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Novak Djokovic, il campione ‘odiato’ che si nutre del tifo avverso. Goran Ivanisevic: “Si carica con la pressione”
Novak Djokovic è vicino a compiere l’impresa: completare il Grande Slam e vincere il suo 21° Major. Gli US Open potrebbero regalargli questa duplice soddisfazione, rafforzando l’idea che lui sia indiscutibilmente il miglior tennista di tutti i tempi. Il serbo affronterà nei quarti di finale Matteo Berrettini e ci proverà il romano a guastargli la festa.
Un evento però accolto con freddezza dai media statunitensi che parlano decisamente poco di quello che potrebbe realizzare Nole. A questo va aggiunto un altro aspetto: Djokovic deve convivere con match sempre costellati dal tifo avverso. E’ una costante che il fuoriclasse nativo di Belgrado debba affrontare le difficoltà proposte dal suo avversario e l’avversione del pubblico.
Perché così osteggiato? Per un modo di comunicare a volte forzato secondo alcuni e perché inserito in una narrazione nel quale il suo ruolo è quello del terzo incomodo, riferendoci a Roger Federer e a Rafael Nadal, proponendo un tennis completo ma non attraente. Un spirito robotico non così affascinante. Elementi che generano tensione e di cui lo stesso Djokovic si nutre per dare il meglio di se stesso.
“Certo che Djokovic sente la pressione. E più la avverte meglio gioca, ecco perché è un campione così incredibile. Ecco perché secondo me è il più grande tennista della storia“, le parole Goran Ivanisevic, tecnico del serbo. “Lo dicevo già sette o otto anni fa, quando non pensavo nemmeno che un giorno sarei entrato nel suo team. Novak è l’unico che può vincere quattro Slam in un anno. Non voglio dire che vincerà tutte le sette partite, due settimane sono lunghe e sono felice che ci sia il pubblico perché lo scorso anno abbiamo assistito al più triste US Open di sempre, senza nessuno sulle tribune“, ha aggiunto l’ex n.2 del mondo.
Un n.1 del mondo che quindi converte la contrarietà altrui in motivazione e voglia di vincere per dimostrare la sua forza. E’ questo il suo segreto? Probabilmente sì.
Foto: LaPresse