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F1, il forte ascendente spagnolo sulla Ferrari. Non si seguono logiche sportive, bensì aziendali e politiche?

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“A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”  è una delle frasi più celebri attribuite a Giulio Andreotti ed è ormai talmente entrata nell’uso comune al punto da essere diventata un proverbio popolare. Ebbene, come non si può pensare male dopo quanto accaduto ieri durante il Gran Premio di Gran Bretagna di Formula Uno? Francamente, le dinamiche della gara hanno lasciato allo spettatore la sensazione che in Ferrari abbiano fatto di tutto per tutelare Carlos Sainz, anche a discapito del compagno di squadra Charles Leclerc. Attenzione, questo non significa che il monegasco sia stato scientemente penalizzato (e quindi sabotato), bensì che la Scuderia di Maranello si sia mossa senza tenere conto delle dinamiche legate al Mondiale piloti.

Per due volte allo spagnolo è stato consentito di resistere al monegasco, nonostante fosse palesemente più lento. In entrambi i casi il muretto box ha semplicemente spronato l’iberico ad abbassare i suoi tempi di tre/quattro decimi, senza però che lui fosse in grado di farlo. In qualunque team la soluzione più logica sarebbe stata quella di ordinargli di lasciare strada al compagno. Non certo per una questione di vassallaggio o gregariato, bensì perché quella era la mossa ovvia per tutelare gli interessi sportivi della squadra. Invece il muretto ferrarista non ha impartito ordini, comunicando addirittura ai piloti “siete liberi di battagliare” , salvo poi dire al madrileno “il tuo giro non è stato buono a sufficienza” . Una perifrasi atta a invertire le posizioni. Insomma, si è quasi voluto dimostrare senza timore di smentita come il diktat fosse necessario e giustificato.

Dopodiché, la decisione più controversa e inspiegabile, quella di richiamare in pit lane il solo Sainz nel momento in cui la safety car ha fatto la propria apparizione, è stata spiegata come segue da Mattia Binotto: “Un doppio pit-stop non ci stava perché non c’era abbastanza spazio, Sainz avrebbe perso posizioni. Potevamo fermarne uno solo e abbiamo scelto lui perché Leclerc era in testa, aveva le gomme più fresche tra i due e, dopo la safety car, Carlos sarebbe stato alle spalle di Charles, per una protezione almeno nelle prime curve”.

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Non entriamo nel merito dell’opportunità di effettuare o meno il doppio pit-stop, questa è una valutazione fatta a caldo dal muretto su cui non ci addentriamo. Concentriamoci sul resto. Il team principal ha dichiarato che si è scelto di fermare Sainz. Quindi la logica non è stata quella di tutelare chi era in prima posizione e stava vincendo la gara, bensì quella di non penalizzare troppo chi era secondo! Una mossa contraria a qualsiasi ragionamento prettamente agonistico.

Non avrebbe avuto più senso mettere in cassaforte la vittoria, peraltro di chi è posizionato meglio nel Mondiale? Inoltre, il team principal ha glissato sul comportamento tenuto dall’iberico alla ripartenza, quando si è rifiutato di proteggere il monegasco, attaccandolo immediatamente per prendersi il successo. Binotto non ha voluto spendere una parola sull’accaduto, chiudendo dialetticamente la porta a ogni discussione, nonostante un messaggio radio trasmesso in mondovisione testimoni come il madrileno abbia disobbedito a una richiesta della squadra.

Le dinamiche di ieri sono figlie di un peccato originale, quello di non aver voluto porre gerarchie interne senza definire un numero uno e un numero due. Una situazione che avrebbe dovuto essere affrontata settimane fa. Sakhir, Jeddah, Melbourne, Imola, Miami, Montmelò… Tutte gare dove Leclerc è stato nettamente migliore di Sainz sul piano prestazionale, tutte gare dove Red Bull ha dimostrato di avere un capitano (Verstappen) e un gregario di lusso (Perez), tutte gare che avrebbero dovuto far capire alla Ferrari come fosse necessario stabilire un ordine di preferenza tra i piloti, privilegiando Charles. Necessario, appunto. Non sarebbe stato un favoritismo dovuto a fattori soggettivi, bensì un obbligo sportivo dettato dalle circostanze. Chi sfrutta meglio la F1-75 ed è, quindi, colui che può puntare al titolo con più chance? Leclerc. Eppure, non ci si è mossi in tal senso, andando contro qualsiasi ragionamento prettamente agonistico. Evidentemente, quindi, ci sono altre logiche a guidare il team. Quali? Non è dato a sapersi con certezza.

Però torniamo alla frase d’apertura. “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. Allora, facendo “1+1+1” è impossibile non notare come Carlos Sainz sia spagnolo; Ignacio “Iñaki” Rueda, attualmente direttore sportivo (e della strategia) Ferrari sia spagnolo; e, soprattutto, dal 2022 lo sponsor principale della Scuderia di Maranello sia tornato a essere il Banco Sandander, colossale istituto di credito fondato in Spagna. Ci potremmo aggiungere che Ferrari Land, il parco a tema europeo della Scuderia fondata dal Drake, è stato edificato a Salou, in… Spagna! Insomma, è evidente quanto sia forte la connessione tra l’azienda e la terra iberica.

“Follow the money”? Anzi, “Sigue el dinero”. È questa la ratio che guida Ferrari? Il dubbio, dopo ieri, è legittimo. Non è che a Maranello si stanno seguendo linee prettamente politiche e aziendali a discapito di quelle puramente agonistiche? Forse Sainz non può essere messo in secondo piano per ovvie ragioni di interesse? Devono essere tutelati equilibri interni e finanziari, i quali vengono anteposti al risultato sportivo in sè?

Se così fosse ne prendiamo atto, con la consapevolezza che il Cavallino Rampante potrà puntare al massimo al Mondiale costruttori. Perché senza gerarchie, quello piloti lo si può vincere solo se si dispone di una vettura infinitamente superiore alla concorrenza, situazione che la Rossa del 2022 non sta certo vivendo.

Foto: La Presse

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