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Sei Nazioni 2015, una triste Italia: il Cucchiaio di legno è morale, ai Mondiali senza certezze

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L’Italia ha evitato il Cucchiaio di legno. Bene, bravi, applausi, è la dimostrazione di quanto meritiamo di restare nel Sei Nazioni, eccetera eccetera eccetera. Poi ti accorgi che la differenza punti è negativa più del doppio rispetto a quella della Scozia ultima in classifica e capisci che qualcosa non quadra. Parecchie cose, anzi, per non dire tutto, visto che il -120 finale nello scarto tra punti fatti e subiti è una delle peggiori statistiche in sedici anni di militanza del Torneo da parte degli azzurri. Gli scozzesi, tanto per gradire, nonostante il famigerato Cucchiaio e il Whitewash hanno chiuso in passivo con un ‘dignitoso’ -55, oltre ad offrire delle prestazioni ben più positive della Banda Brunel. Numeri crudi ma che, al solito, spiegano meglio di qualunque altra cosa il mese e mezzo di stenti dell’Italrugby.

La malattia, si sa, è di quelle croniche, ben raffigurata dalla schiettezza e dalla sincerità di Martin Castrogiovanni, al termine del disastro conclusivo contro il Galles: ” Facciamo un errore e poi non sappiamo reagire e rientrare in partita. E’ successo per tutto il Sei Nazioni, ci serve uno psicologo. Io mi vergogno, non possiamo prendere 60 punti in casa così”. Perché fisicamente, di fatto, l’Italia resiste e sa resistere, oltre a mettere spesso sotto pressione gli avversari. Al momento di vincere la battaglia psicologica, però, gli azzurri si sciolgono. Inesorabilmente. Abitudine a perdere? Sì. Inutile girarci intorno: se le franchigie celtiche, ideate per trainare l’ipotetica base verso l’Alto Livello, conseguono batoste in giro per l’Europa, è difficile attendersi qualcosa di diverso quando il blocco del Benetton Treviso e delle Zebre sbarca nel Sei Nazioni. Una questione principalmente mentale e non tecnica. A quest’ultima si potrebbe sempre sopperire, non per puntare a vincere ma perlomeno per non affondare. Quello che, invece, è successo nelle ultime due partite, di fronte ai circa 120.000 spettatori dell’Olimpico. La doppia figuraccia contro Francia e Galles, insomma, rimarrà ben impressa nella mente di tifosi ed appassionati, che senza una svolta nel breve periodo potrebbero cominciare a far venir meno quella fiducia sempre palesata negli ultimi anni. Perché la corda, dopo sedici anni di Sei Nazioni e quattro di sold-out all’Olimpico, comincia ad essere sempre più tesa. Spezzandosi, il movimento (maschile, differenza quantomai da rimarcare) rischierebbe davvero di affondare.

Breve periodo, nella fattispecie, significa Mondiale. Appuntamento a cui l’Italrugby rischia di arrivare senza certezza alcuna. Anche perché quest’ultime dovrebbero essere trasmesse in primis dall’allenatore, competenza tuttavia che sembra non essere nelle corde di un Jacques Brunel totalmente in balia degli eventi, come testimoniato dai gravi errori commessi al momento delle convocazioni e, talvolta, anche nella gestione dei cambi. Nemmeno il presidente Gavazzi sembra credere granché in lui (forse non lo ha mai fatto), così come la squadra. Senza grandi appoggi, ma ancora avanti. Perché chi invocava le sue dimissioni è rimasto deluso. Fortunatamente. Arrivare alla Coppa del Mondo senza guida tecnica, di fatto, renderebbe la situazione tragicomica e potenzialmente implosiva.

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