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Italrugby: analogie errate ma una mentalità da affinare

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Sei Nazioni 2011: archiviata l’impresa del Flaminio contro la Francia, l’Italia di Mallett vola ad Edimburgo per affrontare una Scozia alla disperata ricerca di una vittoria. Gli azzurri, completamente svuotati dall’eroica prestazione di una settimana prima, vengono agilmente stesi dai padroni di casa. La prova inconfutabile di come il successo sui galletti sia stato dovuto a delle reali ‘vacanze’ dei transalpini.

Sei Nazioni 2013: la Banda Brunel mette al tappeto i cugini francesi per la seconda volta consecutiva a casa nostra, questa volta all’Olimpico. Un pezzo di storia diverso dagli altri, perché la Francia c’era mentalmente e fisicamente, mentre sono i nostri a compiere il capolavoro. Come due anni fa, la partita di Murrayfield contro la Scozia arriva dopo la battaglia di Roma e, peggio di due anni fa – almeno nel punteggio -, gli azzurri vengono dominati dagli Highlanders per tutti gli 80′, senza possibilità di appello.
Determinazione e grinta scozzese contro l’inconsistenza e la poca verve dei nostri. C’era ben poco da fare.
Attenzione però: i due contesti non sono affatto analoghi, perché l’Italia non-ammirata due anni or sono non ha alcun legame con l’Italia ammirata (la differenza è sostanziale) sabato.
Due squadre completamente differenti, non solo sul piano tecnico-tattico ma anche e soprattutto nel modo di stare in campo, nella mentalità.

No ai paragoni, quindi. In quanto varrebbe a dire che la squadra di Brunel, oltre ad essere stata surclassata sul piano fisico, non ha nemmeno provato a giocarsela, cosa naturalmente non veritiera. Tra le tante note negative, quali i punti d’incontro e l’intensità, spicca infatti un particolare di notevole rilevanza, che chi ha già ‘scaricato’ la nostra Nazionale probabilmente non avrà notato: l’Italia ha costantemente creato gioco. Lo ha fatto oggettivamente male, è alla luce del sole, ma lo ha fatto. Ed è un gigantesco passo in avanti rispetto agli scorsi anni. D’altronde, lo dicono anche le statistiche, inutili fino ad un certo punto: 58% di possesso palla nel primo e 66% nel secondo tempo, a cui va aggiunto il 56% e il 68% di occupazione territoriale, a dimostrazione di come l’Italia si riversi sempre all’attacco, anche senza la grinta che da sempre la contraddistingue.

Una fase offensiva, però, rivelatasi sterile, contornata spesso da grossolani errori di handling che una settimana fa non avevamo nemmeno intravisto. Tutto ciò farebbe pensare ad un’Italia senza motivazioni, tanto la vittoria con la Francia bastava e avanzava. Invece, come già affermato in sede di cronaca, gli azzurri non si sono adagiati sugli allori, piuttosto sono stati letteralmente travolti dalla determinazione e dalla ferocia scozzese nei breakdown e in tutte le collisioni. Insomma, più meriti loro che demeriti nostri, anche se a Murrayfield la Banda Brunel ha dato l’impressione di aver temporaneamente smarrito la bussola dell’intensità e di essere arrivata fin troppo sulle ali dell’entusiasmo. Checché ne dicano i bookmakers, infatti, Parisse&co. potevano essere davvero dati per favoriti e, probabilmente, l’intera pattuglia azzurra ne era anche consapevole, prima di essere ridimensionati dagli uomini di Johnson. Difatti, se i miglioramenti nel gioco sono ormai acclarati, sulla strada che porta ad un mentalità vincente c’è stato un incidente di percorso; inevitabili se si vogliono raggiungere certi livelli e di aiuto per poter preparare al meglio le battaglie future, anche perché l’Italia sarà stata anche rispedita sulla Terra, ma non in quella di nessuno.

Foto: Getty Images

daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

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