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Basket, Sara Crudo: “Al Geas ora dobbiamo fare meglio di così. Bello ritrovare l’Italia, ma bisogna lavorare sempre”
Sentir parlare Sara Crudo, in certa misura, è come ascoltare chi, a livello cestistico, di vite ne ha già vissute almeno un paio. Infortuni, voglia di riscatto, scelte difficili e momenti duri: c’è tutto questo nelle parole della giocatrice alla terza stagione con la maglia rossonera del Geas Sesto San Giovanni e che, nella recente finestra di qualificazione agli Europei, ha ritrovato la maglia dell’Italia. Sopra ogni cosa, lascia passare un concetto di grande importanza: la mentalità conta. E fa tutta la differenza.
Dell’ultima partita persa dal Geas con Lucca diceva coach Cinzia Zanotti che le cose erano andate bene in difesa, ma non tanto in attacco.
“Infatti. Penso che non abbiamo fatto abbastanza in attacco. Sono la prima che dovrà fare meglio, ma non abbiamo giocato troppo insieme nei momenti difficili, non ci siamo unite e quindi non abbiamo poi trovato soluzioni che funzionassero“.
Però l’annata complessivamente sta andando bene, considerando che avete avuto tanti problemi di infortuni finora.
“Quello sì, ma dobbiamo fare meglio di così. Ci sono già due partite che dovevamo vincere, quella di Empoli e quella di domenica. Però adesso ci siamo tutte, gli infortuni non ci hanno premiate, ma adesso dobbiamo capire come lavorare tutte insieme. E visto che siamo tutte, dobbiamo trovare un nuovo equilibrio“.
E con un calendario che ora dice Moncalieri e Broni, ma propone poi Schio, Venezia e Campobasso.
“E’ inutile stare a dire che la partita di domenica a Moncalieri va vinta, e anche quella di Broni. Poi è chiaro che ci sono squadre più difficili, come Venezia e Campobasso, però adesso non abbiamo tempo di pensarci. Dobbiamo lavorare in palestra e cercare di vincere più partite possibili. E le prossime sono sicuramente di quelle che dobbiamo portare a casa“.
Tu quest’anno sei partita col piede sull’acceleratore, perché hai subito ricominciato a segnare come se non ci fosse un domani soprattutto nelle prime partite, una cosa bella da vedere dopo quanto successo lo scorso anno.
“Sono contenta di essermi ripresa dopo l’infortunio, però non basta una partita. Bisognerebbe giocare così ogni volta, quindi la cosa che mi interessa delle partite è giocare bene le prossime, perché ce n’è bisogno“.
Queste performance ti hanno dato la convocazione in Nazionale. Una sorta di “Nazionale un anno dopo”, visto che eri nella lista già nel 2020, prima che ti infortunassi. Ed è sembrata una specie di lunga rincorsa che è finita.
“Sono felice perché l’anno scorso mi ero fatta male ed erano uscite le convocazioni in quella settimana, per cui è stato brutto. Sì, sono contenta di esserci arrivata, ma per me, come sempre, non è un traguardo. Bello, sicuramente, ma bisogna lavorare sempre“.
Fra l’altro, eri in quintetto quando c’è stato, in Slovacchia-Italia, il momento difficile che però si è trasformato in nella rimonta che si è concretizzata con la rubata di Zandalasini.
“Quel momento è stato bello, abbiamo recuperato da -13. Io non ero entrata fino alla fine del terzo quarto, poi sono entrata in quel momento e sono contenta di aver portato a casa la vittoria. Non sono neanche più uscita dopo che sono entrata, quindi ero felice. E bisogna anche gioire della vittoria, perché non era una partita facile“.
A un certo punto, a leggere ciò che si scriveva in giro sul -13, le possibilità sembravano le stesse che davano all’Italia Under 20 di cui facevi parte che, contro molti pronostici, fu di bronzo europeo a Udine nel 2014.
