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Freestyle, questo sconosciuto. Aspettando l’Italia

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Con il passare delle edizioni, i Giochi Olimpici invernali stanno incorporando sempre più nuove discipline, tra le quali quelle del freestyle. A Soči, hanno fatto il loro esordio lo slopestyle e l’halfpipe, portando il numero di titoli in palio per il freestyle a dieci tra uomini e donne.

All’interno di queste specialità, l’Italia paga non solamente l’assenza di grandi risultati, ma molto spesso non vi sono proprio atleti in grado di praticarle ad un livello accettabile per i Giochi Olimpici. Questa regola generale, però, va vista sotto tre punti di vista differenti, che esplicheremo a seguire.

Lo slopestyle e le gobbe sono in effetti le due specialità nelle quali l’Italia ottiene i miglior risultati. Silvia Bertagna, già capace di scrivere la storia con il suo podio in Coppa del Mondo si slopestyle, ha ottenuto il miglior risultato azzurro, chiudendo la finale all’ottavo posto, e dimostrando ancora una volta il suo ottimo livello raggiunto nell’ultimo anno. Lo stesso ha fatto Deborah Scanzio nelle moguls, undicesima, che ha confermato le sue prestazioni delle precedenti due edizioni olimpiche. Al maschile erano presenti Markus Eder (slopestyle) e Giacomo Matiz (moguls), che non hanno centrato la finale ma i cui risultati devono essere considerati sotto una buona luce in considerazione del livello più elevato presente al maschile. Detto ciò, non si può parlare di un vero e proprio movimento italiano in queste specialità, ma piuttosto di alcuni atleti che vi si cimentano, anche se soprattutto nello slopestyle maschile il numero di praticanti a buon livello sta aumentando.

In una situazione intermedia troviamo lo skicross: l’Italia, infatti, possiede una discreta squadra in Coppa del Mondo, ma non è riuscita a portare nessun atleta ai Giochi. Trattandosi della specialità più vicina allo sci alpino, andrebbe fatto un lavoro di collaborazione tra le due discipline, portando così un aumento dei praticanti di skicross, come viene già fatto in altri Paesi.

Vuoto totale, invece, per aerials e halfpipe, dove l’Italia è ben lungi dall’esprimere atleti di livello sufficiente per figurare in una rassegna internazionale. Il fatto lascia particolarmente di stucco quando, soprattutto nell’halfpipe femminile, si nota la presenza di atlete che hanno un livello piuttosto basso, ma che hanno la possibilità di partecipare vista la scarsa concorrenza internazionale.

In effetti, se si analizza il medagliere del freestyle a Soči, si nota come siano sostanzialmente tre i Paesi che traggono grande beneficio da questo sport: il Canada, gli Stati Uniti e la Francia, vale a dire le tre nazioni che per prime hanno puntato sul freestyle sin dagli anni ’80. L’unica eccezione viene dagli aerials, dove la Bielorussia e la Cina sono i Paesi di riferimento, mentre per il resto le squadre nazionali devono affidarsi più alle imprese di singoli atleti che ad un vero e proprio movimento. Un dato che scagiona l’Italia solo parzialmente, ma che non deve farci dimenticare la necessità di far conoscere queste discipline ai giovanissimi e di investire nelle strutture necessarie per praticarle.

Un discorso molto simile può essere fatto nelle discipline freestyle dello snowboard, escludendo lo snowboardcross (che non è propriamente freestyle): halpipe e slopestyle sono tutt’ora discipline nelle quali gli italiani sono lontani dell’essere protagonisti, e per ora non sono neanche presenti. Le soluzioni sono sempre quelle: investire nei giovani e nelle strutture. Anche perché, fortunatamente, le specialità dell’halfpipe e dello slopestyle usufruiscono degli stessi campi gara sia nel freestyle che nello snowboard.

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giulio.chinappi@olimpiazzurra.com

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