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Softball, Alessandra Rotondo: “Saronno gioca sempre con obiettivi alti. Con la Nazionale la gente ha voglia di capire questo sport”

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Alessandra Rotondo

Sono giorni febbrili, quelli dell’inizio del campionato di softball di Serie A1. A difendere il titolo conquistato lo scorso anno, dopo una stagione spettacolare, è l’Inox Team Saronno. Il 2023 è un anno importante per il club lombardo, che non soltanto si appresta a vivere una stagione da prima della classe, ma avrà anche gli occhi puntati addosso con la Coppa dei Campioni (Premiere Cup) organizzata in casa.

Alessandra Rotondo è parte fondamentale del gruppo che ha conquistato lo scudetto, ma anche erede di un’epoca che parte da lontano, dal tempo dell’A2. L’abbiamo raggiunta per un’intervista in cui parla di tantissimi importanti aspetti del softball: da quelli di squadra, con il nuovo manager, il neozelandese Steven Manson, a quelli che vanno dentro e oltre l’azzurro. Vale la pena scoprire la profondità di ragionamento di una giocatrice che, a 22 anni, ha già un grande vissuto sportivo e umano alle proprie spalle.

Innanzitutto come stai?

“Sto molto bene, nel senso che sono molto entusiasta dell’inizio del campionato. Sono un po’ agitata perché domani avremo la prima partita, ma allo stesso tempo c’è quel mix di emozioni, paura, gioia, ansia, tutte insieme che mi trasmettono tanta positività”.

Alcuni cambiamenti nella squadra ci sono stati, ma gli obiettivi sono sempre alti. Quanto alti?

Saronno non gioca mai per partecipare, questa è la prima regola. Non è una squadra per cui quello che viene va bene, o per cui quando si perde non c’è problema e quando si vince è ok. No. L’obiettivo rimane sempre alto: campionato, Coppa dei Campioni che si giocherà qui quest’estate, ed è un evento super ambizioso per tutte le squadre d’Europa. Qualsiasi partita che ci si presenta davanti durante il campionato è oro. Ti voglio fare un esempio. Ieri il nostro manager ci ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere: noi faremo un doppio incontro a ogni partita, come domani per esempio. In ognuno dobbiamo cercare di vincerne due per il semplice fatto che le squadre che giocheranno contro di noi, le favorite, Bollate, Forlì, Caronno, prima dovranno vincerne due contro queste squadre e poi affrontare noi. Se noi facciamo il nostro percorso senza guardare quello che fanno le altre squadre, a quel punto ci viene anche più facile, una volta affrontate queste squadre di buon livello, essere superiori da questo punto di vista“.

Parli di un discorso di mentalità portato all’interno della squadra e vuole portarvi a essere pronte nei momenti topici della stagione, i playoff e la Coppa.

Con l’arrivo del nuovo manager abbiamo avuto tanti allenamenti in cui la maggior parte del tempo c’è il lato pratico, ma c’è anche tanto lato mentale. Io, personalmente, prima di questo allenatore non ci pensavo, non ci facevo caso, non gli davo importanza, perché è sempre tutto molto nascosto. Invece la parte mentale come la spiega lui, come ci riesce a far capire dove vuole arrivare (vedi l’esempio di prima), se ci pensi è una cosa piccola, semplice, ma grande in sé. Se fai il tuo percorso, le altre squadre dovranno fare lo stesso e poi affrontare te alla fine. Diceva: l’anno scorso era Saronno a caccia delle altre squadre, quest’anno sono le altre a caccia di Saronno. L’anno scorso volevamo vincere contro tutti e tutti, quest’anno lo vogliamo ancora, ma quest’anno ogni squadra si è rafforzata perché vuole arrivare da noi e toglierci tutto quello che abbiamo vinto l’anno scorso“.

Questo suona come un aspetto di te che non avevi ancora particolarmente considerato e che ora vuoi considerare di più nella tua evoluzione.

