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Basket
Basket, Nicola Akele: “In Nazionale c’è un gruppo che si vuole bene. Io sono sempre disponibile”
Una stagione diversa, un ruolo cambiato, ma sempre una grande voglia di mettersi in gioco. Nicola Akele, a 27 anni, sta muovendosi bene nelle acque disegnate per lui da Alessandro Magro alla Germani Brescia. Si è tolto una spettacolare soddisfazione, quella della Coppa Italia, e lo ha fatto contribuendo attivamente alla sua conquista: ora c’è un percorso con il club lombardo il cui obiettivo è tenersi lontano dalle zone calde.
Lo abbiamo raggiunto, prima di Brescia-Milano della scorsa domenica, per un’intervista in cui ha raccontato diversi aspetti importanti tra Italia, States e Nazionale. E lo ha fatto senza risparmiarsi, cogliendo i dettagli che sono un po’ la sua arte.
Quali sono le tue sensazioni personali sulla stagione?
“Stagione, di squadra, magari un po’ sotto le aspettative. Abbiamo faticato per tutta la stagione, avevamo altri obiettivi, volevamo lottare per i playoff per tutto l’anno e invece ora lottiamo per la salvezza. Non sta andando come vogliamo, però non ci si può piangere addosso. Ora bisogna tirarsi su le maniche e finire la stagione nel migliore dei modi“.
Ed è paradossale che Brescia lotti per la salvezza nel momento in cui ha vinto la Coppa Italia. In questo senso, cos’è scattato in quella settimana quando il quadro generale indicava barometro sul rosso?
“Ce lo chiedono in tanti! Venivamo da un momento un po’ brutto, quindi avevamo voglia di rifarci. Arrivando da ottavi e giocando contro Milano avevamo meno pressione, questo ha fatto sì che giocassimo con la testa più libera e abbiamo mostrato un basket di altissimo livello. È stata una combinazione delle cose. Il talento c’è sempre stato, le qualità ci sono. Non si scopre oggi che questa squadra le ha. Non c’è stata la costanza di prestazioni, ma durante quella settimana siamo stati concentrati su un unico obiettivo, fare bene partita dopo partita. Le abbiamo approcciate in modo perfetto, giocando in modo quasi perfetto, facendo difese tra le migliori della stagione, e questo ha fatto sì che vincessimo meritatamente la Coppa Italia“.
L’ambiente che hai trovato da Brescia com’è stato e com’è adesso?
“Mi sono trovato da subito bene, con una società ben organizzata dallo staff dirigenziale e ben allenata dallo staff tecnico. C’era già una forte identità di squadra con i giocatori dell’anno scorso. A livello di inserimento mi sono trovato bene con compagni e società. Purtroppo questo non si è tradotto in risultati, però mi sono trovato e mi sto trovando bene come situazione“.
E ti sei trovato bene pur scendendo leggermente di minutaggio, anche perché le dinamiche di Brescia sono un po’ diverse da quelle di Treviso. Per te questo cos’ha comportato?
“Sapevo che venendo qua avrei avuto un ruolo meno principale rispetto a Treviso, di questo sono consapevole. È ovvio che io cerchi di lavorare ogni giorno per guadagnare più minuti e mettermi a disposizione della squadra. Il mio obiettivo è vincere, e già è successo con la Coppa Italia. Abbiamo raggiunto l’obiettivo di raggiungere i playoff di EuroCup, ma il mio obiettivo è di essere pronto e disponibile in qualsiasi momento per la squadra, per poter mettere il mio mattoncino al fine di vincere le partite. Questo è il mio obiettivo primario. Chiaramente vorrei guadagnarmi sempre più fiducia dal coach, ma questo viene dai risultati della squadra e dalle mie performance“.
Hai parlato del rapporto con staff tecnico e dirigenziale. Quale hai con coach Alessandro Magro?
“Magro è una persona che si relaziona molto con i giocatori, è molto aperto al dialogo, un player coach. Lo conoscevo già perché ci ho giocato contro con le giovanili, quando lui allenava a Siena e io ero a Venezia. Alla fine è una relazione in cui si parla molto, è una persona con cui è facile parlare, non ha un ego, e quindi è facile avere un rapporto con lui, è molto alla mano“.
Tu che hai conosciuto molto da vicino il sistema NCAA a Rhode Island, come puoi paragonarlo rispetto a ciò che si vede in Italia?