“Esatto, giocando con grande voglia. Sono d’accordo“.
C’è un lato particolare della tua esperienza cestistica, che risale alla stagione 2017-2018: il tuo passaggio all’AS Monaco. Che differenze hai trovato tra il basket francese e quello italiano?
“Sono andata lì perché volevo fare un anno un po’ più tranquillo, mi ero operata alla spalla. Avevo bisogno di fare un po’ meno, sono andata anche per scelta, non soltanto per l’infortunio. Poi si è rivelata un’esperienza positiva. Sicuramente il livello non era da Serie A, era una categoria al di sotto (la Nationale Femenine 1 è, appunto, la seconda serie francese, dietro alla LNB, N.d.R.). Però è un campionato molto fisico, sicuramente non è stato facilissimo integrarsi, però sono andata subito d’accordo con le compagne e con l’allenatrice. E quindi ho fatto un anno bello, poi è arrivata anche la chiamata della Reyer, quindi ero contenta di andare, anche perché la Reyer è sempre stata un’ottima società quindi ho accettato senza pensarci“.
Ed in fin dei conti è difficile rifiutare per una società che da anni lotta per gli alti traguardi in Italia e in Europa.
“Infatti mi è arrivata la proposta e ho subito detto sì senza pensarci più di tanti“.
Di queste stagioni con il Geas cos’è quel che ti ha resa più felice?
“Certamente la continuità che mi ha dato questa squadra, che sicuramente ancora non ha trovato appieno, perché la sta ancora cercando. Potrei sempre fare meglio, ma sicuramente mi ha dato l’opportunità di avere fiducia, che dopo l’anno della Reyer, che è stato un po’ difficile, avevo un po’ perso. Quindi sono contenta così, sono contenta della fiducia che mi ha dato Cinzia. Mi diverto molto, lavoriamo tanto, ci divertiamo insieme. E meno male, perché i due campionati scorsi sono stati positivi. E’ un ottimo ambiente dove lavorare“.
Quel che si sente lì dentro è il gruppo inteso non come squadra, ma come persone.
“Sicuramente. Stiamo ancora cercando la nostra identità, magari non riusciamo a concretizzare perfettamente, però questo te lo sottolineo che è certamente così“.
Se ti rivedi in quest’ultimo anno dopo l’infortunio, hai affrontato tanta strada e ora sei passata dal momento di scoramento a un momento in cui fa piacere vedere quante cose sono cambiate, con le belle performance e l’arrivo in Nazionale.
“Fa piacere sicuramente. La cosa che dico sempre è che bisogna sempre lavorare, perché sicuramente arrivano dei risultati. La cosa importante è che cerchi di lavorare sulla continuità e poi che cerchi di fare di più. Le cose possono cambiare però. Dietro c’è tanto lavoro. Sì, vai in Nazionale, giochi le partite, ma devi continuare a lavorare“.
Fra l’altro quando ti sei fatta male è esploso anche il problema Covid in squadra. E proprio a tal proposito, rimane il problema Covid-infortuni, perché è vero che si riesce a gestire di più la situazione, ora, con la campagna vaccinale, però è altrettanto vero che è cambiato tutto in termini di preparazione e, in questa prima parte di stagione, di guai fisici ce ne sono stati tanti.
“Sì, perché comunque ti sposta l’equilibrio, nel senso che se un giocatore prende il Covid, gli altri devono andare in quarantena finché non sono tutti negativi. E poi è una brutta bestia perché non sai se magari l’hai preso lo stesso, perché poi ti può venir fuori nei giorni successivi anche quando sei negativo. Anche a noi è successo lo scorso anno: una mia compagna continuava a fare i tamponi e poi è stata positiva due settimane. Così è anche difficile trovare continuità, è un periodo complicato e speriamo di uscirne il prima possibile. Speriamo che la gente si vaccini prima che può, è l’unica cosa che si può fare“.