Assolutamente sì. La crescita sportiva può avvenire con l’esperienza di gioco: più anni giochi, più partite fai, più il livello si alza. In teoria. Però la parte mentale, se non hai una persona che ti riesce veramente a far capire che cos’è, quella è difficile da ottenere con l’esperienza. Quindi sono molto contenta del nuovo allenatore proprio per questa parte qui, che non è da sottovalutare in questo sport. Il 70% è testa e il 30% è gioco, pratica, tecnica“.

Non è soltanto softball, poi, perché è una situazione che coinvolge tutta la pratica sportiva. Cambia da sport individuale a sport di squadra, ma in certe situazioni questi si fondono, perché anche nel softball tu sei tu come persona, ma c’è la coordinazione ed è, alla fine, tutto un quadro d’insieme.

Esattamente. Io penso agli sport individuali, come il tennis in cui sei da solo e devi affrontare un avversario da solo e durante una partita che ti può durare 3-4 ore può succedere di tutto e tu mentalmente devi essere 3-4 volte più forte che fisicamente. A volte ci penso e dico che sono fortunata a fare uno sport di squadra perché ho il sostegno di altre persone. In ogni sport c’è la sua parte mentale, che non ti può mancare e si può acquisire soltanto facendo allenamenti o partite. Serve un professionista che ti aiuti ad arrivare dove vuoi“.

A Saronno, oltre alle novità, c’è un gruppo che è tale da diversi anni. Quanto conta?

C’è un nucleo che è qui da parecchi anni. Io sono qui da dieci e sono tra le più giovani, il che ti fa capire che siamo qui da tanto. E questo ti aiuta, ma non perché siamo più amiche o ci vogliamo bene. Ti aiuta perché meccanismi, passaggi e varie situazioni che si possono creare in partita quando hai una compagna nuova ci metti più tempo a farle giuste o ad avere quella fluidità per farle senza difficoltà. Quando il gruppo è consolidato a me basta uno sguardo, una parola, un accenno per capire quello che bisogna fare, quello che la mia compagna vuole, quello che si può creare. Di linguaggio c’è il minimo perché è già stato tutto detto e ridetto nel corso degli anni e siamo a un punto per il quale è facile comunicare senza comunicare, senza parlare“.

Capita abbastanza raramente, poi, che nel softball ci siano rivoluzioni complete, al contrario di diversi altri sport in cui capita che si cambino tantissimi elementi da un anno all’altro.

Sarebbe davvero impensabile rivoluzionare una squadra di 13-15 giocatori e cambiarne 10. Si può fare, con impegno e dedizione fai anche quello, ma se mi chiedi a quale obiettivo punti di sicuro non posso risponderti che con una rivoluzione di 10 persone andiamo a vincere scudetto o Coppa. Non c’è quella chimica che c’è in una squadra consolidata da anni. E poi siamo unite anche fuori dal campo. Abbiamo tante ragazze che vengono da fuori regione: tutti i giorni siamo insieme, vuoi o non vuoi è una cosa che ti lascia qualcosa e ti fa aprire anche a livello personale. Poi tutti i giorni in campo sommi le due cose. Secondo me è un po’ la formula magica“.

Il fatto di poter giocare la Coppa dei Campioni in casa per te e per voi quant’è importante?

È un vantaggio enorme sotto tanti punti di vista. I più banali: non devi viaggiare, non devi dormire fuori, non ti devi portare tutte le tue cose, non ti devi abituare al cibo diverso, puoi mangiare quello che vuoi, la tua routine rimane uguale. E poi c’è la parte più importante, il tuo pubblico: giocare nel tuo campo, dove ti alleni tutti i giorni, che conosci a memoria, in ogni singolo centimetro. E la sera sono sicura di vedere sempre le tribune piene per le nostre partite, il tifo delle nostre giovanili che fanno i cori con gli striscioni. È bello giocare per la gente che ti apprezza tutto l’anno e a cui puoi restituire qualcosa in ogni sabato o domenica in cui loro sono al campo e a tifare per te. E poi per la città di Saronno è un super bonus che porterà tantissime persone all’interno della città. Ed è bello, è la Coppa più prestigiosa che c’è e a cui tutti ambiscono. È figo, siamo molto emozionate“.

