pensiero “garbato” a qualche cavolata in pista.
In un ambiente complesso come la Rossa, la necessità di personaggi forti è condizione necessaria e non sufficiente, perché a ciò vanno unite stabilità e organizzazione. Il clima di ambizione positivo creato da Marchionne, infatti, si sorreggeva essenzialmente grazie alla sua personalità. Venuto a mancare il manager italo-canadese, la squadra si è sfaldata e pezzo dopo pezzo il progetto Sebastian-centrico si è sgretolato per via di una mentalità vincente.
L’avvento di Charles Leclerc è stato il colpo finale. Il monegasco, talento puro e inesperto, ha posto la parola fine all’avventura di Sebastian, forte di una posizione autorevole in squadra, ben protetta politicamente (manager Nicolas Todt) e mediaticamente. In un contesto nel quale la scuderia ha fatto una scelta in termini di sviluppi e di investimenti (Vettel troppo esoso), è calato il sipario su una storia bella umanamente, ma nella quale il tedesco non è mai stato davvero accettato per quello che realmente lo si voleva far passare.
Foto: LaPresse