Quella finestra della Nazionale è stata la prima da due anni che si è giocata con il pubblico sulle tribune, e chi ha vissuto le bolle del 2020-2021 sa quant’era grande la differenza. Stesso discorso in campionato: annata passata a porte sprangate, adesso ci sono di nuovo le persone.
“E’ stato bello. Erano due anni che non si giocava col pubblico, quindi è stata una cosa positiva e speriamo di tornare sempre a quel tipo di pubblico, perché è certamente più bello con che senza. Io ero contentissima. Anche perché parliamo di una vittoria fondamentale, e anche perché vincere aiuta a vincere e porta sempre più gente al palazzetto. E’ stato bello, ma per me è stata davvero una bella situazione, tutta la gente che tifava per noi, e ce n’era tanta. Di sicuro è una cosa positiva e bella da vivere“.
In questa finestra s’è visto anche l’esordio di Matilde Villa che in tre minuti ha fatto due punti, assist, altro assist e altri due punti. Non è entrata troppo male.
“Lei è stata bravissima, perché sa esattamente quello che deve fare, dove deve andare, non si fa troppi problemi. Sicuramente è piccola, però di esperienza ne sta mettendo dentro, sta lavorando molto bene e sono contentissima per lei. L’ho conosciuta quei giorni lì, perché non la conoscevo prima. Le auguro di continuare a lavorare così, di continuare in questo modo“.
Ritornando sul fronte Geas, parlavamo del pubblico. Che è abbastanza caldo: si parla tanto di Broni, ma anche a Sesto San Giovanni si sente.
“E poi il Geas è una squadra che negli ultimi anni ha fatto bene, e si merita un bel pubblico. Ed è seguita. Ci sono tanti appassionati, tanti bambini e tante bambine nel settore giovanile, c’è sempre abbastanza gente e questa è una cosa bella. Mi ricollego anche a quello che abbiamo detto prima: rispetto ai tempi di Covid, quando nessuno poteva venire, ora mi sto riabituando a vedere persone che vengono, perché l’anno scorso è stato veramente strano. Questa è una cosa positiva e bella“.
All’inizio vi siete dovuti abituare a sentire lo stridio delle scarpe che passavano sul campo. Ora c’è il riabituarsi al pubblico, e questo sembra un continuo cambiare, un riadattarsi ogni volta a situazioni diverse più del solito.
“Sì. Purtroppo non c’erano molte alternative, bisognava fare quel che si poteva. L’unica cosa da fare era questa, poi ci siamo abituati dopo un po’ perché è normale. E’ tutto quel che si poteva fare, quindi si faceva. Non avevamo molta scelta“.
Quali sono gli obiettivi della squadra e, sul lungo termine, per te?
“L’obiettivo di squadra è quello di arrivare più in alto possibile, e fare dei bei playoff. Sicuramente l’anno scorso a Bologna il campionato è finito con l’amaro in bocca. Io ci ho messo un bel po’ a dimenticarmi, o meglio non l’ho dimenticato. Ricordo bene la partita, ricordo che era da vincere, eravamo sull’1-0, poi l’abbiamo portata sull’1-2 per errore nostro. Poteva finire meglio, non abbiamo fatto una bella prestazione in quella partita. Si vince e si perde, però vorrei riuscire a fare un po’ meglio di quello che abbiamo fatto l’anno scorso, riuscire a fare un po’ meglio di quello che abbiamo fatto l’anno scorso, che potevamo perché le possibilità c’erano. Io penso che quest’anno si possa perché questa è una buona squadra, dobbiamo soltanto trovare un po’ di più il nostro gioco, perché cerchiamo di aiutarci. In attacco c’è un po’ di confusione, ma dettata dal fatto che tutte noi vogliamo aiutare la squadra. Non è facile trovare equilibri in una squadra di 12 persone, è una bell’impresa, però si fa col lavoro, con dedizione, con continuità, col lavoro in palestra tutti i giorni. E’ un processo lungo che si costruisce durante la settimana, ma ci possiamo arrivare“.