Parlando di competizioni in casa, ce n’è un’altra che va un po’ oltre il pianeta Saronno. Si tratta del Mondiale bi-fase che avrà l’Italia come centro del mondo. Questo non può non essere eccitante per molte di voi, sia per il gioco sia per il momento in cui il nostro Paese sta dicendo qualcosa a livello internazionale.

Stesso identico ragionamento. Giocare in casa con Saronno e con la maglia della Nazionale addosso penso sia un onore, perché è un evento che avvicinerà tante più persone rispetto a quelle che solitamente già ci sono. Come sai, il nostro non è uno sport diffusissimo, ma negli anni siamo riuscite, con un percorso fatto bene, a portare tanta visibilità in più. Ti posso fare un esempio piccolissimo che parte dai bambini. Siamo riusciti a portarne tantissimi, e questo è un segno di voce che si sparge, che si va nelle scuole, che si riesce a cercare di portare un futuro a questo sport, perché senza bambini magari tra 5-6 anni smettiamo e poi dietro di noi se non c’è nessuno è un problema, devi sempre ripartire da zero. Il Mondiale si giocherà in Friuli, l’Italia ha già la wild card, quindi è già qualificata per la fase successiva poiché è il Paese ospitante, però questo non ti dice ‘ok, giochiamo per partecipare’. Tu hai il tuo girone e vuoi passarlo, perché non è nella nostra mentalità giocare alla tanto per“.

Anche perché, banalmente, se uno gioca tanto per partecipare rischia di falsare il girone. Giocare in maniera competitiva ne rende reali i valori.

Esatto, non voglio nemmeno immaginare che debba succedere, non avrebbe senso. A noi quelle partite servono tanto. Durante l’anno, in confronto al campionato, giochiamo pochissime partite a livello internazionale, perciò ogni partita che ci capita contro squadre fuori dall’Italia per noi sono oro. Dobbiamo prendere qualsiasi cosa da quel tipo di partite e cercare di portarle a casa come consigli, cose su cui lavorare, difetti che vanno migliorati. Il livello, quando passi dall’Italia a fuori, è altissimo, quindi ci ritroviamo magari un po’ in difficoltà. Ecco perché non vanno giocate tanto per partecipare queste partite, ma per imparare e riuscire ad alzare il livello ancora una volta“.

Parlavi di percezione del softball tra i bambini, ma dopo i due Europei vinti e la partecipazione olimpica dell’Italia hai avvertito un cambiamento in questo senso anche a livello generale del softball come non più così tanto di nicchia?

Premessa: purtroppo non ho partecipato alle Olimpiadi perché all’inizio del 2021 mi sono rotta il crociato e, quindi, poco prima della chiamata per Tokyo mi sono praticamente tirata fuori da sola. Però di compagne e squadra che hanno partecipato ho visto tutte le loro partite. E ho visto nella gente una voglia di riuscire a capire questo sport. Tante persone si sono avvicinate, ma non alla ‘ok, ho capito cos’è’: sono proprio curiose di capire come si gioca, da dove veniamo, chi siamo, tantissime domande. Ma anche i bambini. Loro dicono ‘ti ho visto in tv, alle Olimpiadi, agli Europei’. Poi erano anche trasmesse sulla Rai ed Eurosport, quindi già c’era la possibilità di vederle tutte. E già essere lì era un risultato epico. Riuscire a competere con squadre di altissimo livello ha portato la gente a dire ‘ah, ma non è una cosa così scontata’. Le persone hanno apprezzato e nell’ultimo periodo tante persone si sono avvicinate al nostro sport“.

Tant’è che ci sono stati diversi post e articoli su Facebook che hanno ottenuto quantità enormi di like, specie dopo gli Europei del 2021.

Esatto, essendo un mondo piccolo ti basi su qualsiasi cosa. I social per noi sono la chiave per farsi vedere, anch’io ricordo tanti post dai tantissimi like. Fino a due anni fa mettevi un post e ricevevi 15 like. Forse. Ora ne metti uno e vanno oltre i 1000, il che ti fa capire la differenza di quel che sta succedendo“.

