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“Cogito, ergo sport”: All Blacks, il “movimento immobile” del Rugby

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O ti muovi e non sei più intero o sei intero e non ti puoi muovere. Ma quel giocatore era diverso: la sensazione di vederlo muoversi pur restando fermo”.
Muriel Barbery, L’eleganza del riccio

Una danza può essere l’eleganza, la trasgressione, la femminilità, la potenza, l’intimidazione. Può essere accessorio, svago, tradizione, sacralità. Una danza può essere l’immobilità di corpi in movimento che sfruttano il fisico per liberare l’anima, che attraverso i la prestanza della massa, i gesti e l’espressività esteriore elevano il pensiero e la concentrazione al di sopra di sé e dei propri avversari.
È l’Haka, la danza che “accende il respiro”, infiamma lo spirito e si pone al di sopra dello spettacolo, assumendo tutto il carico di un rito d’iniziazione per iniziare la battaglia, impressionare il nemico, comunicare la propria aggressività incentrata sull’onore, la forza del corpo e dell’anima, il coraggio.

All Blacks, danza maori

Conosciuti per la divisa nera, per il numero di giocatori ammessi nella International Rugby Hall of Fame, il maggiore di sempre, per le due Coppe del Mondo, gli All Blacks, i campioni nazionali della Nuova Zelanda, squadra di rugby più vincente della storia, sono l’emblema dell’ “assoluto ordine nell’apparente disordine” (Sandro Cepparulo), del “movimento immobile del mondo”. La loro filosofia di gioco pervade la mente prima ancora che il corpo, un corpo che nello spostamento non si muove verso qualcosa ma rimane tutto incentrato su di sé, rintraccia lo stato d’animo interiore per incanalarlo verso l’obiettivo della vittoria e si manifesta prima ancora dell’inizio della partita attraverso quei movimenti ritmati, quelle parole cariche di tensione, sfida, provocazione.
Danza maoriÈ la morte, è la vita”. Come un panta rei, il continuo fluire dalle tenebre alla luce, dal colpo subìto a quello impresso: il rugby è un gioco di morte e resurrezione dove “correre non vuol dire scappare, ma andare incontro al futuro (Mirko Petternella). Quindici titani che gridano con una compostezza letale per l’avversario. “Ancora uno scalino”, una corsa verso il traguardo che assume le sembianze di un orizzonte: quanto più ci si avvicina tanto più quello tende a sfuggire, ad allontanarsi, a causa di quel “principio assurdo, e meravigliosamente perverso per cui la palla la puoi passare solo all’indietro” (Alessandro Baricco). “Alzati!” perché i colpi degli avversari non possono arrestare la battaglia: “alzati” perché “il sole splende”.
I maori sapevano esorcizzare la paura e gli All Blacks, eredi di quell’etnia neozelandese, sanno altrettanto bene quanto incisiva possa essere quella danza virile, quanto spettacolare al contempo.

La singolarità dell’Haka risiede nella preparazione fisica e nell’immenso dispendio di energia che i rugbisti neozelandesi impiegano per quella che, di conseguenza, non può essere una semplice attrattiva pre-partita. Si tratta piuttosto di una danza rituale che appare come una riformulazione del “cogito, ergo sport”: se colpisci la mente colpisci anche il corpo, e così il giocatore maori imprime l’immagine di se stesso e della propria potenza nella mente degli avversari, trasformandosi “in un albero, una quercia enorme, indistruttibile, con radici profonde. Eppure avevamo la certezza che la grande quercia avrebbe anche potuto volare, che sarebbe stata veloce come il vento” (dal libro L’eleganza del riccio), perché quando il pensiero sceglie di essere qualcosa il corpo lo segue. Se decidi di essere il vincitore, l’avversario deve saperlo prima ancora del fischio d’inizio.

Ma’a Nonu, giocatore degli All Blacks

Ma’a Nonu, giocatore degli All Blacks

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