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L’eredità dello sport olimpico sovietico trent’anni dopo

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Dominatore dello scenario olimpico tra gli anni ’50 e gli anni ’80, lo sport sovietico ha lasciato una preziosa eredità alle quindici repubbliche nate dalla dissoluzione dell’URSS. Ma, trent’anni dopo, questo patrimonio sembra essere stato in gran parte dissipato.

Le radici dello sport olimpico russo affondano nella prima partecipazione dell’Impero Russo ai Giochi, già nell’edizione del 1900. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, l’Unione Sovietica non prese parte alle competizioni olimpiche per circa tre decenni, valutando la visione occidentale dello sport come contraria all’ideologia comunista. Pur tenendo in alta considerazione l’utilità sociale dello sport, il Commissario del popolo per l’Istruzione, Anatolij Lunačarskij, criticava fortemente la concezione dello sport come feticcio attraverso la competizione non sana e la professionalizzazione, caratteristiche che in Occidente stavano già prendendo piede soprattutto in alcune discipline come il calcio e il pugilato.

Il governo di Mosca volle allora creare un modello sportivo alternativo a quello dei Paesi capitalisti, lo “sport proletario”, praticato dai lavoratori nel tempo libero, ed utilizzando i club sportivi anche come strumento di formazione politica. L’Unione Sovietica puntava infatti soprattutto sullo sport di base a beneficio del popolo, attraverso l’istituzione dei cosiddetti club sportivi volontari e la pratica sportiva nelle scuole. Lo sport sovietico era gestito dalla Sportintern, un’organizzazione alla quale potevano prendere parte anche lavoratori di altri Paesi europei, che spesso si recavano in Unione Sovietica per gareggiare in competizioni internazionali incentrate sulla solidarietà tra i popoli e i lavoratori del mondo.

Dopo la seconda guerra mondiale, la visione dei Giochi Olimpici da parte dell’Unione Sovietica mutò. Già in precedenza, a dire il vero, Stalin aveva previsto la possibilità della partecipazione dell’URSS nelle competizioni sportive internazionali, ma questo progetto era stato accantonato a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale: “Siamo in competizione con i borghesi economicamente e politicamente, e non senza successo. Siamo in competizione in ogni campo possibile. Perché non competere nello sport?”, secondo le parole del leader sovietico. Nella visione di Stalin, infatti, la partecipazione alle competizioni internazionali, soprattutto alle Olimpiadi, poteva essere utilizzata per mostrare la superiorità del modello sovietico anche in questo settore, sfruttando una vetrina di tale importanza per promuovere il comunismo nel mondo.

Il 21 aprile 1951, venne finalmente fondato il Comitato Olimpico dell’Unione Sovietica, che ottenne l’immediato riconoscimento da parte del Comitato Olimpico Internazionale il successivo 7 maggio, e Konstantin Andrianov divenne il primo rappresentante sovietico presso il CIO. L’URSS partecipò per la prima volta alle Olimpiadi nell’edizione di Helsinki 1952, piazzandosi subito al secondo posto del medagliere, alle spalle degli Stati Uniti. Nina Romaškova, vincitrice della gara di lancio del disco, divenne la prima sovietica a conquistare una medaglia d’oro a cinque cerchi.

Tra gli anni ’50 e gli anni ’80, per circa quattro decenni l’Unione Sovietica è stata la massima potenza sportiva mondiale. L’URSS ha preso parte solamente a nove edizioni dei Giochi estivi, eppure ancora oggi si trova al secondo posto nel medagliere storico di tutti i tempi, davanti alla Gran Bretagna, che invece ha partecipato a tutte le 29 edizioni. In queste nove edizioni, per sei volte ha chiuso al primo posto del medagliere, mentre nelle altre tre è stata preceduta solamente dagli USA. Alle Olimpiadi invernali, ha terminato al comando in ben sette occasioni su nove, superata solamente dalla Norvegia nel 1968 e dalla Germania Est nel 1984.

In seguito alla dissoluzione dell’URSS, venne sciolto anche il Comitato Olimpico. Tuttavia, la vicinanza con le successive Olimpiadi del 1992, sia estive che invernali, non permise l’organizzazione di delegazioni nazionali per ciascuna delle quindici repubbliche appena nate. La Squadra Unificata, come venne ribattezzata la delegazione degli atleti ex sovietici, ottenne ancora grandi risultati, terminando al primo posto del medagliere a Barcellona e al secondo ad Albertville.

