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Antonio La Torre sulle insinuazioni di doping: “I dati di Jacobs sono consultabili, quelli degli americani no. Rosicano”

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Antonio La Torre, Direttore Tecnico della Nazionale Italiana di atletica leggera, ha difeso Marcell Jacobs dalle becere insinuazioni di doping ricevuti dalle testate britanniche e statunitensi. Il tecnico ne ha parlato a Radio Popolare: “Bisogna cercare di far bene il mestiere di giornalisti. Ricordo a tutti che se avesse delle ginocchia un po’ meno fragili probabilmente oggi avremmo celebrato Marcell Jacobs campione olimpico di salto in lungo. Marcell ha un record personale vicino agli 8.50 metri e ai Giochi la gara è stata vinta con un salto di 8.41 metri. Quest’anno avrebbe gareggiato con una generazione di saltatori sicuramente al di sotto del suo infinito talento. Jacobs ha lavorato benissimo in questo anno e mezzo, nonostante la pandemia. I segnali si sono visti da questo inverno. In atletica non si inventa nulla, altro che miglioramenti repentini. Quest’inverno a Torun, in Polonia, ha vinto il titolo europeo con 6.47 secondi sui 60 metri, la miglior prestazione mondiale dell’anno. A Savona ha corso i 100 metri in 9.95 secondi e poi tante altre gare sotto o vicino ai 10 secondi. Questo dovrebbero raccontare i giornalisti americani“.

Il tecnico ha proseguito: La nostra strategia era dare il massimo alle Olimpiadi. Non dimentichiamo un’altra cosa, che i giornalisti americani conoscono: leggete quello che ha detto Usain Bolt a proposito delle scarpe e del vantaggio che danno. Ci sono già studi scientifici che lo certificano. E pure questa pista, fatta da un’azienda italiana, è davvero stupefacente: stanno correndo forte tutti, un miglioramento di quasi un decimo c’è stato per tanti atleti. Oggi sono stato intervistato dall’ Associated Press e il giornalista era stupito che gli raccontassi tutti i dati dell’allenamento di Marcell, che normalmente registriamo e che sono a disposizione di qualunque giornalista voglia venire a curiosare. Cosa che non è altrettanto facile in altre realtà, americane o inglesi. Credo ci sia un pochino di fastidio, non so se il termine giusto sia “rosicare”. Non esiste nessuna legge che dice che chi vince lo sprint dev’essere per forza americano o inglese. Vi ricordo che nel 2003, ai mondiali di Parigi, vinse un certo Collins nato nelle isole Saint Kitts e Nevis. Questo per dire che c’è talmente tanta partecipazione a questa gara che, a volte, bisogna solo avere pazienza e aspettare che i talenti maturino per dare pieno spazio al loro motore e alle loro potenzialità”.

Foto: Lapresse

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