Per te quali sono state le giocatrici di ispirazione nella tua traiettoria agonistica?

Io gioco a Saronno da 10 anni. Sono partita dal Senago Baseball quando ero piccolina, poi sono passata a Bollate, dove ho fatto le giovanili, e poi sono passata a Saronno. Qui però non c’era la Serie A1, c’erano le giovanili e la squadra maggiore faceva l’A2. Ho fatto tutte queste tappe. Una volta promosse dall’A2 ci siamo traslate nel mondo dell’A1. Al tempo la squadra era molto giovane, non avevamo esperienza di partite di A1, o meglio erano in pochissime ad averla. A quel punto, dopo due o tre anni, arrivano Giulia Longhi e Fabrizia Marrone. Queste due ragazze, che avevano già avuto le loro esperienze tra Bussolengo e Nazionale e avevano vinto tanto, sono riuscite inconsciamente ad alzare il livello della squadra negli allenamenti. Se vedevo Giulia allenarsi, non potevo farlo meno di lei, perché ero più piccola e vedevo (e vedo ancora oggi) che lei è un esempio da seguire. Hai la possibilità di giocarci in squadra di giocarci in squadra non una volta ogni tanto, ma tutti i giorni. Questo mi e ci da tantissimo. Tantissime straniere sono venute a giocare da noi, lanciatrici, interne. E poi gli allenatori. Enrico Obletter per me, per noi, per il softball italiano, internazionale, mondiale, è stato un pioniere. Era un cervello allucinante, una persona fantastica che purtroppo ci ha lasciato due anni fa. Per me lui è stato una guida, un mentore, il primo a darmi la possibilità di giocare in Nazionale quando avevo 17 anni. Non smetterò mai di ringraziarlo. Anche le mie compagne in azzurro hanno un livello altissimo, cerchi di rubare qualsiasi cosa da ognuna di loro. Da tutti gli allenatori che ho avuto. Non c’è una persona di cui possa dire ‘ok, è stata questa persona ad aiutarmi a fare questo’, ma ad ognuna di quelle che ho incrociato nel mio cammino sono riuscita a rubare qualcosa che mi ha aiutato e che mi aiuterà nel futuro“.

Il momento della morte di Obletter fu anche quello in cui si capì il senso dell’unione del softball italiano in quanto tale, perché l’eco fu fortissima.

Lui era tutte noi. Ci credeva più di noi. Quando abbiamo visto quanto lui ci credeva e voleva arrivare dove siamo arrivate, a quel punto era impossibile che non ci credessi anche tu, o tutta la squadra. Era una cosa impossibile da pensare. Ci ha portate a un livello mentale, tecnico e fisico estremamente alto per il livello che c’è in Italia. Nessuno avrebbe mai pensato di riuscire a vincere una qualificazione olimpica in Olanda per poi partecipare alle Olimpiadi come Nazionale italiana. Quello è il sogno di ogni atleta, e quando ci arrivi e sei lì ti dici ‘com’è successo?’. E io ti posso dire che la chiave è stata Enrico, perché lui sotto ogni punto di vista era presente, sapeva quello che faceva: consigli, allenamenti, pacche sulla spalla, insulti (a livello sportivo intendo), parole di conforto, ma anche pesanti, che ti facevano riflettere, capire. Era l’allenatore perfetto a 360°. E anche come persona ce ne sono pochissime al mondo così. Per me, se il softball italiano ha avuto questo switch di livello è solo ed esclusivamente grazie a lui“.

Ed è un peccato che baseball e softball non possano esserci a Parigi 2024. Si spera che qualcosa accada per Los Angeles 2028, ma ancora è un’incertezza.

