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Paralimpiadi
Paralimpiadi, Italia prima nazione UE per medaglie vinte. Azzurri fonte d’ispirazione per un Paese migliore
Con ben 69 podi complessivi, nel medagliere che tiene conto degli ori l’Italia si classifica nona alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 dopo Cina, Gran Bretagna, Stati Uniti, Russia, Paesi Bassi, Ucraina, Brasile ed Australia.
Un risultato eccellente, essendo il secondo Paese dell’Unione Europea per numero di titoli vinti (dopo i Paesi Bassi) ed il primo per medaglie vinte in totale (69, a fronte delle 59 dei Paesi Bassi, le 54 della Francia e le 43 della Germania). Un successo che vale tantissimo: vincere una medaglia alle Paralimpiadi, significa infatti avere un modello d’eccellenza nell’inclusività e nelle pari opportunità.
La cultura sportiva tra persone con disabilità, infatti, va incoraggiata e promossa ad ogni livello: a livello istituzionale, sportivo e familiare.
Spesso, infatti, le vere barriere sono di natura psicologica; e risiedono nel creare “limiti” e la paura di non potercela fare. Le Paralimpiadi
godono quindi di un valore sociale inestimabile in quanto ci permettono di conoscere storie meravigliose, di forza, coraggio ed umanità. Basti pensare alla storia di Ambra Sabatini, 19enne campionessa nei 100 metri femminili. A 17 anni, Ambra è vittima di un incidente stradale, perdendo un arto. Inizia a studiare quindi in ospedale la migliore delle soluzioni e delle protesi per il suo corpo. Nel frattempo, non solo reagisce, ma trova una rinnovata forza ed energia; e pratica infatti nuoto e ciclismo mentre aspetta le protesi.
O ancora, per dare giusto valore anche a quelle storie di uomini e donne senza soffermarsi eccessivamente sui colori di una bandiera, piena di forza è la storia di Ibrahim Al Hussein. Durante giornate martoriate da bombardamenti in Siria, Ibrahim sopravvive e perde una gamba in un’esplosione. Cade in depressione una volta che la sua vita viene “stravolta” dalla sua nuova condizione ed inizia ad utilizzare una sedia a rotelle per gli spostamenti. Si rifiuta di mangiare e di bere per diverso tempo. È nella relazione con i suoi affetti e nello sport che trova l’energia di progettare la sua nuova vita. Ibrahim, oggi, è un grande campione nel nuoto.
Queste storie di donne e uomini, di campionesse e campioni, ci insegnano l’importanza di non fermarsi mai. Il seguire un sogno, il crearne uno nuovo. Eppure, per fare tutto ciò, si ha bisogno del prossimo. Abbiamo bisogno di una famiglia e di un gruppo d’affetti che siano empatici senza sfociare nell’eccesso e nell’iperprotezione, di istituzioni che investano su progetti, infrastrutture ed iniziative culturali inclusive e non discriminanti. È difficile comunicare ai nostri giovani italiani che possono “tutto” quando i nostri spazi pubblici sono ancora limitati da barriere architettoniche, dalle aree gioco non inclusive fini agli autobus senza accesso con pedane; eppure, la delegazione di 113 atlete ed atleti azzurri ci dimostrano che tutto ciò è possibile.
Oggi è un giorno da festeggiare per questi grandi personaggi. Eppure, festeggiando il primato nell’Unione Europea in termini di medaglie
ottenute, non dobbiamo adagiarci. Ci sono Paesi come la Gran Bretagna (124 medaglie), simile economicamente e demograficamente, o ancora altri Paesi con un PIL meno elevato come l’Ucraina (98 medaglie), che hanno saputo ottenere risultati di tutto pregio. Ed è a questo miglioramento continuo che dobbiamo puntare; per portare i più giovani ad “infrangere barriere”, ad ispirare altri individui con storie di forza e coraggio, fino a fare del nostro Paese un luogo migliore per noi tutti.
Di Michelina Manzillo