Parli della serie con la Virtus come se fosse il fuoco che ti sta spingendo ancora di più in questa stagione.
“A parte quello, c’è la voglia di riscattarsi dopo l’infortunio, che poi alla fine non è stato un anno senza giocare perché poi ho fatto inizio anno, fine anno. Sono rientrata, poi ci sono stati 3-4 mesi in cui sono stata fuori. Però è dura dover sempre vedere le partite da fuori, non poterle giocare. Non è stata una bella situazione. Fai fatica, perché quando giochi nella tua vita, ma non puoi giocare, ti tolgono quello, è un disastro. Le mie motivazioni sono sempre quelle: con la maglia dell’Italia, o del Geas, o di qualunque altra squadra tu in quel momento la stai onorando, devi onorarla. Bisogna sempre dare il massimo per onorare quella maglia che hai addosso. Io gioco sempre per queste cose qui. Poi è chiaro che ci sono adesso anche molti precedenti di cui parlavamo, della sconfitta con Bologna. Quello è un motivo in più, ma ovunque io vada cerco di mettere questi principi perché sono valori che formano persone e giocatrici. Sono abituata a pensare queste cose, perché sono cose in cui credo, quindi lo faccio perché ci credo“.
Quello che si sente nella tua voce è una forte determinazione. Che si vede nelle scelte che hai fatto. Quando ti sei fatta male alla spalla hai scelto di ricominciare dal basso. Poi hai avuto la chiamata alla Reyer, e dalle tue parole non è stata l’annata che t’aspettavi. Poi queste al Geas, che ti stanno riportando al centro dell’attenzione come lo eri già nelle giovanili. L’impressione è che ogni volta scegli di ripartire per trovarti in punti di arrivo e di partenza in base alle situazioni che si sono create.
“Hai ragione. E’ esattamente così. L’anno dell’infortunio ci sta, purtroppo: ti fai male, hai bisogno di riprendere il ritmo giusto per ritornare a stare in una squadra. C’è bisogno di tempo, perché sei fuori per tanto, ed è ovvio che hai bisogno di allenamento per tornare a fare quello che fai prima. L’anno della Reyer ci sono andata perché comunque credevo di poterci stare in quella situazione. Mi aspettavo di più, però è stato un anno che non rimpiangerò mai, anzi. Quell’anno lì ha svoltato un po’ la mia carriera, nel senso che nonostante stessi tanto in panchina, son stata lì ad allenarmi e continuare a creare questa mentalità che mi sono sempre creata, da quando sono bambina, perché ho ben chiaro quello che voglio fare anche all’interno di una squadra. Però l’anno di Venezia, nella difficoltà assoluta… ti assicuro che non c’è peggior cosa al mondo di non giocare. Stavo bene, ma la scelta tecnica era di non farmi giocare. Ti assicuro che provavo la morte dentro perché non giocavo, perché per me non giocare è come morire. E’ togliermi quello che mi fa respirare, però lo accetti e continui. Se non gioco c’è un motivo, no? Ci dev’essere per forza. Qual è il motivo? Per questo ogni giorno stavo 2-3 ore in più in palestra per allenarmi e per mostrare che potevo giocare. Ma non perché dovevo dimostrarlo a qualcuno, perché ho bisogno anche io di dimostrare a me stessa che potevo farcela. Non c’è cosa peggiore che essere chiamati in una squadra e non aver la possibilità neanche di provare a essere messi in campo. Oggi non parlo male perché non è nel mio stile, però la cosa che ti fa creare una mentalità e ti fa andare avanti è quella di non arrenderti, di continuare a lavorare per quello che ami. E semplicemente io non potevo fare a meno. Vedevo che non giocavo e mi allenavo ancora 2-3 ore. Te lo giuro. Sembra folle, ma è così. Partite, viaggi, è difficilissimo, ma stavo veramente 6 ore in palestra perché volevo migliorare e giocare. E’ una cosa che ti fa fare un saltino in su mentalmente, perché se invece uno va in palestra, pensa “tanto non gioco”, entra un minuto prima, esce un minuto dopo, è un tipo di atteggiamento diverso, ma non sono abituata a lavorare così. Più ho degli stimoli e più voglio fare quello. Non gioco? Bene. Quindi devo dimostrare qualcosa perché voglio far comprendere che ci posso stare. Ma questo perché io sono una testa dura, quindi voglio arrivare ai miei obiettivi e per farlo capisco che bisogna guadagnarselo, come ho sempre fatto, da sempre. Questo è quello in cui credo. Lo vedi che io sono così. Perché quando voglio una cosa, anche in campo magari cerco di difendere, metter giù le gambe. Voglio la palla? Proviamo a rubargliela in tutti i modi possibili, a difendere in tutti i modi possibili, più forti, più intensi che conosco. Questa è etica. Così nel campo, così nella vita, così nelle situazioni e nelle mentalità che si crea un giocatore. Questo è quello che io penso. Quindi quello che hai detto tu prima è tutto vero. Tutto quello che hai detto sui punti di arrivo e di partenza. E’ così“.
