Seguici su

Editoriali

Volley femminile: l’ammutinamento a Mazzanti, Federazione inerme. Serve un altro fallimento per cambiare?

Pubblicato

il

Mazzanti

La Nazionale italiana di volley femminile vanta nel suo palmares la vittoria di un Mondiale, nel lontano 2002, e di tre Europei (2007, 2009 e 2021), tuttavia alle Olimpiadi, dalla sua prima qualificazione avvenuta nel 2000, non è mai riuscita a varcare lo scoglio dei quarti di finale. Un controsenso storico, se pensiamo alle potenzialità che negli anni hanno messo in mostra diverse generazioni di giocatrici. Ma alla prova suprema, quella dei cinque cerchi, si è sempre fallito l’appuntamento con il podio.

Il copione non cambiò a Tokyo 2021, quando le azzurre si presentarono da vice-campionesse iridate e probabilmente con una delle migliori squadre della storia; di sicuro, e questo è innegabile, mai l’Italia aveva potuto contare su una fuoriclasse come Paola Egonu, una sorta di Cristiano Ronaldo o Messi della pallavolo. Eppure nel Sol Levante arrivò una secca sconfitta per 3-0 ai quarti di finale contro la Serbia. Già in Giappone erano sorte le prime avvisaglie di un gruppo tutt’altro che compatto. Perché in questo sport non vinci con i singoli, ma con la squadra. E gli uomini di De Giorgi insegnano…

La grande fortuna del ct Mazzanti fu che, solo poche settimane dopo, si disputarono degli Europei che, con tutto il rispetto, possiamo considerare di Serie B. O, per non turbare le coscienze, quantomeno di riparazione. Si trattò di un evento secondario, buono per chi aveva toppato completamente le Olimpiadi e aveva bisogno come il pane di un riscatto. Ebbene, l’Italia sfruttò l’occasione e lo vinse. Mazzanti, che era in bilico, e forse molto vicino all’esonero, non solo salvò la panchina, ma la consolidò. A posteriori, possiamo dire che quel successo si rivelò quasi nocivo per il prosieguo del cammino azzurro negli anni a venire, perché probabilmente dopo i Giochi era il momento giusto per iniziare un nuovo ciclo.

L’inizio del 2022 aveva illuso che l’Italia fosse tornata quella schiacciasassi che prometteva di incamerare titoli a raffica. Il successo in Nations League, competizione dove sovente non tutte le nazionali schierano le proprie migliori giocatrici, sembrava foriero di un Mondiale stracolmo di emozioni, fino magari al successo finale. Nulla di tutto questo. La rassegna iridata portò ad un bronzo che non soddisfò nessuno. Ma, quel che è peggio, la crepa all’interno del gruppo divenne una voragine ormai non più rimarginabile. Scoppiò la polemica legata alle dichiarazioni di Paola Egonu, che accusò di sentirsi a disagio per presunti insulti razzisti subiti (non si è veramente mai capito da parte di chi, se di tifosi, compagne di squadra o altri), ventilando un addio alla maglia azzurra che, nei fatti, non è mai avvenuto. Da anni il rapporto tra Egonu e Mazzanti è decisamente problematico. Alcuni episodi non escono dallo spogliatoio, ma è evidente che deve essere accaduto qualcosa di veramente grave, che ha portato alla creazione di fazioni all’interno della squadra. Una spaccatura insanabile, con giocatrici che probabilmente mal si sopportano tra loro.

In una situazione come questa, nella quale ieri il ct ha candidamente ammesso di “non avere più la squadra in mano“, come è possibile che l’allenatore non sia stato sostituito? E qui non si può negare che tra i colpevoli, probabilmente in cima alla lista, vada collocata la Federazione. Si è deciso di non fare nulla, non dire nulla e non essere nulla. Mazzanti è apparso come il capitano di un equipaggio ammutinato. Eppure è rimasto al suo posto a governare una nave alla deriva. Ha tentato di metterci una pezza, ma sovente la toppa è peggio del buco. Ha lasciato a casa giocatrici come Monica De Gennaro (a dispetto dell’età, ancora il miglior libero al mondo, per distacco), Caterina Bosetti e Cristina Chirichella: l’Italia poteva permetterselo? No, come si è visto. La sensazione è che Mazzanti avrebbe probabilmente fatto volentieri a meno anche di Egonu, proprio a seguito di quanto accaduto in passato, ma la convocazione dell’opposta potrebbe forse essergli stata imposta dall’alto? Da fuori sembra di percepire questo.

Morale della favola. L’Italia ha affrontato un Europeo giocando oggettivamente contro il nulla sino alla semifinale. Si è trattato infatti di un torneo dal livello più che mai modesto, dove l’approdo in semifinale era scontato: compagini come Spagna o Francia, per non parlare di quelle del girone iniziale, non avrebbero potuto creare il minimo patema e, non a caso, le azzurre non hanno perso neppure un set. Alla prima partita seria, contro la Turchia poi vincitrice del trofeo, è maturata una non inattesa sconfitta, in un match in cui peraltro Mazzanti ha sconfessato la sua scelta principale di puntare sulla naturalizzata russa Ekaterina Antropova (evidentemente non ancora all’altezza di questi palcoscenici), ricorrendo in fretta e furia ad Egonu ai primi segnali di difficoltà. Un modus operandi che, probabilmente, il resto del gruppo non ha gradito. Nella finale per il terzo posto l’Italia ha sbracato completamente, cedendo con un netto 0-3 all’Olanda, risultato che fa molto male anche in chiave ranking mondiale, eventuale ancora di salvataggio qualora l’imminente preolimpico di Lodz vada male. È parso evidente anche ad un semplice osservatore esterno come lo spirito di squadra abbia completamente abbandonato un gruppo che ormai non possiamo più neppure definire tale.

Le premesse appaiono dunque tempestose. Mazzanti, di fatto, ha fallito alle Olimpiadi 2021, ai Mondiali 2022 ed ora agli Europei 2023. Servirà un nuovo disastro a Parigi 2024 per convincere finalmente la Federazione ad intervenire e provare finalmente ad iniziare una difficile ricostruzione? È vero che ai Giochi manca meno di un anno, ma è un tempo sufficiente per provare a fare qualcosa, senza rimanere inermi attendendo un fiasco che, nelle condizioni attuali, non si vede come possa essere evitato. Mazzanti, per sua ammissione, non aveva la squadra in mano ai Mondiali, ma a nostro avviso non l’ha avuta agli Europei e, sinceramente, non pensiamo che l’avrà ai Giochi. Quando le fratture sono troppo profonde, l’unica strada è lasciarsi. Cambiare tecnico, magari dopo il preolimpico, ci sembra l’unica soluzione per provare a ritrovare ambizioni in vista di Parigi 2024. In caso contrario, non stupiamoci se lo scoglio dei quarti di finale rimarrà ancora insormontabile.

Foto: Lapresse

Pubblicità

Dalla Home

Pubblicità

Facebook

Pubblicità