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Rugby a 13: un altro mondo ovale

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Mentre tutta l’Italia della palla ovale è in fremente attesa dell’esordio di Parisse e compagni nel Sei Nazioni c’è un altra Italia, di un altro rugby, ai blocchi di partenza. Questa mattina è stata presentata a Roma la stagione del rugby league, il rugby a tredici.

Per i meno informati, il rugby a 13 o rugby league è uno sport derivato dal rugby a 15 (rugby union) dove giocano tredici giocatori per squadra con delle regole che presentano notevoli differenze, quelle principali sono l‘assenza di mischie e i sei tentativi a disposizione per portare il pallone in meta. La nascita del rugby a 13 avviene in Inghilterra nei primi anni del ‘900, dove i club del nord formati da giocatori di estrazione socio-economica più bassa, soprattutto minatori, non riuscivano a competere coi club del sud dove il rugby era un gioco per le classi più agiate. Il rugby league oggi è uno sport molto diffuso in Australia, Nuova Zelanda, Inghilterra e Francia del nord. In altri stati, tra cui l’Italia, sta avendo un discreto sviluppo.

Oggi nel nostro Paese si contano ben una cinquantina di squadre e 1500 tesserati. Buoni numeri nonostante le non sempre comprensibili scissioni degli appassionati, infatti anche qui come nel football americano ci sono due federazioni.

La squadra nazionale ha avuto una spinta importante grazie alla presenza degli oriundi italoaustraliani che compongono quasi tutta la rosa. Particolare è il dato che la maglia azzurra è vestita anche da giocatori di primissimo piano nel league professionistico come Tony Minichiello (nominato nel 2005 miglior giocatore al mondo) o Craig Gower ex apertura a XV ai tempi di Mallet. I primi di novembre un’Italia con l’accento aussie incontrerà la Scozia nell’esordio nella Coppa del Mondo.

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