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ESCLUSIVA – Giorgio Di Centa, tutte le facce di una leggenda: “La 50km di Falun, i giovani, la Nazionale e l’erede…”

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Un campione dentro e fuori dalle piste solcate per oltre vent’anni, un’icona leggendaria dello sci di fondo italiano, giunta però al suo ultimo assolo perlomeno ad alti livelli al termine di una carriera scolpita nella pietra. A 42 anni, Giorgio Di Centa ha chiuso la propria esperienza pluridecennale con la Coppa del Mondo e si appresta a fare altrettanto con i Mondiali, in quanto a Falun si lancerà nella sua recita finale sui prestigiosi palcoscenici di livello internazionale. L’oro olimpico di Torino è intervenuto telefonicamente ed in esclusiva a Victory per parlare delle prospettive iridate, ma non solo, perché nell’intervista integrale rilasciata ad Olimpiazzurra i temi toccati sono stati davvero tanti.

Il grande obiettivo stagionale è la 50km dei Mondiali di Falun: come si sta preparando e con che ambizioni guarda alla gara?
“So che è sicuramente difficile arrivare ad una medaglia, però è bello provare ad allenarsi per conquistarla. Diciamo che sarei soddisfatto nell’entrare tra i primi otto. Sto cercando di fare una serie di gare lunghe, con una preparazione in parte in quota insieme alla squadra A di Coppa del Mondo e a momenti facendo gare sulla lunga distanza, prevalentemente in tecnica classica che è quella in cui sarà la 50km a Falun”.

In tecnica classica è stata anche la Marcialonga, da cui è reduce (26° posto, ndr). Rispetto a quella gara, quanti margini di miglioramento pensa di avere?
“Sono due gare molto diverse. Per la Marcialonga non ero molto preparato, perché c’è tutta una serie di atleti che utilizzano una diversa specialità, la spinta, per il classico, mentre a Falun sarà una consueta gara di Coppa del Mondo con tante salite e con tanto dislivello. Adesso devo rientrare nell’ottica di questo tipo di allenamento e dovrei tornare sui livelli dei ragazzi di Coppa”.

Per Falun ha dichiarato di voler puntare soltanto alla 50km, ma se le chiedessero di fare anche la staffetta?
“Al momento non è più possibile, perché sono stati prenotati gli aerei per gli ultimi tre giorni, ma anche perché voglio fare un raduno ad alta quota nella settimana precedente, per arrivare al massimo proprio in quella domenica di marzo. E’ una decisione presa di volontà mia, voglio prepararmi al meglio per questo obiettivo. Vedremo se ne sarò capace”.

Falun arriva inoltre ad un anno esatto dal flop di Sochi. Dopo quell’Olimpiade da dimenticare, sembra esserci stata la scossa: è cambiato qualcosa nell’ambiente della nazionale?
“Come spesso capita, alla fine di ogni quadriennio olimpico è stato cambiato un po’ lo staff. Questo sicuramente dà nuovi stimoli a chi è dentro, soprattutto ai giovani. C’è ancora molto da lavorare, ma speriamo che in vista della prossima Olimpiade si riesca a fare bene. Speriamo che già a questi Mondiali Pellegrino faccia un’ottima gara, dopo essersi messo in luce finora, e non solo. Io son convinto che nella staffetta 4×10 una medaglia sia alla loro portata”.

Chi vede come un suo possibile erede?
“Quello che si è messo più in luce e che ha cominciato ad andar bene già lo scorso anno è De Fabiani. E’ molto giovane, ma riesce ad andar bene in tutte e due le tecniche ed ha un bello spunto finale come l’avevo io nei tempi migliori. E’ un atleta completo, deve ancora crescere e diventare più robusto ed efficiente e poi può tenere tranquillamente le stagioni e fare grandi risultati”.

Una domanda che probabilmente è comune a tanti italiani ed appassionati. Come ha fatto a trovare sempre gli stimoli giusti per continuare ad alto livello?
“Non è facile, partirei dalla mia situazione familiare. Mia moglie insieme ai ragazzi mi danno molta fiducia, per cui riesco a stare tranquillo anche quando sono fuori e a dare il massimo di me stesso. Poi malgrado l’età ho sempre avuto risultati accettabili e più che onorevoli e questo ha contribuito a darmi stimoli, a perseverare e a credere in quello che facevo. Questo è il primo anno in cui sono più in difficoltà, però ho cercato di cambiare un po’ i miei obiettivi e di focalizzarmi sulle cose più importanti, dove posso dare di più, cioè sulle lunghe distanze e nelle gare in cui mi riescono meglio”.

A Dobbiaco, però, stava per ‘cedere’, perché voleva ritirarsi dal Tour de Ski…
“E’ stata una delle giornate più difficili di quest’anno. Probabilmente avevo anche l’influenza, ma non voglio comunque lamentarmi delle cose che mi succedono. Ho detto all’allenatore di scegliere se avessi dovuto fermarmi o continuare perché io non sapevo più cosa fare e lui mi ha detto di continuare, perché era convinto che qualcosa sarebbe venuto fuori. E poi sono arrivato 12° nella 15km in Val di Fiemme che mi ha ridato un po’ di fiducia nei miei mezzi”.

