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Perché il gruppo di Sinner alle ATP Finals si chiama ‘Ilie Nastase’: chi è il fuoriclasse rumeno

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Ilie Nastase
Nastase / LaPresse / Olycom

Molto lontani sono i tempi scelti dall’organizzazione delle ATP Finals per dare nome ai raggruppamenti dell’edizione 2024: si va infatti fin negli Anni ’70 (e anche prima), quando alla testa del tennis c’erano John Newcombe, cui è intitolato il girone presidiato da Zverev e Alcaraz, e Ilie Nastase, il cui nome è posto nel raggruppamento di Jannik Sinner. Ci concentreremo in questa sede sul nativo di Bucarest.

Il suo posto nella storia del tennis non si riduce, e nemmeno si può ridurre, al puro fatto che sia stato il primo giocatore a raccogliere il primo posto nella classifica mondiale su base computerizzata, rilasciata per l’occasione il 23 agosto 1973. Vincitore di più di 100 titoli ATP in totale 64 in singolare e 45 in doppio; solo in nove altri ce l’hanno fatta), si è distinto sia in campo che fuori per vicende spesso totalmente opposte eppure unite da quel che accadeva all’interno del rettangolo di gioco. Quando cedette il trono mondiale, fu Newcombe a succedergli (brevemente).

Nato il 19 luglio 1946, Nastase ha cominciato il proprio cammino quando già era noto Ion Tiriac, che sul campo ha avuto meno successo, ma nel business tennistico si è poi dimostrato estremamente capace. Dotato di grandissime capacità difensive (sono famosissimi i suoi recuperi e i pallonetti capaci di mettere in crisi qualunque avversario, compreso Borg, che alle volte era più spaesato che altro contro di lui), aveva naturali capacità di intrattenere, per quanto queste non sempre fossero proprio approvate e approvabili.

Nella sua epoca il tennis non era come quello di oggi, tant’è che il suo emergere sostanzialmente coincise con l’inizio dell’Era Open. Erano anni in cui la Romania in Coppa Davis, con lui e Tiriac, andava forte, tant’è che si contano tre finali tra il 1969 e il 1972, tutte perse contro gli USA, la più dolorosa a Bucarest nel 1972 (per 2-3). Pochi mesi prima, Nastase aveva perso anche la finale a Wimbledon, ed era avvenuto anche in quel caso con Stan Smith, al tempo nei suoi migliori anni. Fu una lunga battaglia in cinque set, che però non fu nulla di fronte al primo successo agli US Open, ottenuto in rimonta e contro Arthur Ashe in cinque parziali a Forest Hills. E non fu nulla di fronte, ancor più, a quel che accadde l’anno dopo.

Nel 1973, infatti, al Roland Garros Nastase semplicemente dominò, non concesse set a nessuno (fu la prima volta) e batté Nikola “Niki” Pilic” in finale. Fu lo stesso Pilic l’ago della bilancia poche settimane dopo: aveva rinunciato a una convocazione in Coppa Davis, la federazione jugoslava lo squalificò col supporto di quella internazionale e questo portò ben 81 giocatori a boicottare Wimbledon. Solo tre delle originali 16 teste di serie, Nastase, Jan Kodes e Roger Taylor, parteciparono. Si sa che Nastase perse agli ottavi contro l’americano Sandy Mayer, giocatore di ottimo livello ai tempi, ma se l’abbia fatto apposta o meno è ancor oggi poco chiaro. Sta di fatto che quel che è sicuro è che semplicemente non poteva boicottare, essendo sotto gli ordini del governo e delle forze armate di Romania. In breve: doveva partecipare. Quel torneo lo vinse Kodes, forte sì, ma terraiolo, ed è il più grande rimpianto dell’allora sovietico Alex Metreveli.

Negli anni Nastase continuò a mettersi in luce un po’ ovunque, tant’è che nel circuito separato tra WCT e Grand Prix riuscì a raggiungere le Finals del primo e il Masters del secondo, caso unico (nel 1974). Cinque furono le volte in cui portò a casa almeno l’accesso in finale al Masters, quattro quelle in cui si impose, tra il 1970 e il 1974. Continuava a vincere tra indoor e il suo amato rosso. E, nel 1976, in finale a Wimbledon ci ritornò, ma stavolta non poté rimpiangere molto, perché Borg lo batté in tre set. Pochi mesi dopo, agli US Open, controversia enorme: terzo e decisivo set (ai tempi i primi tre turni li giocavano due su tre) con il tedesco Hans-Jurgen Pohmann, e sul 5-5 del terzo Nastase colpì un fotografo con la pallina. Pohmann accusò crampi, tornò in campo, lottò, perse, ma l’uomo che era buona parte della Romania sportiva del tempo perse la testa, con udibili oscenità. L’avrebbero dovuto squalificare, non fu fatto.

Tre anni dopo, contro John McEnroe, non fu altrettanto fortunato: venne squalificato. O almeno così sembrava, perché la folla iniziò a tirare di tutto in campo nel nuovo impianto di Flushing Meadows, in disaccordo com’era. Rientrò Nastase, fu cambiato il giudice di sedia, Mac vinse lo stesso. Sono solo due degli episodi più significativi di una carriera nella quale gli eccessi, gli scherzi anche di pessimo gusto, in generale tutte quelle cose che facevano parte dell’extra tennis entrando però all’interno dello stesso, erano parte del mondo di Nastase. Il quale, però, aveva anche un difetto: quello legato proprio a questa sregolatezza, cioè una fragilità nervosa che poteva colpirlo in più di un’occasione.

In mezzo, la Racchetta Spaghetti. In anni nei quali cominciava a declinare il suo status, Nastase utilizzò una racchetta stranissima, a doppia incordatura, doppi nodi, 36 corde verticali, 5 orizzontali. Ci era arrivato dopo che, all’inizio, l’aveva anche rifiutata, solo che quella racchetta era già diventata una specie di culto. E allora eccolo, con tre dei quattro semifinalisti che la usavano, a giocare con l’unico che ne era sprovvisto, Guillermo Vilas. Che, così, perse per la prima volta dopo 46 partite in quell’ottobre del 1977 in Costa Azzurra. L’ITF aveva già deciso di bandire per sempre quel mezzo, ma solo dal giorno successivo al torneo.

Una volta chiuso con il tennis nel 1985, e con all’attivo anche tre Slam in doppio e due in misto (sempre a Wimbledon), la sua figura rimase controversa. Anni dopo Pam Shriver raccontò che Nastase le aveva chiesto una trentina di volte se fosse vergine; a quel punto lei fu spazientita, gli chiese di smetterla. Perlomeno, smise. Non smise però di trovarsi agli onori delle cronache, perché quando era capitano di Davis fu bandito dal match esterno con la Gran Bretagna perché, contro il Sudafrica, ne aveva dette di tutti i colori contro gli ufficiali di gara e più in linea generale. Nel 2017, invece, quand’era capitano di Fed Cup per la Romania, si lanciò in una serie di dichiarazioni di vario tenore: prima “parlò” del figlio ancora non nato di Serena Williams, poi l’accusò di doping, ancora chiese il numero di camera ad Anne Keothavong, la capitana britannica, quindi attaccò tutta la stampa britannica, discusse col giudice di sedia in modo aspro, e infine fu espulso e poi sospeso dall’ITF fino al 2021.

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