Per scoprire quote, pronostici, bonus, recensioni bookmaker su scommesse sportive e molto altro su sport betting è possibile consultare la nostra nuova sezione dedicata alle scommesse online
Tennis
Sinner è l’ottavo a vincere il primo torneo da n.1: neanche Federer e Nadal ci erano riusciti
Per l’ottava volta nella storia un numero 1 del mondo vince il primo torneo disputato con questo status sulle proprie spalle. Jannik Sinner si aggiunge a un club piuttosto esclusivo, ancor più ristretto rispetto a quello dei 29 che, fino ad ora, sono stati capaci di occupare la posizione di testa in chiave ATP.
Il primo di questa lista fu Jimmy Connors, all’epoca in cui il circuito mondiale era basato su due calendari: da una parte quello del Grand Prix, che si giocava da maggio a dicembre, e dall’altro quello del WCT, che invece si giocava da gennaio a maggio. Jimbo diventò per la prima volta numero 1 il 29 luglio 1974 e là rimase per tre anni. Ebbe subito il tempo, però, di imporsi a Indianapolis, dove si tenevano gli US Clay Court Championships e lo sconfitto in finale fu Bjorn Borg per 5-7 6-4 6-3. Fu l’11° titolo di Connors nell’anno e il 28° in carriera, in una settimana che lo vide perdere l’unico set proprio nella finale.
Il secondo fu Bjorn Borg. Ma, attenzione, sullo svedese bisogna fare un chiarimento. Andò in testa al ranking ATP per una settimana nel 1977, ma non fece in tempo a giocare che già Connors si era ripreso il comando. L’Orso svedese dovette perciò attendere il 1979 per giocare da numero 1 del ranking, quando nel frattempo Grand Prix e WCT erano diventati (per pochi anni) una cosa sola. Borg celebrò il secondo (e più lungo) passaggio da leader del ranking a Montecarlo, dove non mancò di vincere sovrastando tutti gli avversari, tranne l’argentino José Luis Clerc nei quarti (cui concesse un set), e lasciò solo sei game a Vitas Gerulaitis, che da questo mondo se n’è andato troppo presto, nel 1994.
Il terzo fu Mats Wilander. E, del suo 1988 da tre Slam che culminò con la vetta il 12 settembre, il primo torneo da numero 1 arrivò in Italia, a Palermo, un evento che si è tenuto dal 1935 fino al 2006, quando l’ATP si è ripresa la data (il Challenger nato nel 2009 è successore solo indiretto degli Internazionali di Sicilia). Wilander, che dell’era degli svedesi fu grande interprete specialmente sul rosso, quell’anno saltò l’evento olimpico dopo gli US Open (non fu il solo: altri giocarono tornei contemporanei, dato che ce n’erano tre nello stesso arco di tempo), ma tornò in terra siciliana via wild card. Non dominò, ma quel che fece bastò a battere il connazionale Kent Carlsson.
Il quarto fu Stefan Edberg. Amato come pochi per lo stile di gioco votato all’attacco, balzò in vetta il 13 agosto 1990. Fu quello il primo anno in cui l’ATP Tour, che rimpiazzò Grand Prix e WCT nei loro vari accordi e disaccordi, fu simbolo di vera unità del circuito maschile. Edberg, quella settimana, giocò a Long Island, là dove c’erano molti big da Sampras a McEnroe fino a Ivanisevic. Ne batté due su tre: Mac e l’allora jugoslavo che, dopo la dissoluzione, batté bandiera croata. Agli US Open, però, lo svedese cadde contro Sasha Volkov, al tempo sovietico, in una delle rare occasioni in cui si vide il leader mondiale cadere subito in uno Slam.
Il quinto fu Pete Sampras. Pistol Pete, carattere schivo, origini greche e un portento in quasi tutto ciò che si potesse chiamare tennis, salì in vetta per la prima volta il 12 aprile 1993. Aveva appena battuto Brad Gilbert in finale a Tokyo con un triplo 6-2. Si rimise subito in gioco e, a Hong Kong, sette giorni dopo, si impose anche su Jim Courier, anche se gli ci volle un 6-3 6-7(1) 7-6(2) per prevalere. A fasi alterne, e dopo 11 periodi da leader del ranking ATP, accumulò 286 settimane. Un periodo che sembrava impossibile da battere, e invece fu battuto.
Il sesto fu Novak Djokovic. E, per il serbo, l’occasione arrivò nel 2011, dopo che aveva vinto due Slam, 48 partite a fronte di una persa (con Roger Federer in semifinale al Roland Garros). Una volta scalzato Nadal con il favore dei prati di Wimbledon, Djokovic si presentò a Montreal da favorito d’obbligo. Fu un torneo in cui spesso impose la sua legge dopo aver faticato nel primo set, ma in finale un parziale dovette cederlo contro uno dei migliori Mardy Fish di sempre: l’americano gli strappò il secondo prima di perdere 6-2 3-6 6-4. Merita una menzione anche la sua, di storia, che parla di lotta con l’ansia dentro e fuori dal campo, di cui si è fatto portavoce in molti modi.
Il settimo, infine, fu Andy Murray. Ed è forse strano che Sinner gli succeda proprio oggi che il nativo di Dunblane è costretto forse a rinunciare all’ultimo Wimbledon della sua vita. Lo scozzese, dopo una rincorsa praticamente infinita, indovinò un 2016 da nove tornei vinti, compresi Wimbledon e Olimpiadi. Fu a Parigi-Bercy che si assicurò la leadership mondiale, continuando una striscia di vittorie partita a Vienna e finita con le ATP Finals di Londra, che lo videro sconfiggere Djokovic in finale. Uno sforzo che, alla fine dei conti, pagò carissimo anche a livello fisico, ma di cui Murray non rimpiange nulla.
Come si vede, Jannik Sinner si unisce a una lista davvero particolare. Di nomi ne mancano tanti: Roger Federer, Rafael Nadal, John McEnroe, Andre Agassi, Ivan Lendl, Boris Becker sono tra quelli di maggiore peso in questa storia. Che si può anche considerare come puro numero statistico, ma va anche detto che non è mai facile affrontare il primo torneo che va in scena da leader del ranking mondiale. All’italiano è riuscito tutto nel verso giusto,