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Rugby | Federazione, carpe diem: il Seven ha bisogno di una svolta

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Le note di merito sono fioccate da tutti gli angoli d’Italia in cui si respira un’aria rugbistica, a prescindere dal codice praticato, anche perché una Nazionale di rugby in grado di vincere e convincere ha sempre una notevole cassa di risonanza. Oltretutto, tra gli appassionati è emerso anche un certo rammarico per essere arrivati soltanto ad un passo dall’ingresso alle Sevens World Series. Volendo lanciare una provocazione (o presunta tale), però, da un lato aver solo bussato alle porte del paradiso, per poi vedersele chiudere in faccia dal Giappone, potrebbe servire da ulteriore stimolo per lavorare sulla crescita di un movimento, finora, rimasto nel dimenticatoio.

 

Se gli azzurri fossero riusciti nell’impresa di staccare il pass per la prossima stagione del Sevens, probabilmente, i festeggiamenti avrebbero potuto ‘oscurare’ le attuali (gravi) lacune organizzative e di programmazione che caratterizzano l’Italia del Seven, inducendo chi di competenza ad adagiarsi fin troppo sugli allori. L’essere arrivati ad un palmo di naso da un clamoroso traguardo, invece, può contribuire a mantenere alta la tensione e favorire lo sviluppo dell’intero settore, dopo anni di stallo ed noncuranza verso uno sport che, ricordiamo, nel frattempo sarà protagonista a Rio 2016. E il palcoscenico a cinque cerchi, soprattutto se le stelle del Seven dovessero darsi battaglia nello Stadio Olimpico, è di quelli di primissimo piano e dall’appeal smisurato.

La qualificazione per i Giochi è ormai fuori portata, è acclarato, e anche un’ascesa verticale nei prossimi mesi potrebbe non bastare per volare all’ombra del Cristo tra due anni, ma dalla Federazione ci si attende ben altro, in primis di saltare sul treno presentatosi ad Hong Kong nel weekend senza indugi e quanto meno iniziare, mattone dopo mattone, a costruire la base della piramide. Perché ad oggi, di fatto, la Nazionale di Seven azzurra non ha fondamenta su cui poggiarsi, non ha società da cui attingere e atleti specializzati nella disciplina, tant’è che i dodici convocati per la tappa asiatica provenivano totalmente da club di Eccellenza e Serie A (e siamo sicuri siano tutti disposti a lasciar andare i propri rugbisti?). Giocatori richiamati in raduno soltanto una settimana prima dell’evento in questione, un tempo evidentemente ristretto per poter preparare al meglio una spedizione, in questo caso, di importanza vitale per le sorti dell’Italseven. Eppure, quegli stessi giocatori perlopiù adattati al codice ovale olimpico hanno raggiunto la finale e convinto nel corso del cammino, lanciando una sorta di guanto di sfida alla Federazione.

E la domanda, ora, sorge inevitabile: se l’espressione più alta di un movimento (se così vogliamo definirlo) riesce a perseguire ottimi risultati con giocatori trapiantati dall’union, senza il supporto di alcun campionato nazionale e senza praticanti ‘stabili’ di livello, a cosa potrebbe aspirare se si voltasse definitivamente pagina e si iniziassero a scrivere nuovi capitoli del Seven italiano? Nel lungo periodo, un posto fisso nelle World Series non sembrerebbe un’utopia, a patto di abbassare la testa e – perché no – prendere esempio anche da realtà del VII come Fiji, Canada, Portogallo e Kenya.

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daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

Foto: Federazione Italiana Rugby

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