Purtroppo non è uno sport che è sicuro ci sia. Già nel 2024 non ci sarà, e fino al 2028 sono tanti anni, in cui possono cambiare due generazioni di nazionali. A questo punto l’Italia, come Nazionale, cerca di guardare a obiettivi a breve termine, senza già organizzare un qualcosa che ancora non si sa, visto che ancora non è chiaro se a Los Angeles ci saranno baseball e softball nel 2028. Ci dicono sempre di guardare quello che deve venire, e quel che sarà sarà. Quando sarà il momento vedremo e giocheremo per quel che ci sarà da giocare. Sarebbe ovviamente un sogno essere a Los Angeles nel 2028, e nel caso farò di tutto per far parte della squadra“.

Quali sono i momenti che ricordi con più piacere fino a questo momento della tua carriera da giocatrice?

L’anno scorso, indubbiamente. Sembra banale dirlo, ma vincere è veramente, ma veramente bello. Anche perché arrivavamo da tanti anni in cui eravamo sempre lì lì e, una volta dopo l’altra, sconfitta, sconfitta, sconfitta. Le sconfitte sono importanti, perché senza non vincerai mai. Quando però finalmente ti va tutto come deve, tutti i sacrifici, i problemi, le sconfitte vengono messi da parte, e ci sono solo vittorie, è un anno in cui dici ‘vorrei vivere solo di questo’. È stato veramente incredibile. L’abbiamo fatto in un modo che sembra veramente facile, ma non lo è stato anche vivendolo da dentro, a partire da Barcellona con la Coppa per continuare con il campionato. In ogni partita può succedere davvero di tutto, da un errore nostro a quello delle avversarie. Poi la Coppa Italia. Per me è stato un anno da incorniciare, ancor più perché venivo da un 2021 in cui ero stata ferma per via del ginocchio. Dire ‘ok, arrivo da un anno in cui non ho giocato, mi sono operata, ho fatto riabilitazione tutti i giorni’, e poi ritornare in campo con tre vittorie del genere, ti fa dire che è valsa completamente la pena fare tutto quello che ho fatto“.

Cosa senti di voler migliorare tanto e di voler dare in questa carriera ancora giovane, ma che può essere ricchissima?

Sono una persona molto umile, perché non mi piace dire grandi cose di me. Sicuramente l’esperienza che ti dicevo prima la acquisisci solo giocando tantissimo ad alti livelli, con persone accanto che sanno quello che fanno. L’esperienza la guadagnerò negli anni, non si può comprare da nessuna parte. A livello mentale ora ho la fortuna di avere un allenatore che cura molto questa parte, infatti voglio rubare qualsiasi tipo di consiglio che lui ha da darmi. È arrivato da poco, ma ho già capito tante cose che prima davo per scontate. Poi voglio continuare a vestire la maglia della Nazionale, cercare di dare il massimo, riuscire a prendermi le mie responsabilità, che è una cosa cui fin da quando sei piccola non ci pensi, ma quando vesti quella maglia la responsabilità ce l’hai in mano. Me la voglio prendere e riuscire a portarla a termine in modo positivo, voglio riuscire a essere d’aiuto per le mie compagne, a portare la squadra agli obiettivi seguendo tutte lo stesso, senza che ci siano dei problemi o cose del genere. Voglio giocare, mi piace troppo questo sport. Giocare per me era una passione, adesso penso di non aver mai smesso di giocare per passione“.

Piccolo salto indietro nel tempo: 2018, Mondiali in Giappone. Passare dal mondo italiano con la percezione di allora del softball alla dimensione che ha in Giappone per te che cos’è stato?

Un sogno. Come vivere in un film per due-tre settimane. Era davvero surreale. Era il secondo anno in cui giocavo in Nazionale. Avevo 18 anni e mi sono ritrovata a giocare un Mondiale in Giappone, dove baseball e softball sono gli sport più amati. Partendo dalla città, dalle persone che trovi lì, dal cibo, dalle loro usanze, dal livello di gioco. La prima partita dopo la cerimonia di apertura era Italia-Giappone. Stadio completamente pieno, io giocavo, ero partente. Nipponiche amatissime, a ogni lancio era un’esplosione di applausi“.

