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‘Cogito, ergo sport’: Bobby Moore, l’armonia del contrasto

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Ciò che chiamiamo correttezza e buona educazione, serve ad ottenere quanto, diversamente, è da ottenersi solo con la forza, o magari neppure con essa.
Johann Wolfgang Goethe

Bobby MooreNello sport, per essere dei buoni difensori si dev’essere possenti, forti, con un fisico abbastanza prestante da essere competitivi con gli attaccanti avversari che vanno “abbattuti”. Leggende metropolitane, esperienza sul campo, mezze verità affondante con l’arrivo di un biondino inglese, il mito del calcio Bobby Moore, che a soli 17 anni entra nel mondo del calcio da protagonista, lottando con la squadra del West Ham e conquistando con essa tre trofei.
Precisione, tecnica, rapidità, controllo: la perfetta fusione di fisico e mente condensati nel giocatore che il grande Pelè definì “il difensore più corretto che abbia mai affrontato”.

Sembra un paradosso che il re dei  tackles, i contrasti e le entrate in scivolata sugli avversari, fosse il campione di correttezza per antonomasia. Eppure Bobby Moore, con l’inimitabile precisione nello strappare la palla ai più forti giocatori degli anni Sessanta, aveva la capacità di rendere la lotta straordinariamente elegante, secondo la filosofia eraclitea per la quale “dalle cose in contrasto nasce l’armonia più bella, e tutto si genera per via di contesa”.

Moore-PelèTutto, compresi i messaggi di amicizia e antirazzismo che con Bobby venivano esaltati a partire da un iniziale e superficiale contrasto, come al termine della storica partita del 1970 in Messico, con lo storico scambio di maglietta con la Perla Nera brasiliana Pelè.

La Hall of Fame, il settore di Upton Park riservato ai tifosi degli Hammers, una statua di bronzo fuori dallo stadio di Wembley, lo stesso che aveva visto Bobby sollevare la Coppa del Mondo con la maglia dell’Inghilterra, sono solo alcuni dei tanti riconoscimenti che smentiscono l’idea di un’indifferenza da parte della gente per un comportamento rispettoso ed adeguato dentro e fuori dal campo, quel campo spesso proscenio di avvenimenti che sembrano relegare lo sport nell’ambito di un’insuperabile e intrinseca violenza.

Statua Bobby Moore

Da anni si va alla ricerca della chiave per rendere lo spettacolo del calcio “puro” e godibile a tutti gli effetti, e forse partire dall’interno, dal promuovere le figure-modello protagoniste e leggende del pallone, potrebbe essere il primo passo. La teoria non può mai rimanere esente dalla prassi perché, come sosteneva Cartesio, “è assai più l’abitudine e l’esempio a persuaderci di qualche cosa, anziché una conoscenza certa”.
E così tifosi e non, sportivi e meno sportivi che allo stadio si imbattono nel “calciatore immacolato. Il difensore imperiale. Eroe immortale del 1966. Primo inglese a sollevare la Coppa del Mondo. Figlio preferito dell’East End di Londra. Leggenda del West Ham United. Tesoro Nazionale. Maestro di Wembley. Signore del gioco. Capitano straordinario. Gentiluomo di tutti i tempi” (iscrizione sulla statua di Bobby Moore) potranno rendersi più consapevoli di quale sia l’alternativa allo scontro, senza necessariamente abbandonare quel sano “contrasto” che, alla fine, tutto concilia.

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