“Diverso, non totalmente, ma diverso. Principalmente è una questione di struttura. Lì ci sono dei giovani ragazzi, degli studenti-atleti, non dei professionisti, quindi devi formarli per quattro anni. In un college devi creare una cultura, quindi hai un certo tipo di struttura che ti aiuta in campo, ma anche fuori. Hai un tipo di struttura per gli allenamenti, individualmente per le persone per cogliere degli obiettivi, che possono essere sia dentro che fuori dal campo. Questo fa sì che ci sia un sistema attorno che ti aiuta a crescere. In teoria si cerca di farlo per quattro anni, quelli che ogni studente ha. Per ogni squadra, ogni college c’è un sistema attorno e si crea una cultura, che può essere per esempio quella di Duke con la Broterhood. Per questo negli anni una scuola, al di là del maggiore o minore talento, abbia una sua identità. Questa è la differenza che c’è college e mondo professionistico, dove è più difficile avere una programmazione più lunga perché non hai gli stessi giocatori anno dopo anno, a meno che si parli di squadre blasonate, che hanno disponibilità di fare contratti un po’ più lunghi e si può creare un’ossatura di squadra e società, e si può tramandare per più anni. Ad esempio Siena negli anni aveva tenuto moltissimi giocatori e creato una cultura. Qui abbiamo l’esempio di David Moss, che è qui a Brescia da tanti anni. Già tra gli italiani è raro vedere giocatori che sono per sette anni nella stessa squadra, e ancor più per gli americani. Cercare di creare una cultura di squadra, mantenendo un’ossatura di giocatori è quel che mi fa venire in mente anche la Reyer Venezia, quando ha vinto tutti quei trofei con lo zoccolo duro di giocatori. Questo a livello di sistema. Poi lo stile di gioco è diverso tra i due mondi. Al college ci si concentra di più sul talento di alcuni giocatori, invece tra i professionisti, se vedi le squadre di Eurolega, ci sono rotazioni molto lunghe e si gioca molto più di squadra. Poi è ovvio che nei momenti cruciali la palla va in mano al giocatore più importante, ma di base è un gioco più schematico a livello squadra. Però il college a sua volta è forse un po’ più schematico della NBA, che è ancora più incentrata sul talento. Ma lo stile americano è un po’ così“.
Negli States viene peraltro data l’importanza al giocatore-uomo. Ed è un concetto che sembra si stia facendo largo anche in Italia, perché i giocatori sembrano sempre più essere considerati come uomini.
“Sì, sto vedendo anche io questo cambiamento. La mia carriera è molto giovane, è solo il quarto anno in Serie A, quindi non ho così tanta esperienza per percepire questa cosa qui, però sto vedendolo. Anche un po’ sui social, dove ci sono per esempio le iniziative con la LBA e ci sono cose che vanno al di fuori del basket, in campo ma anche là fuori per creare qualche progetto per avere un dialogo con i giocatori, capire che passioni hanno. Poi ci sono dei professionisti che hanno delle esperienze già importanti al di fuori del basket: questo fa sì che si crei una connessione più umana, che si possa vederli non solo come giocatori, ma come uomini. In America questa cosa è molto più avanzata, i giocatori hanno un po’ più di opportunità e leva mediatica. Lì è un sistema diverso, però vedo che anche qui in Italia da quando sono tornato le cose sono cambiate. Si guarda ai giocatori con occhi diversi, più ampi rispetto al semplice basket“.
Brescia ha finora giocato una buona EuroCup.
“In EuroCup abbiamo fatto un buon percorso, siamo stati molto competitivi per tutta la stagione e abbiamo imparato molto. Abbiamo mostrato, secondo me, più miglioramenti rispetto al campionato. Penso che, per com’è stata strutturata la squadra, questa lo è stata per essere competitiva in entrambe le competizioni. Adesso abbiamo un’altra partita che cercheremo di vincere per avere il miglior posizionamento possibile e giocarci le nostre carte ai playoff, con un formato che è veramente strano e in cui può succedere di tutto. Speriamo che possa succedere come in Coppa Italia, con questo lungo ‘win or go home’ che ci può far credere che possiamo portarlo anche nei playoff di EuroCup a un livello molto alto. Vedi anche squadre e giocatori che giocano una pallacanestro diversa rispetto all’Italia, e questo personalmente è anche bello, perché impari cose nuove e giochi a un livello molto alto. Per una società come Brescia e per noi giocatori è stimolante poter giocare in EuroCup: ti mette in competizione con giocatori e squadre diversi e di alto livello“.
