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Australian Open 2022, Rafael Nadal trionfa dopo 13 anni a Melbourne e sfrutta al meglio l’assenza di Novak Djokovic

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Con il successo da poco ottenuto contro Daniil Medvedev, in una rimonta riuscitagli estremamente di rado nella sua carriera, Rafael Nadal, oltre a diventare il giocatore con più Slam all’attivo nella storia, diventa uno dei pochi giocatori ad avere un Career Grand Slam all’attivo. Uno dei quattro, per l’esattezza: con lui il grande assente Novak Djokovic e, nel passato lontano, Rod Laver e Roy Emerson, quando l’Australia era autentica patria del tennis mondiale assieme agli Stati Uniti.

Per Nadal si tratta della quarta rimonta da due set di svantaggio, ed è un’impresa che non gli riusciva addirittura da 15 anni. La prima volta gli riuscì contro Ivan Ljubicic, nella finale di Madrid, che al tempo si giocava sul veloce indoor nell’attuale Madrid Arena (allora Telefonica Arena). Con il croato, che stava vivendo gli anni migliori della carriera, fu 3-6 2-6 6-3 6-4 7-6(3). Bisogna ricordare che le finali dei Masters Series, oggi Masters 1000, al tempo si disputavano per larga parte al meglio dei tre set su cinque, e solo dalla stagione su terra del 2007 questa caratteristica è stata abolita.

Due volte tale genere di rimonta l’aveva eseguita anche a Wimbledon. Nel 2006, il mancino di Manacor si ritrovò a soffrire con l’americano Robert Kendrick, buon erbivoro, battendolo per 6-7(4) 3-6 7-6(2) 7-5 6-4. Sempre tra i sacri prati, nel 2007, ebbe di fronte Mikhail Youzhny: il russo scappò subito, ma l’onda maiorchina lo travolse in seguito per 4-6 3-6 6-1 6-2 6-2.

Australian Open 2022, Rafael Nadal piega Medvedev in rimonta e conquista il record di 21 Slam

Nadal, inoltre, sale a quota 4 vittorie in finali al meglio dei cinque set negli Slam. I successi appartengono a Wimbledon 2008 (contro Federer), Australian Open 2009 (ancora contro Federer), US Open 2019 (di nuovo contro Medvedev). Perse, invece, a Wimbledon 2007 (contro Federer), Australian Open 2012 (contro Djokovic) e 2017 (contro di nuovo Federer).

Non c’era stato alcun vincitore del titolo in grado di rimontare due set di svantaggio nella finale dal 1965; allora ci riuscì Roy Emerson, che riuscì a sconfiggere Fred Stolle, un altro dei tantissimi esponenti di quella che fu un’estremamente prolifica scuola australiana, per 7-9 2-6 6-4 7-5 6-1. Per capire quant’erano diversi i tempi, basti citare tre dettagli: si giocava sull’erba, il torneo si chiamava Australian Championships e la sede era sì Melbourne, ma non l’attuale (Melbourne Park), bensì il Kooyong Lawn Tennis Club.

Quello odierno è il 90° titolo per Nadal, che stacca Djokovic, fermo a quota 86, e si avvicina a Ivan Lendl, che è a 94. Guida la classifica, e lo farà forse finché il mondo e il tennis esisteranno, Jimmy Connors, a quota 109, davanti a Roger Federer con 103.

Da notare come, in 3 Slam su 4, si sia aggiornata molto rapidamente la statistica legata alle rimonte in finale con due set di svantaggio. Al Roland Garros la più recente è anche l’ultima disputata tra Djokovic e Stefanos Tsitsipas, con il greco che smarrì la possibilità di vincere il suo primo torneo maggiore. Agli US Open, è noto il recupero di Dominic Thiem su Alexander Zverev, con la psicologia che giocò un ruolo importantissimo nella finale 2020 recuperata dall’austriaco sul tedesco. Wimbledon resiste con un antichissimo precedente: Henri Cochet su Jean Borotra, 1927: 4-6 4-6 6-3 6-4 7-5. Nel 2008 Federer, proprio contro Nadal, rischiò di mandare in archivio questo primato di due dei Quattro Moschettieri.

In assenza di Djokovic, in breve, Nadal ha messo la freccia per intascarsi tutta una serie di primati, il più importante dei quali è senz’altro il raggiungimento della quota 21 Slam. Non è una novità il fatto che sappia rientrare mettendo subito in cascina vittorie su vittorie: lo aveva già fatto nel 2013, uno dei suoi migliori anni, quando rientrò nella Gira Sudamericana, vinse due Slam, si riprese il numero 1 al mondo e, in generale, fu totalmente il migliore in quella stagione. Un po’ più forzati i paragoni con Roger Federer versione 2017: è vero che lo svizzero vinse gli Australian Open a 36 anni, ma è altrettanto vero che, a differenza di Nadal, dopo i 6 mesi di pausa non utilizzò alcun torneo per rimettersi in pista, a differenza del mancino di Manacor che proprio a Melbourne aveva vinto un ATP 250 nella settimana precedente il torneo che più gli interessava.

E sempre a proposito della mancata presenza del serbo, va sottolineato un altro fattore, che indica come il discorso presenti-assenti assuma un senso piuttosto relativo. Non bisogna infatti commettere l’errore di sminuire questi Slam solo perché qualcuno dei Big Three (o Big Four volendo comprendere anche Andy Murray finché è stato allo stesso livello) non c’era.

Il gioco delle assenze reciproche è presto fatto: Nadal non c’era a Wimbledon 2004, Australian Open 2006 e Wimbledon 2009 vinti da Federer, a US Open 2012 e Wimbledon 2016 vinti da Murray e Australian Open 2013 vinti da Djokovic. Quest’ultimo, dal 2005 fino a quest’edizione a Melbourne, non ha mancato nessuno Slam tranne gli US Open 2017 vinti da Nadal. Quanto a Federer, è mancato al Roland Garros nel 2017, 2018 e 2020, con Nadal vincitore, e agli Australian Open 2021 vinti da Djokovic.

Appare evidente, dunque, che gli Slam non valgono meno solo perché mancano dei protagonisti chiave, cosa che è successa sempre, in questo sport, e sempre accadrà, per le ragioni più disparate. Usare l’assenza di Djokovic per sminuire il successo di Nadal, in particolar modo questo successo, non possiede un particolare senso, già solo per la qualità di gioco mostrata dallo spagnolo lungo tutto l’arco delle due settimane australiane. Il serbo è un giocatore, e negli Slam se ne devono battere sette. Una regola, questa, che a scanso di forfait poco prima degli incontri vale sempre.

Foto: LaPresse

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