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Gianni Savio: “Scovare i giovani è più difficile. Da Bernal la gioia più grande, il ciclismo italiano cerchi le risposte”

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Gianni Savio
Gianni Savio

Gianni Savio ha vissuto sino ad ora ben 40 stagioni nel ciclismo. Inguaribile romantico del pedale, dopo la vicenda Drone Hopper che ha fatto venire improvvisamente meno l’ambizioso progetto e soprattutto l’apporto finanziario, il “Principe” è andato avanti ed è ripartito da una categoria inferiore a quella precedente, con una formazione Continental – la GW Shimano Sidermec, oggi Petrolike Forte Sidermec –  team italo-colombiano intenzionato a fare crescere nuovi campioni. Savio, torinese classe 1948, è sempre stato infatti abile nel valorizzare i talenti all’inizio della loro carriera professionistica: Davide Ballerini, Egan Bernal, trionfatore al Giro d’Italia 2021, Andrea Vendrame, Mattia Cattaneo e Ivan Ramiro Sosa sono solo alcuni degli esempi più recenti.

Gianni, prima di tutto: come stai? 

“Nel complesso meglio, però nei giorni scorsi non sono stato benissimo. Speriamo di recuperare in fretta, sono in ospedale per alcuni accertamenti, ma cerco di tenere come sempre botta. Contrariamente alle mie abitudini passate, dovute alla grande passione che ho per questo sport dove ho sempre voluto essere nel vivo delle corse, adesso devo impormi una pazienza infinita perché quest’anno alle corse non ho potuto essere presente e ho bisogno di un po’ di tempo di recuperare dopo la frattura di due vertebre e una costola, quindi ho dovuto riguardarmi e sto facendo di tutto per poter tornare quello che ero prima della caduta”. 

Qual è il bilancio di questa stagione?

“Il bilancio è buono perché il nostro progetto verteva sul fatto di dare una continuità di lancio di giovani corridori. Insieme a Marco Bellini, dopo la vicenda Drone Hopper, siamo riusciti a compiere un mezzo miracolo insieme a Pino Buda della Sidermec; riuscendo quindi a traghettare la squadra prima alla GW Shimano, poi alla Petrolike Sidermec. I due obiettivi che avevamo erano quelli di far acquisire esperienza ai nostri giovani e cercare dei risultati che potessero gratificare i nostri sponsor, in primis Petrolike e Sidermec. I risultati sono arrivati, abbiamo vinto maggiormente in Sud America come la classifica finale della Vuelta Tachira e nel complesso siamo soddisfatti”.

Individuare i grandi talenti, arte di cui tu sei sempre stato un maestro, è sempre più difficile nel ciclismo attuale globalizzato?

“Bella domanda. Oggi è sempre più difficile trovare sponsor che rappresentano la linfa vitale del nostro sport, ma è difficile trovare anche i giovani corridori interessanti. Qualche anno fa non esisteva questo divario enorme tra World Tour e Professional e poi riuscivo ad andare a vedere io direttamente i corridori. Oggi basta che un giovane faccia un mezzo risultato che una squadra World Tour lo fa firmare subito dopo, rendendo quindi difficile la vita alle formazioni minori”.

Quale corridore ti ha regalato la gioia più grande?

“Egan Bernal, quando non era più con noi, ma in Maglia Gialla al Tour de France. Sapevo di aver trovato un corridore che dopo qualche anno sarebbe salito sul podio in un Grande Giro”.

E quale corridore invece rappresenta il tuo rimpianto più grande?

“Veri e propri rimpianti non ne ho, ma avrebbe potuto fare di più Josè Ruano, era un talento e aveva del grande potenziale, ma alla forza fisica non corrispondeva una determinazione mentale adeguata per il ciclismo professionistico, sono convinto che altrimenti avrebbe potuto raccogliere di più in carriera”. 

Hai attraversato tante decadi del ciclismo: Pogacar è il corridore più forte che tu abbia mai visto?

“È uno dei più forti sicuramente, ma oggi i fatti parlano a suo favore. È il corridore che è stato capace di vincere praticamente tutto e ciò che balza all’occhio è che non ha vinto per un gioco di squadra in cui è stato favorito, ma ha trionfato partendo a tanti km dal traguardo. Tadej Pogacar credo sia molto ben voluto proprio per questo modo che ha di correre”.

In Italia continuano a sparire le squadre. Le Professional faticano, le Continental sono soffocate dalle Development delle World Tour, anche la Zalf ha salutato. È un declino che non si può arginare in nessun modo?

“È un discorso molto complesso e noi, insieme a Marco Bellini, lo esaminiamo spesso. È un periodo sicuramente non d’oro e oltre alle squadre Professional che fanno fatica a sopravvivere, tra i dilettanti una squadra importante come la Zalf è costretta a chiudere. La risposta immediata non ce l’ho, ma bisognerà andare a fondo”. 

Ma il vero problema del ciclismo italiano è che stanno sparendo le società di base. Di conseguenza è sempre più difficile per i ragazzini avvicinarsi a questo sport… 

“È tutto un insieme di circostanze che sono in parte mascherate dalle medaglie e quindi dai risultati che soprattutto le nostre azzurre ottengono nelle grandi corse, come ai Mondiali. Se andiamo a vedere i fatti che sono quelli che contano il movimento è stato retto dalle ragazze e questo è un segnale non positivo”.

Continuerete l’anno prossimo?

“Sì, assolutamente. Lo faremo sempre con la Petrolike. Sulla parola abbiamo definito tutto in vista della prossima stagione”.

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