Hai sottolineato correttamente il discorso dei playoff a partita secca: possono succedere delle grandi sorprese. L’abbiamo visto l’anno scorso: contro la Virtus Bologna c’era il Bursaspor, che non era la squadra più pronosticata.
“Però le ha giocate tutte in trasferta e tutte le ha vinte!”
Per te l’esperienza da trevigiano a Treviso com’è stata?
“Non sapevo cos’aspettarmi. Sì, sono trevigiano di Treviso, ma ho sempre fatto le giovanili alla Reyer, non ho mai giocato veramente a Treviso e quando facevo minibasket ero a Montebelluna. Dopo il Covid, essendo stato a casa è stato anche, secondo me, un segno del destino. Ma è stato anche qualcosa di bello poter giocare vicino a casa, essere vicino ai miei genitori, alla mia famiglia, potersi vedere facilmente. Anche qui a Brescia mi seguono, ma a Treviso erano attaccati. Avevo qualche dubbio nell’andare lì, perché non sapevo se essere troppo vicino a casa sarebbe stato una distrazione, e invece mi sono trovato molto bene tutti e due gli anni. Nel primo siamo andati ai playoff e nel secondo eravamo partiti anche molto bene in Champions League, poi non è finita invece benissimo. Però penso di essere cresciuto molto come persona e come giocatore, Treviso mi ha dato tanto e io ho dato tanto a Treviso. Sono stati due anni molto belli per me“.
Sei arrivato a fare tutto il percorso delle Nazionali, fino alla maggiore. Qui hai avuto due allenatori, Meo Sacchetti e Gianmarco Pozzecco. Quali differenze hai percepito tra i due?
“Sinceramente?”
Sì.
“Poche! Ogni volta che io vado in Nazionale mi sento parte di un gruppo che si vuole bene, che si trova bene, in cui le persone sono contente di stare tra di loro. Sia Meo che Poz sono molto bravi a creare questo gruppo che si vuole bene. E si vede in campo. Meo magari non ha convocato i giocatori più importanti, ma ha sempre fatto bene, perché si crea questo gruppo e quando c’è un gruppo che si trova bene questo riesce a dare qualcosa in più in campo. Questo si è visto al Preolimpico di Belgrado, anche se lì non c’ero. Nessuno al di fuori della Nazionale ci credeva, si diceva ‘ah, tanto con la Serbia si perde’. Però si è visto come il gruppo, rispetto ai nomi più importanti della Serbia, ha giocato in campo. La stessa cosa la sto vedendo con Pozzecco. Agli Europei nessuno credeva che andassero lontano, invece hanno stupito. Perché? Perché il gruppo si vuole bene, ma si vede anche in campo. Io sono stato con loro, ma si traduce in campo che questa squadra lotta l’uno per l’altro. Ovviamente a livello tecnico ci sono differenze, però quest’intensità, questo amore per la maglia, questa sensazione di gruppo è rimasta uguale. Non vedo tante differenze, anzi, i risultati quando è arrivato Pozzecco si sono mantenuti sul corso di Sacchetti“.
Sul tema gruppo contro singoli un altro esempio chiaro è quello di Italia-Nigeria alle Olimpiadi. L’Italia era un gruppo, la Nigeria aveva otto giocatori NBA, ma questi non c’entravano niente l’uno con l’altro.
“Infatti son rimasto un po’ deluso dalla Nigeria alle Olimpiadi, e non ero solo io, tanti altri si aspettavano molto di più da loro. Però anche nella stessa Italia-Serbia di Belgrado si è vista la differenza tra gruppo e gente messa assieme e basta. Questo in campo fa la differenza“.
Questo gruppo è poi andato a chiudere le qualificazioni ai Mondiali con una seconda fase da 5-1 perdendo solo con la Spagna.
“Esatto, in quella partita rocambolesca di Pesaro“.
Tu speri di poter fare un percorso che possa portarti fino ai Mondiali e, perché no, a giocare in un luogo come le Filippine dove il basket è religione se il sorteggio lo consentirà?
“Assolutamente sì. Io per la Nazionale sono sempre disponibile, è un piacere e un orgoglio poter rappresentare il mio Paese. I risultati che faccio con Brescia determineranno molto questo, ma cercherò di convincere il Poz a prendermi“.
Come giocatore e come persona quali sono i tuoi obiettivi verso il futuro?
“Vorrei migliorare sempre di più come giocatore. Obiettivi concreti? Vincere più trofei possibili. Un altro sarebbe giocare in Eurolega“.
Credit: Ciamillo