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NBA, addio a Dikembe Mutombo, leggenda difensiva dall’animo buono

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Dikembe Mutombo

La pallacanestro mondiale è in lutto per la scomparsa di Dikembe Mutombo, Il congolese, ricordato da molti come uno dei migliori centri della NBA anni ’90 e anche uno dei migliori difensori, avendo vinto lo speciale premio per quattro volte nel 1995, 1997, 1998 e 2001 (record condiviso con Ben Wallace e Rudy Gobert), è deceduto quest’oggi a causa di un tumore al cervello con cui combatteva dal 2022.

Nato a Kinshasa, in Repubblica Democratica del Congo (allora Zaire) e settimo di dieci fratelli, decise di investire prepotentemente nella pallacanestro a sedici anni, per poi trasferirsi nel 1987 negli Stati Uniti iscrivendosi all’Università di Georgetown, scuola elitaria per i lunghi, ruolo scontato per un uomo di 218 centimetri: pochi anni prima era passato da quei lidi un certo Patrick Ewing, mentre Dikembe dividerà il campo assieme ad Alonzo Mourning.

Dopo tre anni e due titoli di giocatore difensivo dell’anno, venne drafrato come quarta scelta assoluta nel 1991, iniziando così una carriera lunga diciotto stagioni, fino al 2009, a quarantadue anni, vestendo le maglie di Denver Nuggets, Atlanta Hawks, Philadelphia 76ers, New Jersey Nets, New York Knicks ed Houston Rockets.

Otto volte All Star in carriera, per tre volte nominato tra il secondo ed il terzo team All-NBA, sei volte tra il primo ed il secondo quintetto difensivo della Lega; ma è rimasto nell’immaginario collettivo per il dito indice mostrato agli avversari dopo una stoppata, muovendolo come a dire ‘no, no, no’. Qui nasce probabilmente l’espressione ‘not in my house’ applicata alla pallacanestro, e fidatevi che per schiacciargli in testa ce ne voleva, tanto da essere il secondo stoppatore della storia dell’NBA a quota 3289, alle spalle del solo Hakeem Olajuwon.

Mutombo era impegnatissimo nel sociale: nel 2006 aprì il Biamba Marie Mutombo Hospital a Kinshasa versando venti milioni di dollari dalle proprie tasche e dedicando l’opera alla madre morta di infarto. Nel tempo ha poi partecipato per anni al programma NBA Basketball Without Borders e ad una campagna contro la poliomelite a livello globale, ricevendo un premio dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, mentre dopo il suo ritiro divenne il primo ambasciatore globale della NBA.

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