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Storia delle Olimpiadi: Vincenzo Maenza, il Pollicino che abbatte i giganti
30 luglio 1992, Barcellona, Giochi della XXV Olimpiade.
Vincenzo Maenza da Faenza, un trentenne nato a Imola ma di origini napoletane, alto 160 cm e “pesante” 48 kg (non a caso affettuosamente chiamato, da sempre e da tutti, Pollicino), sta per giocarsi il terzo oro olimpico consecutivo della sua straordinaria carriera, lotta greco-romana, categoria minimosca, per l’appunto coloro che non superano i quarantotto chilogrammi di peso.
Vincenzino è a seicento secondi dall’impresa a cinque cerchi riuscita fino ad allora solo all’immenso Klaus Dibiasi (tuffi, piattaforma 10 metri, dal 1968 al 1976): laurearsi tre volte Campione di Olimpia nella stessa gara individuale. L’assembramento di giornalisti è incredibile, tutti vogliono assistere ad una performance che potrebbe entrare nella storia dello sport italiano e non solo. Il cammino che lo ha portato in finale è stato perentorio, da veterano vero del settore, nonostante i mesi di diete ferree, saune intensive e allenamenti massacranti precedenti i Giochi lo abbiano ridotto ad una filigrana vivente. Maenza è il numero uno indiscusso dei pesi mosca leggeri da ormai dieci anni: oro a Los Angeles ’84 e Seul ’88, Campione del Mondo a Caracas (’82) e Tokyo (’85), Campione Europeo a Tampere nel 1987, oltre ad una serie mostruosa di titoli nazionali e altre medaglie iridate, continentali e ai Giochi del Mediterraneo.
Nell’ultimo atto di Barcellona, a frapporsi fra l’azzurro e la gloria eterna c’è l’ucraino Oleg Kucherenko. I due contendenti si danno la mano prima del fischio dell’arbitro, quindi Maenza ripropone il gesto di cortesia all’inizio delle ostilità, com’è consuetudine tra i gentiluomini dell’atavica pratica sportiva tanto cara a greci e latini. Ma l’avversario prende l’invito non come l’ufficioso prologo alla sfida bensì come un’irripetibile occasione per sorprendere il grande favorito: Kucherenko afferra Maenza, lo sbatte a terra e guadagna subito i tre punti che si riveleranno poi decisivi per l’assegnazione dell’oro. L’italiano, a dir poco interdetto, non si dà per vinto e prova ad inventarsi qualcosa attingendo dal suo ricco repertorio tecnico, eppure l’ucraino riesce ad irretirlo ricorrendo ad un inesorabile, calcistico catenaccio…
Il direttore di gara fa finta di nulla, non interviene con penalizzazioni ed il più forte di tutti se ne torna a casa “soltanto” con l’argento olimpico al collo.
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