Tennis
Jannik Sinner parla chiaro: “Non sono il tennista da battere, devo continuare a lavorare”
Jannik Sinner si è raccontato in una lunga e interessante intervista a Vanity Fair, prima di affrontare il torneo di Rotterdam, che gli ha permesso di issarsi alla posizione n.3 del ranking ATP. Tanti i temi trattati e l’anello di congiunzione è l’onestà intellettuale del ragazzo di tutti i giorni e del tennista, che non differiscono, ma sono parte di un modo di essere. Vi riportiamo alcuni stralci interessanti.
LA GESTIONE DELLA VITA PRIVATA
“Mi piace parlare di tennis, e dello sport in generale. Ma se si riferisce alla vita privata, è vero, voglio mantenerla tale. Voglio proteggere le persone che mi sono più vicine, tenendole fuori da tutto ciò. Lo vivo come un piccolo compito da svolgere, quasi un dovere: mi hanno aiutato, da giovane, ad acquisire sicurezza in me stesso, e oggi in qualche modo voglio tutelarle. Timidezza? No, potrei anche parlarne. Ma le persone che mi sono vicine la pensano come me, su questo tema. Perché sono molto simili a me: ci capiamo con uno sguardo, in un secondo“.
LE AMBIZIONI
“Se sono ‘Quello da battere’? È una parola grossa. Sono il numero 4 al mondo (poi è diventato n.3, ndr). Per il momento. Certo è un buon risultato, ma adesso devo ancora lavorare, prepararmi a tutto, perché ormai gli avversari mi conoscono bene, anche le mie debolezze. Sono uno di quelli da battere, diciamo. Chi? Zverev e Medvedev stanno giocando molto bene. Carlos (Alcaraz, ndr) ha vinto già due Slam e ha due anni meno di me. E poi c’è Nole (Đokovic, ndr). Nole è Nole“.
I MIGLIORAMENTI E LE DIFFICOLTÀ
“Posso gestire ancora meglio certi momenti di difficoltà, c’è ancora molto che posso imparare dai miei errori. Ora sto giocando bene, ma arriveranno momenti un pochettino più difficili: è importante lavorare adesso per affrontarli preparati. Alle volte possiamo davvero diventare un ostacolo per noi stessi. Ma più spesso siamo gli unici a poterci dare una grande mano. Alla fine, un giocatore il controllo ce l’ha solo su di sé. Non possiamo controllare il vento, il sole, né tanto meno l’avversario quando gioca bene: sono variabili che puoi solo accettare. Per come sono fatto io, temo di più l’avversario”.
IL SENTIRSI ITALIANO
“Sempre mi sono sentito italiano, e sono molto orgoglioso di esserlo: a 7 anni facevo i campionati di sci coi ragazzini italiani, a 14 in Liguria i miei compagni erano italiani. Ma poi, noi parliamo il nostro dialetto tedesco, ma anche in Sicilia parlano un dialetto che nelle altre parti d’Italia non capiscono, no?“.
LA CONCEZIONE DELLA SCONFITTA
“Tutte le partite che si vincono, non si vincono nel giorno in cui si disputano. Si vincono preparandosi per mesi, forse anni, lavorando per quella partita. Vedremo se questo lavoro servirà anche al primo fallimento, vedremo come reagirò. Ma non ho paura di sbagliare, non ci penso. Non vedo che senso abbia pensarci. Scommettere su di me numero uno? Non mi sono mai piaciute le scommesse“.