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‘Italia, come stai?’: sci alpino, un Mondiale agrodolce; la rinascita dell’atletica

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2 argenti e un bronzo, settimo posto nel medagliere finale. Non è andata male, ma poteva andare anche molto meglio per la seconda forza dello sci alpino mondiale. L’Italia, infatti, si era presentata ai Mondiali di Schladming con la piazza d’onore provvisoria nella classifica per nazioni alle spalle dell’Austria. Una graduatoria che tiene conto del valore complessivo di una scuola sciistica a livello quantitativo, in quanto somma i punteggi ottenuti da ogni singolo atleta nel circuito di Coppa del Mondo.

Per primeggiare in una rassegna iridata, ed in generale nei grandi eventi che assegnano gli allori in gare secche, serve altro, in primis i fuoriclasse. Guardate gli Stati Uniti: hanno dominato la rassegna iridata con 3 ori dell’immenso Ted Ligety, cui si è aggiunto il trionfo della 17enne Mikaela Shiffrin, nuovo prodigio dello sci americano. La squadra a stelle e strisce, che pure ha dovuto fare a meno della sua regina Lindsey Vonn, non sarà numericamente importante e completa come quella italiana, eppure spicca rispetto alla nostra grazie a poche individualità oggettivamente superiori alla norma. In parole povere, l’Italia un Ligety non ce l’ha, così come non ha uno Svindal, altro campione che non fallisce mai gli appuntamenti più importanti. Il nostro progetto di fuoriclasse si chiama Dominik Paris e, non a caso, il 23enne altoatesino è stato l’unico azzurro a non subire il peso della pressione ed a conquistare un argento pesantissimo. Se per vincere può essere sufficiente il talento, per confermarsi servono testa e approccio mentale lucido e determinato, due doti che Paris ha dimostrato di possedere.
In generale, il settore maschile non ha brillato. Detto dell’ormai certezza rappresentata da Dominik Paris, gli altri velocisti, così dominanti nel corso della stagione, si sono smarriti nell’appuntamento più importante. Questione di approccio e di motivazioni, sui quali si dovrà intervenire in vista delle Olimpiadi di Sochi 2014. I Mondiali, poi, hanno decretato la stagione fallimentare degli slalomisti: ad ottobre eravamo la squadra da battere, da Schladming usciamo con le ossa rotte e con i dubbi che surclassano di gran lunga le certezze. In gigante, poi, Manfred Moelgg, lui sì uomo dal sangue freddo nelle gare di un giorno, ha colto un meritato bronzo dopo una stagione vissuta costantemente tra le prime posizioni, mentre continua la maledizione iridata per Massimiliano Blardone e Davide Simoncelli. Proprio questa, inoltre, appare la disciplina con meno ricambi, ma l’allarme è stato lanciato ormai da anni. Roberto Nani è bravo e tecnicamente valido, ma ancora acerbo sotto il profilo dell’esperienza e piuttosto distante dalle primissime posizioni. Lo stesso dicasi per Luca De Aliprandini e Antonio Fantino.
In campo femminile, risultati stagionali alla mano, la medaglia d’argento in discesa di Nadia Fanchini rappresenta un risultato più che soddisfacente, pur se mescolato al rammarico di un oro scippato in extremis dalla sorprendente francese Marion Rolland. Importantissimo il ritorno alla ribalta della seconda delle sorelle Fanchini, probabilmente il talento più puro dello sci azzurro negli ultimi anni. Vinto che il blocco mentale che ne limitava il rendimento, Nadia potrà ora tornare a competere ad armi pari con le grandi interpreti della velocità mondiale, senza dimenticare il gigante. A Schladming, inoltre, è sbocciata la stella di Sofia Goggia, per ben tre volte tra le prime 10 ed a soli 5 centesimi dal podio in superG: riscontri impressionanti per una debuttante o quasi. La 20enne bergamasca, dotata di una scorrevolezza innata e di una sublime capacità di adattamento a qualsiasi condizioni di pista e neve, potrebbe rappresentare una risorsa importante sin dalle Olimpiadi di Sochi.
Crisi senza fine, invece, per gigante e slalom: non è un caso che il presidente federale Flavio Roda abbia annunciato importanti cambiamenti nello staff tecnico a fine stagione.

Insomma, tre medaglie non rappresentano certo un bilancio da buttare, anzi. Eppure la sensazione finale è quella di un Mondiale senza infamia e senza lode.

Cambiamo completamente discorso e disciplina. Dopo molte stagioni, serpeggiava grande attesa intorno ai Campionati Italiani indoor di atletica. Uno sport che sta finalmente risorgendo dopo troppi anni vissuti nell’anonimato. Il vento sembra finalmente cambiato ed attualmente l’Italia può contare su giovani di valore e capaci di recitare un ruolo importante a livello planetario: quest’ultima rappresenta la principale novità.

Chi nell’elite interazionale ci è già arrivata è Alessia Trost (20 anni ancora da compiere), capace di superare la fatidica soglia dei 2 metri nel salto in alto e non così distante da un ulteriore miglioramento in tempi brevi. Cresce a vista d’occhio anche Roberta Bruni (classe 1994!) capace di issarsi a 4.60 nel salto con l’asta: 20 cm in più e si potrà cominciare a sognare delle medaglie nei grandi eventi.

In generale si percepisce un atletica italiana in fermento, con record nazionali che cadono praticamente ogni settimana (come il 2.33 di Silvano Chesani nell’alto e lo strepitoso 6.51 di Tumi nei 60 metri) ed una competitività ritrovata a livello internazionale che dovremo concretizzare tra poche settimane agli Europei di Goteborg.

 

federico.militello@olimpiazzurra.com

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