Senza dimenticare Yukiko Ueno.

Infatti, lei è stata partente contro di noi. Tutto surreale. Però che, una volta entrata in campo, cerchi di lasciare fuori tutte queste emozioni. Cerchi di evitare di guardare e sentire il pubblico, dovevi stare lì con le tue compagne e cercare di dare il massimo. Quello potevi fare. È iniziata in salita, primo lancio e fuoricampo, poi abbiamo detto ‘ok, si deve giocare, giochiamo. Quello che dobbiamo dare, sappiamo fare, lo dobbiamo fare, è un gioco. La palla è rotonda, si deve giocare, non si deve avere paura, non si può giocare col timore’. E alla fine è stato un Mondiale molto molto soddisfacente, siamo arrivate settime, cosa che non succedeva da anni. Abbiamo battuto squadre che non pensavamo, e tutto questo è successo grazie a Enrico, perché lui era il primo a crederci. Lui era lì con noi, era la nostra guida, si metteva sempre davanti a noi, ci trascinava verso nuovi obiettivi. Se non fosse stato per lui, penso che tutta questa strada azzurra che ho fatto finora non so come sarebbe stata. Con lui è stata fantastica“.

Fra l’altro avete dato molto fastidio ad Australia e Canada e poi battuto la Cina in quella partita in cui la pioggia sembrava non voler finire mai.

Mamma mia! Contro l’Australia e il Canada abbiamo perso di un punto. Mi ricordo l’Australia, un’azione all’ultimo inning, il punto entra e noi eravamo incredule, perché quando sei lì pensi di giocare per vincere, non ‘abbiamo perso 3-2, fa niente’. Al momento ti arrabbi, ma ti guardi indietro poi e dici ‘che partita che abbiamo fatto’. La stessa cosa contro il Canada. Con la Cina non ne potevamo più di arrivare lì lì e perdere, alla fine e perdi. No. Con la Cina abbiamo dato tutto nonostante i tifoni, la pioggia che sembrava nebulizzata, umidità al 3000%, il campo che era scivolosissimo. Abbiamo lasciato dietro tutte queste difficoltà, ci siamo unite come squadra, ognuna ha fatto quello che doveva fare ed è arrivato il risultato più soddisfacente che poteva arrivare“.

E poi, al di là della sconfitta, il bello è stato anche giocarsela da pari a pari con il Messico facendolo sudare per tantissimo tempo.

Ogni volta che si gioca con Messico, Australia o Canada non pensi mai che è una partita impossibile. Ci sono già state partite molto chiuse. Anche loro sanno che non siamo da sottovalutare. Eppure noi ogni volta speriamo che il nostro avversario ci sottovaluti per poi concludere il nostro obiettivo“.

Per voi l’importanza delle Cecchetti e di quel che sta facendo Erika Piancastelli cosa significa sia all’interno che all’esterno del softball?

È un impegno grandissimo che si sono prese. Sono molto orgogliosa di quello che stanno facendo, mi piace tantissimo. Serve visibilità in questo sport, quindi quale miglior modo per una stella come Erika che fa avanti e indietro tra Italia, America e Giappone in continuazione? Lei è l’esempio che se vuoi una cosa, la puoi fare e puoi arrivare dove vuoi. Nessuno aveva mai pensato di poter arrivare a giocare nella lega giapponese, eppure guarda Erika, guarda Greta. Tantissime stanno andando a giocare in Giappone ormai, perché il livello in Italia si è alzato. Quello che stiamo facendo con i clinic, Greta, Marta, stanno cercando di portare il softball in più società possibili, cosicché le ragazze della società, ma anche quelle da fuori, possono approcciarsi a uno sport che magari non si conosce, ma che quando lo provi non smetti più, perché ti piace troppo. Quindi è una cosa da apprezzare per il mondo del softball, da noi ragazze, dalla Federazione. È una cosa molto bella, che stimo tanto e che mi fa molto piacere la stiano facendo, soprattutto con dei successi molto positivi“.

Foto: Ufficio Stampa Saronno – Giovanni Pini

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