Dal 1994, tredici delle quindici repubbliche ex sovietiche parteciparono alle competizioni olimpiche sotto la propria bandiera, raggiunte, nel 1996, da Azerbaigian, Tagikistan e Turkmenistan. L’edizione di Atlanta 1996 fu dunque la prima alla quale parteciparono tutte le quindici repubbliche, che usufruirono a pieno dell’eredità sportiva sovietica. Quei Paesi si ritrovarono infatti con un prezioso patrimonio composto da infrastrutture, club sportivi affermati, allenatori e atleti di fama internazionale ed un’importante tradizione in un gran numero di discipline. Ad Atlanta, non solo la Russia chiuse seconda alle spalle dei padroni di casa statunitensi, ma l’Ucraina terminò nona con 23 medaglie, risultato che non sarebbe mai riuscita ad eguagliare in seguito. Medaglie vennero vinte anche da Kazakistan, Bielorussia, Armenia, Moldova, Uzbekistan, Azerbaigian, Lettonia, Georgia e Lituania. Sommando i risultati di tutte queste delegazioni, l’URSS avrebbe avvicinato gli USA nel computo degli ori (44 a 40 per la compagine locale), ma con un numero di medaglie complessive ben superiore (121 a 101 per gli ex sovietici).

Questi quindici Paesi hanno goduto dell’eredità sportiva sovietica per tutti gli anni ’90 e per la prima parte degli anni 2000, ma con il tempo sembrano aver dilapidato quanto costruito ai tempi dell’URSS. L’esempio dell’Ucraina è quello più lampante, visto che il Paese è precipitato dal 9° posto ottenuto nel medagliere di Atlanta ’96 al 44° di Tokyo 2020, dopo aver chiuso già in una deludente 31ma posizione a Rio 2016. A Tokyo 2020, inoltre, l’Ucraina ha qualificato solo 155 atleti, scendendo per la prima volta sotto quota 200 da quando ha raggiunto l’indipendenza, nonostante il numero crescente di gare in programma.

Non va meglio alla vicina Bielorussia, considerata come la terza potenza sportiva post-sovetica dopo la Russia e la stessa Ucraina. Dopo aver ottenuto 17 medaglie a Sydney 2000, la delegazione bielorussa ha vissuto un lento ma costante calo che l’ha portata a chiudere l’edizione giapponese solamente al 45° posto, subito alle spalle degli ucraini, con appena sette podi.

Per la prima volta dall’indipendenza, il Kazakistan ha terminato un’edizione olimpica estiva senza ori. Dopo il record di diciotto medaglie ottenuto cinque anni fa, alimentato da una formidabile squadra di boxe, ma anche da atleti del sollevamento pesi poi coinvolti in scandali doping, il più grande Paese dell’Asia centrale si è dovuto accontentare di soli otto bronzi, terminando addirittura 83°. Sempre restando in Asia centrale, l’Uzbekistan ha chiuso con soli cinque podi, contro i tredici di Rio 2016, mentre il Tagikistan non ha ottenuto medaglie per la prima volta dopo tre edizioni consecutive a podio. L’unica nota positiva è arrivata dal Turkmenistan, che ha vinto la sua prima medaglia di sempre grazie all’argento di Polina Gurýeva nel sollevamento pesi.

Quanto alla regione caucasica, se Georgia e Armenia hanno mantenuto i livelli della precedente edizione, l’Azerbaigian, il Paese più rappresentativo di quest’area, ha subito una forte battuta d’arresto, chiudendo senza ori e solamente al 67° posto del medagliere, peggior piazzamento di sempre da quando partecipa come Stato indipendente.

Il caso più rappresentativo resta però quello della stessa Russia, che da superpotenza sportiva sta lentamente scivolando al rango inferiore, lasciando definitivamente il posto di grande rivale degli Stati Uniti alla Cina. Certo, si può dire che le sanzioni alle quali è stata sottoposta la Russia siano una delle cause del risultato non soddisfacente di Tokyo 2020, ma il calo era già iniziato molto prima. La Russia ha infatti chiuso al secondo posto nel 1996 e nel 2000, al terzo nel 2004 e nel 2008, al quarto nel 2012 e nel 2016, ed infine al quinto, sotto l’egida del Comitato Olimpico Russo, nell’edizione di quest’anno.

Quali che siano i motivi specifici, è chiaro che il modello sportivo sovietico ha lasciato in eredità un prezioso tesoro che con il passare del tempo sta andando perduto. Citando uno storico leader del Partito Comunista Italiano, questa volta è forse davvero il caso di dire che a Tokyo 2020 “si è esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”.

a cura di Giulio Chinappi

Foto: LaPresse

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