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Simone Pafundi, una punizione da fenomeno totale: il pupillo di Mancini è l’asso nella manica ai Mondiali Under 20

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Italia under 20 - Simone Pafundi al Mondiale Under 20 in Argentina

E’ entrato in campo all’80’, con l’Italia sull’1-1. Dopo cinque giri di lancette, come fosse la cosa più semplice al mondo, ha accarezzato il pallone con il suo sinistro fatato infilando la palla là dove non osano le aquile, lasciando di sasso il numero uno della Corea del Sud. Simone Pafundi, ieri sera, ha sfoggiato una giocata da predestinato. Non capita a tutti i 17enni di entrare a freddo in una semifinale Mondiale – seppur Under 20 – e calciare una punizione decisiva dritta nel sette. Lui l’ha fatto. Regalando agli azzurrini la prima finale della loro storia in questo torneo. Il talento classe 2006 dell’Udinese ha dimostrato a tutti di cosa è capace. Per di più dopo due panchine consecutive, brucianti, contro Inghilterra e Colombia. Due vittorie per l’Italia, zero minuti per lui. Poco male.

Già. Il numero 20 azzurro ha reagito alla grande. Dimostrando personalità da vendere. Altra caratteristica comune ai predestinati. O meglio, ai grandi campioni. Pafundi non lo è ancora. Ma sembra in grado di diventarlo. Palla al piede incanta, così come quando tocca quella che un tempo chiamavano sfera di cuoio. Preferisce il sinistro ma calcia quasi con la stessa naturalezza di destro. In pochi possono permetterselo. Ma nel calcio moderno, sempre più fisico e rapido, per uno di 166 cm poter contare su entrambi i piedi può fare la differenza. Non a caso al debutto con il Brasile, squadra che per caratteristiche fatica ad aggredire l’avversario, le sue qualità erano emerse subito. Poi con la Nigeria era arrivato un piccolo passo indietro, con tanto di sconfitta per 2-0, e così, nella gara decisiva con la Repubblica Dominicana, dopo lo 0-0 dei primi 45′ il Ct Carmine Nunziata aveva optato per altre soluzioni: fuori Pafundi, dentro Montevago. La mossa ha pagato: 3-0 e Italia agli ottavi. 

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A pagare, nelle gare successive, è stato proprio il trequartista friulano. Che però non si è perso d’animo. Anzi. Forse Roberto Mancini ha ragione quando dice: “Prima convoco Pafundi, poi tutti gli altri”. Il ragazzo di Monfalcone ha guardato per due partite di fila i compagni dalla panchina senza emettere un fiato. Ha tifato per loro, li ha osservati lottare su ogni pallone contro Inghilterra e Colombia. Due sfide a eliminazione diretta vinte con pieno merito dagli azzurri, trascinati dalla fisicità di Cesare Casadei e dalle giocate di Tommaso Baldanzi. Pafundi ha sofferto, sperando in una chiamata del Ct che sembrava proprio non voler arrivare. Così è stato negli ottavi, così è stato nei quarti. E nulla è cambiato in semifinale contro la Corea del Sud. Almeno fino all’80’.

Ormai è chiaro. I titolari, per Nunziata, sono Pio Esposito e Giuseppe Ambrosino. Due punte che si completano, che garantiscono il giusto mix di fisicità e tecnica all’Italia. E infatti sono partiti dal 1′ anche contro gli asiatici. Una gara scorbutica, più dura di quanto forse si potesse pensare. Infatti, nonostante il gran gol di Casadei in avvio, la Corea non si è scomposta. E sfruttando la velocità di Bae – un altro ragazzo che potrebbe fare strada, proprio come tanti azzurrini – ha trovato il pari di Lee su rigore. Poi, però, dopo alcune buone occasioni e un po’ di sofferenza, è salito in cattedra lui: Simone Pafundi. L’asso nella manica di Nunziata, lanciato nella mischia al posto del “gemello” Baldanzi, per una volta apparso poco ispirato. Ambrosino ha preso il fallo al limite, il numero 20 l’ha messa là dove nessuno sarebbe mai potuto arrivare. “Ha il sinistro di Maradona”, dicevano un paio d’anni fa a Udine. “Eh, dai, non esageriamo”. Beh, a quanto pare non avevano tutti i torti. Benvenuto tra i grandi, Simone. Ora facci sognare. 

Foto: Lapresse

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