Con questo discorso hai tirato fuori tutto quello che hai sentito a Venezia. Ed è vero che quando giochi poco finisci per forzare di più le cose, sapendo che puoi stare poco in campo: cerchi di dimostrare tutto in quel momento e succede che fai qualche scelta diversa da quella che faresti normalmente.
“Perché hai poco tempo, e quindi magari entri e vedi che devi segnare, ma non perché devi segnare, ma perché hai poco tempo per dimostrare qualcosa. Però per me è importante anche fare un bel passaggio a una compagna, farla segnare, cosa che io trovo fantastica. A volte faccio assist alle mie compagne e non potrei essere più felice, oppure in difesa quando si ruba una palla. Anzi, per me la difesa è sacra. Cerco sempre di fare bene. Per me è importantissima, perché non riesco a mettermi in ritmo se non parto dalla difesa. Non esiste partita dove io faccio bene in attacco se non faccio bene in difesa. Perché è così per forza, ti metti in ritmo da quello. La difesa è il miglior attacco“.
Hai un po’ ricordato la sofferenza che raccontava nel suo libro Gigi Datome quando raccontava del periodo in cui è stato ignorato a Detroit. Magari è un po’ meno il tuo caso, però sentirti ignorata per scendere in campo non t’ha aiutata in quel momento. E al Geas l’impressione è che ti sei ritrovata con il poter avere quel tipo di fiducia.
“Esatto, quel che dicevamo prima anche a proposito degli obiettivi. Fondamentalmente è questo. Anni di “sofferenze”. Ci sta passare questi momenti qua, dove tu passi da quello e ne esci da vincente. Io lo so che non ho giocato niente l’anno della Reyer, ma penso di esserne uscita a testa altissima, come anche nell’aver recuperato tutti gli infortuni. Non ho avuto solo quello al ginocchio, ma ne ho avuto anche uno importante alla spalla, ed è la spalla con cui tiro, quindi non è facile. E’ una cosa che mi porto dietro, negli anni, e sarà così sempre. Tutti i giorni, quando vado in palestra, devo fare degli esercizi perché dev’essere rinforzata, aiutata, perché chiaramente non è come l’altra. Poi è una cosa di mentalità, nel percorso che ti crei tu, nella tua vita, stare sempre attento al ginocchio, alla spalla, alla caviglia, andare prima in palestra, fare gli esercizi. C’è un sacco di cose. Aver recuperato dagli infortuni, dopo che recuperi fai un anno e non giochi, non è facile sia a livello mentale che fisico, perché non sei abituata a giocare. E quindi sicuramente è difficile. Però poi lo fai perché continui. Ci sono due tipi di persone. Se ti arrendi non vai avanti, ma se vuoi andare avanti la forza per andare avanti la trovi, e per fare le cose che vuoi fare. Dico semplicemente perché per me è semplice, perché ormai sono abituata a un tipo di lavoro e di pressione, di queste situazioni difficili. E quindi voglio talmente tanto giocare che devo trovare il mezzo per arrivarci in qualsiasi modo. Non è un concetto semplice, però tutto questo è se lo vuoi. E lo voglio veramente“.
