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Editoriali

‘Italia, come stai?’: volley, questione di testa; hockey pista, padroni d’Europa

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Ammettiamolo: il bronzo dell’Italia nella World League di pallavolo, il secondo consecutivo dopo quello del 2013, cui si aggiunge anche quello olimpico di Londra 2012, ci lascia l’amaro in bocca. Il fattore campo e una squadra che aveva brillato nella prima fase delle qualificazioni, ottenendo anche due splendide vittorie in Brasile, lasciavano presagire la possibilità di interrompere un tabù ormai terribilmente lungo.
E’ vero, il volley tricolore si mantiene da diverse stagioni ai vertici, come dimostrano tra l’altro anche i due argenti europei consecutivi nel 2011 e 2013. Un dato, però, deve far riflettere: l’Italia non sale sul gradino più alto del podio in una grande competizione internazionale dal lontano 2005, quando la compagine allora allenata da Montali si impose nell’Europeo casalingo. L’ultima World League risale al 2000, mentre per trovare una corona iridata azzurra bisogna risalire allo scorso secolo (1998). Nell’ultimo decennio la nazionale si è mantenuta su livelli eccelsi, ma nei momenti davvero importanti ha palesato un’incapacità di vincere dovuta a volte a dei limiti tecnici, altre (la maggior parte) ad una questione di testa.
L’attuale rosa di Berruto, inutile negarlo, è la migliore su cui possa contare l’Italia da dieci anni a questa parte. Completa in tutti i reparti, con valide alternative in ogni ruolo ed un fuoriclasse e trascinatore come Ivan Zaytsev. E’ una squadra giovane nel suo complesso, avviata verso il periodo della piena maturità agonistica, nella quale non mancano giovani di prospettive illimitate come Vettori e Randazzo. Questa Italia, per la qualità dei singoli e la caratura delle cosiddette riserve, non è inferiore a Russia e Brasile. Eppure, quando è opposta a queste due grandi potenze mondiali, sovente ne esce sconfitta in maniera netta, soprattutto con i verde-oro. Al loro cospetto emergono inesorabili antichi fantasmi, la paura di non essere ancora all’altezza. La voglia di cambiare la storia non infonde la giusta adrenalina, ma al contrario zavorra le gambe e le braccia con una responsabilità eccessiva. Alla nostra nazionale non manca niente per tornare finalmente sul tetto del mondo. La sfida più difficile bisognerà vincerla nella testa dei giocatori.

Vincere un Europeo dopo 24 anni, per di più in casa della nazione che aveva monopolizzato le ultime sette edizioni, consacra l’impresa della nazionale italiana di hockey pista come una delle più entusiasmanti ed importanti del 2014. Ad Alcobendas la selezione tricolore ha realizzato un capolavoro. L’Italia era volata in Spagna con l’obiettivo di agguantare una medaglia di bronzo: sulla carta i padroni di casa iberici ed il Portogallo sembravano fuori partita.
Gli azzurri, invece, hanno dimostrato di avere definitivamente colmato il gap che ci separava da oltre un decennio dalle due potenze latine. Prima il pareggio, tra mille rimpianti, con la Spagna: poi la meritata vittoria con il Portogallo, prima dell’apoteosi finale contro la Francia, avversario sempre rognoso. Gli uomini di Mariotti hanno saputo imporsi con cuore e carattere, compattandosi nei momenti di difficoltà e riuscendo a venire a capo di partite sempre tirate ed equilibrate. Non è emerso un fuoriclasse, ma a trionfare è stata la profondità di un gruppo che di volta in volta ha visto spuntare nuovi protagonisti. Le parate di Gnata, i gol di Ambrosio, Cocco e Tataranni. La nuova generazione che si mescola con i veterani che tanto hanno dato alla causa negli anni bui e che ora finalmente vengono ripagati in toto per gli sforzi profusi.
I buoni risultati ottenuti nelle rassegne Under21 dell’ultimo biennio lasciano presagire come il nuovo ciclo dell’Italia nell’hockey pista possa essere solo agli albori. Conquistata di nuovo l’Europa, ora bisogna guardare al mondo e ad un titolo iridato che manca dal 1997. A questa Italia non può essere impedito di sognare.

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federico.militello@olimpiazzurra.com

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