Tornando alla Nazionale, lei aveva già lavorato in passato con Chenetti. Quanto è stato importante il suo ritorno?
“Sì, ci ho lavorato a cavallo dell’Olimpiade di Torino 2006. L’importante, come ho detto anche all’inizio, è cambiare ogni 4-5 anni gli allenatori, perché gli atleti hanno sempre bisogno di nuovi stimoli. Chiaramente, con il ritorno di Chenetti dopo tanti anni, anche lui è pieno di buona volontà e di voglia di alzare nuovamente il livello dello sci di fondo. E’ una scommessa anche per lui e questo è molto importante per gli atleti, perché avere ragazzi, allenatori e staff molto motivati sicuramente alza il livello globale della squadra”.

E’ mancato anche uno staff motivato negli ultimi quadrienni, che oggettivamente non sono stati al livello degli inizi del nuovo millennio?
“Non so se si possa dire così, poi ci vuole anche fortuna. Bisogna dire che Chenetti, oltre alla bravura, ha avuto anche fortuna. Pellegrino, ad esempio, quest’anno è riuscito ad esplodere come non mai. Sicuramente chi lavora tanto viene premiato, quelli che ci son stati prima non sono riusciti a far emergere questi nuovi talenti che erano lì lì per uscire. Nella vita, come allenatore, come staff e come atleta, spesso ci vuole un pizzico di fortuna, perché a volte basta poco per far la differenza”.

Silvio Fauner non ha avuto questa fortuna insomma…
“No, anche perché nei Mondiali della Val di Fiemme eravamo ad un passo dal prendere la medaglia nella staffetta e purtroppo siamo arrivati quarti. Nell’anno di Sochi non siamo andati forte per tutta la stagione, io ero arrivato discretamente in forma lì, anche se non tutti lo erano. Sono periodi non facili, bisogna comunque continuare ad investire sugli atleti e sul bacino dei giovani che in questo momento è molto carente ed è molto difficile quindi trovare una continuità per il futuro”.

A proposito di giovani, in tanti sport si sente spesso parlare di ragazzi con problemi di attitudine. E’ anche il caso dello sci di fondo?
“Eh sì, chiaramente di questi tempi i ragazzi si ritrovano a fare molte più di cose oltre alla scuola. E’ un mondo veramente aperto a tante cose e a tanti sport. Se penso che nelle mie zone una volta c’era solo sci di fondo e sci alpino, ora un ragazzo può sbizzarrirsi nella danza classica o nel karate. Anche i paesi di montagna danno tante possibilità. Chiaramente gli sport di fatica e inizialmente difficoltosi come lo sci di fondo tendono quasi ad allontanare i ragazzi. Chi lo prova poi può anche innamorarsene, se non riuscirà mai a provarlo perché trova altri sport più facili si allontanerà dal fondo. C’è da dire che ci sono anche meno ragazzi, perché siamo un Paese in regressione da questo punto di vista. Tutto varia di passo con il momento difficile della Nazione, perché le cose extra-scolastiche sono un costo ed un impegno per ogni famiglia e non tutti lo vogliono fare”.

Nei prossimi anni, invece, è intenzionato ad intraprendere qualche attività volta proprio ad invogliare i giovani ad avvicinarsi allo sci di fondo? O magari si vedrebbe bene anche come tecnico federale?
“Diventare un tecnico non sarebbe proprio la mia volontà, magari aiuterei gli sci club qui in zona. Per quanto riguarda la promozione dello sport, se ci fosse un progetto serio da parte del CONI insieme all’Arma dei Carabinieri, di cui faccio parte, potrei pensare a portare avanti questo discorso, però dovrebbero darmi una mano proprio le istituzioni e il CONI stesso, per dare un’impronta ed una testimonianza importante per invogliare i giovani. Perché lo sport è uno stile di vita e dà qualcosa in più un domani anche nel mondo del lavoro, quindi sarebbe importante portare queste esperienze e le cose che ho imparato negli anni ai ragazzi della post-adolescenza”.

Lei ha conquistato la prima vittoria individuale ben oltre i 30 anni. In tutto il tempo precedente, c’è stato un momento in cui ha pensato che non ce l’avrebbe fatta o di mollare?
“Sicuramente ho avuto dei momenti difficili. Al momento di passare dai cadetti, quelli che ora si chiamano juniores, all’Under 23 ho veramente fatto tanta fatica. Il livello era altissimo, era difficile ma anche grazie al Centro Sportivo, alla mia famiglia che cercava di spronarmi, ho tenuto duro e, anche se in tarda età, mi sono tolto tante soddisfazioni. Aggiungo che è molto importante la famiglia: per ogni ragazzo, per ogni atleta è importante ed è proprio vero che se uno riesce nello sport è anche grazie ai genitori, che riescono a fargli fare le scelte giuste al momento giusto, perché quando siamo adolescenti si possono avere idee che si rivelano sbagliate. In quel momento, la famiglia serve ad indirizzarti con le dovute cautele verso la tua strada”.

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daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

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