E per questo sei disposta fondamentalmente a sporcarti le mani. Accettare, appunto, di ripartire da sotto, per poter fare e avere. La differenza grande che si sente è che al Monaco sei scesa di livello, ma avevi la possibilità di giocare e di avere dello spazio per qualcosa di nuovo. A Venezia, nonostante ci fossero le compagne che erano importanti in allenamento…
“…lì mi ha aiutato tantissimo allenarsi con questa gente. Giocavo con Jolene Anderson, De Pretto, Carangelo, Bestagno, Kacerik. Avevamo Gulich, avevamo preso LaToya Sanders, gente di altissimo livello“.
Ed è arrivata in corsa Chicca Macchi perché Napoli si era sbriciolata da sola.
“Esatto. Per me lei è stata super, fondamentale. Io ho preso i suoi consigli come oro. Sono contentissima di averla conosciuta. Mi dispiace averci giocato pochissimo. Per me è stato un privilegio quando è arrivata, è stato bellissimo avere una compagna di squadra come lei. Mi dispiace che abbia finito così, che non abbia più continuato. Per me lei oltre a essere un’amica è una leggenda. Non posso usare altre parole“.
Parliamo di una giocatrice che ancora a 35-36 anni dominava le partite.
“Perché lei è lei. E quindi…“.
Anche Jolene Anderson è un personaggio di valore. Giocatrice di un’efficacia tremenda, nel senso che sapeva sempre cosa fare.
“E’ fortissima. Segnava sempre. In allenamento non sapevo come marcarla perché la inseguivo, facevo tutto quello che bisognava fare sulla difesa, ma questa segnava con la mano in faccia. Era sempre uno stimolo e spesso ti aiutava anche a migliorarti tecnicamente“.
Vi ha fatte sentir male tutte da quanto segnava!
“Esattamente“.
Qual è stato l’allenatore che ti ha aiutata di più nel percorso che ti ha portata fino a oggi?
“Io ho avuto Maurizio Scanzani che mi ha preso quando ero piccola, mi ha allenato 5 anni e mi ha insegnato tutto quello che so. Ci sono stati tantissimi allenatori. Cinzia per me è l’allenatrice ideale, perché mi dice le cose quando è giusto che me le dica, mi da consigli, ha sempre molta pazienza, mi da fiducia. Mi sento fortunata ad avere lei, non chiederei di meglio. Maurizio mi ha preso quando ero piccola, mi ha insegnato proprio a stare al mondo e nel mondo del basket. Quando avevo 14 anni mi aveva chiamata a La Spezia, poi ho fatto due anni a Bologna dove mi sono fermata al campionato di A2, e avevo 17 anni. Non mi ha fatto giocare tantissimo, ma mi ha fatto fare tantissima esperienza. A lui devo tanto, mi ha insegnato le basi del tiro, della difesa, della mentalità, tutto quello che so“.
Sei stata anche a Parma, una bella piazza finché nel 2016 ha chiuso i battenti della Serie A. Cosa ti riporta alla mente quel nome?
“La mia prima esperienza in A1. Non è stato un anno facile perché fu esonerato l’allenatore, ma ci dovevamo salvare, abbiamo fatto un po’ di fatica, ma siamo riuscite a fare i playout e vincere le partite che ci servivano per salvarci. Non è stato un anno semplice. Poi sono andata a Vigarano, dove sono riuscita ad avere un po’ di fiducia, ho giocato tanto. A Parma son stata solo un anno, non posso dire più di tanto, ma non è stato felicissimo“.
Credit: Ciamillo