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Operazione Puerto e le verità nascoste (dalla Spagna)
Il caso Cipollini ha riportato alle cronache il nome “Operazione Puerto”. Quella che è stata definita la più grande operazione antidoping della storia, in realtà il caso lascia ancora aperti molti, moltissimi punti interrogativi.
Ritorniamo quindi al maggio del 2006 quando la Guardia Civil arrestava il dottor Eufemiano Fuentes, alcuni suoi collaboratori e i direttori sportivi di due importanti squadre ciclistiche spagnole (le ex ONCE e Kelme) . L’operazione trae origine da un’altra indagine antecedente durante la quale il ciclista Jesus Manzano aveva scoperto il vaso di Pandora facendo i nomi di Fuentes, della sorella e di altri medici coinvolti (tra cui l’italiano Cecchini ). Manzano fornì dettagliatamente notizie sui luoghi operativi e sui tempi ma soprattutto affermò ciò che poi Armstrong recentemente ha confermato, ossia che il doping era pratica diffusissima nel mondo del pedale. A seguito di tali dichiarazioni Manzano ricevette pesanti pressioni dal mondo del ciclismo e arrivò addirittura a essere minacciato di morte (come regolarmente denunciato alla Guardia Civil).
Le dichiarazioni di Manzano non ebbero però l’immediato effetto scatenante di aprire serie indagini. Il giudice Jimenez che lo interrogo archiviò il caso sulla base di due elementi: il fatto che il doping in Spagna non è un reato e un’insufficenza di prove per imputazioni più gravi.
La rete di Fuentes avrebbe fornito un servizio completo agli atleti coinvolti, con una varietà di soluzioni dopanti su misura impressionante. I nomi delle sostanze sono quelli tristemente noti, si va dagli anabolizzanti, steroidi e corticosteroidi a vari tipi di prodotti ormonali (l’EPO il più noto), fino a farmaci di terza generazione impossibili da intercettare coi controlli antidoping.
La storia di queste indagini ha un’infinità di apparenti crepe. I giudici spagnoli spesso si rifiutano di approfondire le indagini dove perfino le informazioni già a disposizione dell’opinione pubblica ne indicherebbero la necessità. Fuentes stesso si è detto disponibile ad aprire gli archivi ed abbinare i codici ai clienti, ma sembra non interessare ai tribunali spagnoli. Le squalifiche perventue finora sono arrivate quasi tutte dall’Italia e perfino lo spagnolo Valverde è stato squalificato a livello internazionale solo dopo che il CONI lo aveva interdetto dalle gare in Italia. In Germania il caso Ullrich venne alla luce solo grazie ad un indagine fiscale. In Spagna invece, epicentro di tutto lo scandalo, quasi il nulla.
Si è discusso molto sul perchè l’Operazione Puerto abbia mietuto più “vittime” in altri Paesi, Italia su tutte, che nella Spagna. Il cavillo legislativo è che in Spagna non è ancora previsto il reato di doping, quindi i giudici si giustificano dietro il paravento della privacy. In realtà la sensazione è che se si andasse a fondo ciò che ne verrebbe fuori, sia direttamente che per effetto catena, metterebbe in gioco troppi, troppi interessi. Fuentes ha detto chiaramente che i suoi clienti non erano solo ciclisti. Ha parlato di atletica, tennis, perfino di formula 1, ma soprattutto di calcio. Sono usciti nomi di società importanti, si pettegola di campioni come Nadal, qualcuno addirittura paragona la Spagna alla DDR. Forse è esagerato, ma quale modo migliore ci sarebbe nel capirlo che scoprire tutte le carte. Invece qualcosa è troppo scomodo. Cosa? Forse da malati di sport, da estatici ammiratori delle gesta dei “campioni”, da bambini sognanti preferiremmo non saperlo, preferiremmo che non ci raccontassero che tutto era finto, di plastica. Ma a volte ci sono verità che aiutano a crescere, ci aiutano a riappropriarci di ciò che è veramente nostro, e lo sport, quello vero, non è quello del doping.